Cultural Shock: come fare senza mamma Pizza e papà Tiramisù?
Cultural shock: il benvenuto servito a chi decide come una lumaca di mettere la testa fuori dalla sua conchiglia per poi scoprire che piove.
Due anni fa ho preso quella che potrei definire una delle scelte che maggiormente hanno contribuito alla persona che sono adesso. Con molto impegno, e un po’ di fattore C, mi sono immatricolata a un corso di Laurea Magistrale un po’ globetrotter.
Ora che mi ritrovo alla resa dei conti (più amichevolmente chiamata terribile tesi in cambio delle quale riceverai forse un futuro migliore) penso sia giunto il momento di trarre le conclusioni. Di cosa? Di tutti gli shock culturali arrecatimi da Francia, Svizzera francese e Svizzera tedesca!
Eh sì signori, una di quelle esperienza che a sentirla tutte le care nonne con i traversoni azzurri e fiorellini bianchi si strapperebbero le vesti, distribuendo mestolate in testa agli eretici.
Parte prima: i cugini d’oltralpe
Che ci sia una relazione d’amore e odio tra italiani e francesi ormai è risaputo. Gli opposti s’attraggono, ma anche chi si somiglia si piglia e forse queste due perle di origine popolare possono parere una buona spiegazione a questo arrovellamento sentimentale. Tuttavia, probabilmente anche qualche elemento storico ha contribuito un po’ alla stizza con la quale da sopra il baffo arricciato il francese fissa l’italiano infastidito, facendo partire una bella discussione su quale sia LA Cucina. Passiamo quindi al sugo (e di sughi, amici miei ne vedrete d’interessanti).
Le Creme
Sì signori miei: creme e cremine che vengono inserite ovunque ve ne sia anche la minima possibilità. Per insaporire? Leggenda narra che fossero più insipide del sale. Per abbellire? Un’altra leggenda vuole che assomigliassero a… vabbè, non tutte le leggende valgono la pena di essere tramandate.
Il primo fatidico incontro lo ebbi alla mensa dell’università (al qual confronto la mensa del mio asilo risultava un ristorante stellato). Sappiamo tutti che non c’è miglior scusa di un nuovo inizio per dare una ventata salubre alle abitudini alimentari e non. Uno di quei buoni propositi da bigliettino per l’anno nuovo che poi finisce immancabilmente chissà dove (probabilmente accartocciato nel in bidone con gli scontrini dell’anno vecchio).
Cosa c’è di più salutare delle verdure? Niente pensavo. Purtroppo ritrovatami davanti al bancone ebbi l’amara sorpresa. Tra pasticci con più crema che pasta e carni non identificate ricoperte da guazzetti altrettanto enigmatici non mi rimase che voltarmi in direzione del reparto verdure. Temeraria come una Giovanna D’Arco pronta a redimere dai pregiudizi anche la cuoca più in erba, optai per quella che pareva una porzione di spinaci al burro. Tanto il burro non può guastare al gusto, giusto? Purtroppo burro non era, e nemmeno besciamella. Era una crema dall’origine indefinita che probabilmente i latticini li aveva visti per sbaglio quando il furgoncino del catering era stato sorpassato da quello del lattaio. Ad oggi non ho ancora capito di cosa si tratti. Però una cosa l’ho capita: sicuramente non la comprerei mai deliberatamente. Ma dato che i nostri amici egalitari vogliono offrire pari opportunità anche a questo sottoprodotto degli spinaci, hanno ben pensato di venderli come unica alternativa nel reparto surgelati del supermercato.
Questa è la storia di come smisi di mangiare spinaci un anno or sono.
Il caffè
Come cantava anche De André, meglio del caffè non c’è (vi ho fatto pure la rima). Una dubbio che però mi si è insinuato nella mente e non mi ha più abbandonato è il seguente: com’è possibile che il caffè sia stato importato in Italia da Prospero Alpino nel 1570 a Venezia eppure solo gli italiani siano in grado di preparalo? Perché nel XXI secolo con la tecnologia al servizio dell’uomo, mi aspettavo che anche in Francia avrei potuto deliziare il mio palato. In fondo Nespresso, what else? Amara sorpresa anche qui (questa volta in senso letterale). Giustamente escludo dalla valutazione le macchinette automatiche, rinomate per la qualità che lascia un po’ a desiderare (anche se vi assicuro che avrei venduto l’anima pur di avere a portata di moneta il distributore automatico del benzinaio più disperso d’Italia).
La cosa che però più mi ha scandalizzato è stata l’incapacità di trovare un bar, una caffetteria, una trattoria, un venditore ambulante, una panetteria, insomma un qualsiasi luogo, in grado di preparare qualcosa che non fosse un americano travestito da espresso. Se poi hai l’ardore di prendere un cappuccino tanto vale che ti porti un litro di latte da casa.
Morale della favola? Portatevi la vostra moka o macchinetta di fiducia con tanto di pacchi di caffè, e ricordate che è sempre meglio abbondare che deficere.
La tastiera del pc
La prima esperienza con un AZERTY vi apparirà come il tentativo di infilare una chiave nella toppa della serratura dopo aver bevuto alla goccia una bottiglia di super alcolico. Non raccomandabile insomma.
A risultare problematica non è neanche quella perfida sostituzione della a alla q oppure quella m così fuori luogo accanto alla l. L’elemento più destabilizzante è la barra dedicata principalmente ai numeri nella QWERTY che nell’AZERTY si trasforma nella barra dei caratteri speciali.
Vi lascio immaginare la disperazione mia e della mia compagna di laboratorio che per la prima volta davanti a un pc francese cercammo di impostare i parametri di un software di misura. Risultato? 50 micrometri trasformati in (à u, e un tecnico di laboratorio allibito dalle scarse capacità degli ingegneri del futuro.
Però sarebbe ipocrita da parte mia non ammettere in fondo la praticità di questa tastiera inizialmente tanto ostile. Dopo un po’ infatti la scelta appare persino logica.
Ed è così che alla fine ho trasformato tutti i miei dispositivi elettronici imponendo un rimescolamento di tasti.
I panificati
Gli shock culturali però possono essere anche positivi e continuare la lunga lista di lamentele non renderebbe giustizia alla patria di grandi pensatori come Voltaire o artisti come Molière.
Per questo motivo mi sento in dovere di esporre quello che mi ha causato lo sgomento più grande: la riscoperta dei panificati. Infatti, nonostante dalla mia italianità il pane non è mai stato nella top 5 dei miei prodotti preferiti (scusa nonna). Ci è voluta una cittadina nel sud-est della Francia a ribaltarmi la classifica. Sempre fresco, morbido e profumato, il pane francese risulta un Highlander della bontà. Magicamente appena sfornate ad ogni ora del giorno, le baguette non perdono di fragranza la mattina successiva come Cenerentola che allo scoccare della mezzanotte perde carrozza e vestito. Come sia possibile? Un altro mistero preclusomi.
Tuttavia se c’è una cosa in grado di superare le bontà declamate, questa è la pâtisserie con i suoi pain au chocolat, croissant e madelaine. Il sospetto qui però si indirizza verso un elemento che potremmo definire l’ingrediente segreto (non così segreto dopotutto): il burro. Infatti non ho mai indagato sulla quantità di burro contenute da uno di quei magici scrigni di cioccolata, per non spaventare troppo le mie arterie. Tuttavia, nonostante il rischio di aterosclerosi, posso assicurare che il gioco vale la candela.
Andarsene dalla Francia senza un’abbuffata di panificati sarebbe quindi una grande perdita intellettuale oltre che costituire la privazione da un’esperienza culinaria estatica.
Che dire, potrei continuare all’infinito tra shock belli e brutti ma preferisco terminare qui. Quindi cosa mi sento di consigliarvi alla fin fine? Prendete e partite, che poi è sempre bello ritornare.