Chi ha vinto le elezioni negli Stati Uniti?

Il racconto della notte elettorale del 3 novembre, per capire chi sarà il presidente eletto e soprattutto come ci siamo arrivati

Cogito et Volo dedica alle elezioni presidenziali statunitensi uno speciale con approfondimenti sul sito e contenuti extra su Instagram e Facebook. Esploreremo le principali tematiche della campagna elettorale in corso, vi guideremo nella sfida tra Biden e Trump e commenteremo i risultati e le conseguenze, per l’America e per il mondo. Qui trovate tutti gli articoli già pubblicati.

La notte elettorale è durata più del previsto. Si pensava che Joe Biden, il candidato democratico, potesse guadagnare un rapido vantaggio e assicurarsi la vittoria già nelle prime ore della notte italiana. Così non è successo e con il passare del tempo si è andato delineando un testa a testa con il presidente uscente, il repubblicano Donald Trump. A generare ulteriore incertezza è stato il voto anticipato: circa 100 milioni di statunitensi avevano scelto di votare per posta o di recarsi ai seggi prima del 3 novembre, cosa che in alcuni Stati è concessa. Lo scrutinio dei voti giunti anticipatamente ha seguito procedure diverse a seconda dello Stato, causando situazioni caotiche. È il caso, ad esempio, del Texas, dove i voti anticipati sono stati scrutinati e comunicati per primi, dando l’impressione iniziale che il Partito democratico fosse in grande vantaggio. Impressione sconfessata dallo scrutinio dei voti del 3 novembre, che hanno riequilibrato il conteggio a favore del Partito repubblicano. Insomma, è stata una notte lunga e insolita, dalla quale ancora non emerge con chiarezza un vincitore. Proviamo a ripercorrerla e ad analizzare i risultati.

Una premessa: il sistema di voto

Ne abbiamo parlato lungamente qui, ma vale la pena ripassare rapidamente come viene eletto il presidente degli Stati Uniti. Si tratta di un procedimento mediato. Ciascuno dei cinquanta Stati in cui è diviso il paese elegge un numero di cosiddetti “grandi elettori” in misura proporzionale alla popolazione. In ogni Stato la legge elettorale è il maggioritario puro: chiunque prenda il 50% + 1 dei voti ottiene tutti i grandi elettori in palio. Per risultare eletti, è sufficiente una maggioranza di 270 grandi elettori. Dunque, non è tanto importante il voto cosiddetto “popolare”, cioè quanti elettori su scala nazionale esprimono la preferenza per un candidato, quanto il numero di Stati – e conseguentemente di grandi elettori – che ciascun candidato riesce ad ottenere. Bisogna poi tener conto che il numero di grandi elettori garantiti da ogni Stato varia molto: la maggioranza dei voti in California assicura 55 grandi elettori, in South Carolina appena 9, alle Hawaii 4. Su queste differenze si basano le diverse strategie dei candidati, che possono decidere di puntare solo su alcuni Stati per arrivare ai fatidici 270 grandi elettori.

Il tweet con cui Donald J. Trump ha invitato i propri sostenitori a recarsi alle urne, la mattina del 3 novembre

Un altro dato da tenere a mente è che molti Stati sono roccaforti dell’uno o dell’altro partito, per storia, tradizione e composizione sociale. Ad esempio, la California è da decenni democratica, così come il Texas esprime una maggioranza repubblicana ininterrottamente dal 1976. Per questo motivo, già nei giorni antecedenti al 3 novembre, circolava ampiamente una stima che attribuiva a Joe Biden ben 216 grandi elettori e 125 a Donald Trump. Ogni quattro anni, a decidere le elezioni sono, di fatto, una decina di Stati considerati in bilico. Il Partito democratico, potendo contare su una base più ampia di grandi elettori praticamente certi, partiva in vantaggio, avendo a disposizione più “strade” per arrivare a quota 270. Per Trump, invece, l’obbligo era uno solo: vincere in tutti gli Stati in bilico, come avvenuto nel 2016.

Una stima elaborata dal sito di proiezioni 270towin sulla base dei sondaggi disponibili il 3 novembre, per ogni Stato è indicato anche il numero di grandi elettori espressi. In blu gli Stati dove Biden era dato in grande vantaggio, in rosso l’equivalente per Trump. In grigio gli Stati dove era atteso un testa a testa.

Gli Stati in bilico e il voto anticipato

La notte elettorale è cominciata quando in Italia era l’una di notte, con la chiusura dei seggi negli Stati della costa Est. Fin dall’inizio osservati speciali erano Georgia, Florida e North Carolina. Nel 2016 erano andati a Trump, ma i sondaggi lasciavano intendere un possibile testa a testa, se non addirittura una vittoria di Biden. Ottenendo la maggioranza anche in uno solo di questi Stati, Biden avrebbe messo una seria ipoteca sulla presidenza. Tuttavia, il sorpasso dei democratici non è avvenuto e per tutta la prima parte della notte elettorale i media americani sono stati impegnati ad analizzare l’esito del voto in Florida, dove sembra essere stato decisivo il contributo dei latino-americani. Questi ultimi avrebbero dato fiducia a Donald Trump, per motivi legati alla religione e alla paura – cavalcata dai repubblicani – di una deriva socialista. Molti latino-americani, infatti, provengono da famiglie emigrate da paesi dove vige o vigeva una dittatura di stampo comunista, come nel caso di Cuba.

Mancato l’appuntamento con l’attesa prima “sorpresa” della notte elettorale, tra le 2 e le 3 era previsto un primo snodo importante. Chiudevano infatti i seggi nel Midwest, la base operaia bianca sulla quale Trump aveva fondato il proprio successo nel 2016. In particolare, i sondaggi davano Biden avanti con un buon vantaggio in Michigan, Wisconsin e persino Pennsylvania, tre Stati che quattro anni fa avevano espresso una maggioranza repubblicana. A questi si aggiungevano Arizona e Texas, con quest’ultimo che un po’ a sorpresa sembrava diventato contendibile dopo 44 anni a maggioranza repubblicana. Sembrava, insomma, apparecchiarsi un solido successo per Biden. Sembrava, appunto.

In realtà, la notte elettorale ha avuto un decorso molto lento a causa di uno spoglio delle schede non rapidissimo. Bisogna poi riconoscere l’elefante nella stanza: Donald Trump ha performato meglio di quanto ci si aspettasse, riuscendo ad arrivare ad un testa a testa in tutti gli Stati chiave. A rendere ulteriormente confuso il quadro generale è stato il voto anticipato, conteggiato in maniera diversa da ciascuno Stato. In assenza di una parte consistente dei voti espressi, per tutta la notte è stato impossibile azzardare delle previsioni circa l’andamento del voto in alcuni Stati chiave. Probabilmente scottati dall’esperienza disastrosa di quattro anni fa, quando i sondaggi e le prime previsioni si erano dimostrati di gran lunga fuorvianti, i media americani hanno preferito dare notizia dello spoglio in diretta. A lungo è sembrato ripetersi lo stesso pattern delle elezioni del 2016, con Trump in grado di riconfermarsi in tutti gli Stati che in passato gli avevano garantito la vittoria, contribuendo ad una situazione paradossale. Capitava, infatti, che i voti dei collegi della aree urbane arrivassero prima, dando un consistente margine di vantaggio a Biden, che si riduceva non appena giungevano i risultati dalle aree rurali, tradizionalmente favorevoli a Trump. In una situazione del genere, l’unico modo per conoscere il presidente eletto è attendere la fine dello scrutinio in tutti gli Stati.

La situazione alle 4.30 di mattina

Nel 2016 verso le 4 di mattina cominciò a palesarsi la possibilità di una vittoria di Trump: arrivarono infatti i primi dati certi dal Midwest e fu chiaro che alcuni Stati dati per certi da Hillary Clinton – come il Wisconsin – avrebbero regalato ai democratici una nottata insonne. Nel 2020 verso le 4 di mattina la situazione si è arenata: Trump e Biden avevano già la certezza di aver vinto in tutti gli Stati non in discussione, quelli che per tradizione e composizione sociale votano sempre o per i democratici o per i repubblicani. Diverso, invece, il discorso per gli Stati in bilico. Fatta eccezione per la Florida, attribuita a Donald Trump già all’inizio della nottata elettorale, in tutti gli altri è sembrato delinearsi un testa a testa.

Alle 4.30 di mattina, in prossimità della chiusura degli ultimi seggi della costa Ovest, la situazione era la seguente: Trump avanti in Ohio, in North Carolina e in Georgia, ma non abbastanza da poter cantare vittoria; Biden, invece, avanti in Arizona, con quest’ultimo che si candidava a diventare la prima vera sorpresa della notte elettorale, cioè il primo Stato a passare da un candidato all’altro, rispetto al 2016. Date per valide queste tendenze, l’unica certezza sembrava risiedere nel Midwest: sarebbe stato ancora una volta l’ago della bilancia e l’avrebbe fatto con tempi molto lunghi. In Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, infatti, la conclusione dello spoglio delle schede è prevista per giovedì nel tardo pomeriggio, ora italiana. I risultati provvisori davano Trump in vantaggio, ma all’appello mancavano ancora gran parte dei voti giunti per posta. In che modo questo può scombinare le carte in tavola? Negli ultimi mesi Trump ha condotto un’aspra battaglia contro il voto per posta, che si presume quindi sia stato utilizzato in maggioranza dagli elettori democratici.

La Pennsylvania sarà decisiva?

La situazione ha avuto una nuova evoluzione verso le 8 di mattina, ora italiana, quando North Carolina e Georgia sono improvvisamente tornate contendibili, dopo che i media americani le avevano già assegnate a Trump. Merito delle schede del voto anticipato e per posta, i cui risultati sono stati comunicati tardi? Se ne discuterà nei prossimi giorni, sta di fatto che il testa a testa è diventato improvvisamente serrato. Anche perché nel frattempo Trump ha conquistato altri Stati considerati in bilico, ovvero Ohio e Iowa, ed è tornato competitivo in Nevada, che in molti avevano già assegnato ai democratici. La situazione al momento è la seguente, tra parentesi i grandi elettori garantiti da ciascuno Stato.

Biden (238): California (55), New York (29), Illinois (20), New Jersey (14), Virginia (13), Washington (12), Massachusetts (11), Arizona (11), Maryland (10), Minnesota (10), Colorado (9), Oregon (7), Connecticut (7), New Mexico (5), Rhode Island (4), New Hampshire (4), Hawaii (4), Vermont (3), Delaware (3), DC (3), Maine (3), Nebraska-2 (1).

Trump (213): Texas (38), Florida (29), Ohio (18), Tennessee (11), Indiana (11), Missouri (10), Alabama (9), South Carolina (9), Louisiana (8), Kentucky (8), Oklahoma (7), Arkansas (6), Kansas (6), Mississippi (6), Utah (6), Iowa (6), West Virginia (5), Idaho (4), Nebraska (2+2), Wyoming (3), Montana (3), North Dakota (3), South Dakota (3).

Da assegnare (87): Pennsylvania (20), Michigan (16), Georgia (16), North Carolina (15), Wisconsin (10), Nevada (6), Maine-2 (1), Alaska (3).

La situazione attuale fotografata dal New York Times: in rosso gli Stati assegnati a Trump, in blu quelli a Biden. In grigio gli Stati in cui la partita è ancora aperta.

Considerando che il Nevada andrà con molta probabilità a Biden, mentre Alaska e Maine a Trump, il destino degli Stati Uniti d’America è in mano a cinque Stati e – nemmeno a farlo apposta – al voto anticipato. Sì perché in Michigan, Wisconsin e Pennsylvania mancano da scrutinare le schede arrivate prima del 3 novembre: nei primi due Stati Biden ha un vantaggio molto risicato, che si presuppone possa crescere, nel terzo Trump ha un ampio margine, quando però lo spoglio è arrivato ad appena il 79%. In North Carolina e Georgia il risultato si deciderà all’ultimo voto: siamo oltre il 90% dello scrutinio e Trump è in vantaggio in entrambi gli Stati, anche se secondo il New York Times in Georgia potrebbe esserci un sorpasso finale da parte di Biden.

La matematica non è un’opinione: dando per scontato il Nevada, per vincere a Biden servono 26 grandi elettori. Ciò lo pone in vantaggio, ma lo costringe comunque a vincere almeno in due Stati per assicurarsi la vittoria. E stiamo parlando di Stati che quattro anni fa consegnarono la presidenza a Trump: niente è scontato. Se si andasse per le lunghe, potrebbe diventare decisivo quello che si prospetta essere l’ultimo Stato a comunicare i risultati definitivi: la Pennsylvania. Con 20 grandi elettori è il bottino più grosso tra quelli rimasti in palio. Sarebbe un finale all’ultimo respiro.

E se Trump non accettasse il risultato?

Era una domanda circolata molto nei giorni antecedenti al voto. Il condizionale in realtà non è più necessario, perché Donald Trump ha già fatto qualcosa di simile. Quando in Italia erano circa le 8 di mattina, Donald Trump ha tenuto un comizio alla Casa Bianca in cui ha annunciato la propria vittoria. Si tratta di un’affermazione palesemente falsa, soprattutto perché data in un momento in cui la situazione dello spoglio era – e di fatto è ancora – molto in bilico.

Il comizio con cui Trump ha annunciato la propria vittoria e denunciato brogli elettorali, dal suo profilo Twitter.

Di fatto potrebbe essersi avverato quello che, alla vigilia delle elezioni, veniva chiamato il «red mirage», ovvero l’impressione che Trump fosse largamente in vantaggio in molti Stati (il rosso, l’avrete capito, è il colore associato ai repubblicani) e dovuta alla mancata comunicazione per tempo dei voti anticipati (che come avrete capito sono a maggioranza democratici). In effetti quando Trump ha tenuto il proprio comizio, risultava ampiamente in vantaggio in tutti gli Stati in bilico, dove però il conteggio non superava il 50% delle schede. Più lo scrutinio va avanti, più la realtà sembra un’altra. Cosa farà allora Donald Trump? Durante il comizio ha denunciato brogli, quasi in maniera preventiva. Nelle ultime ore il suo comitato elettorale sta contestando i risultati in Arizona, dove effettivamente pare esserci stato un errore nel computo totale delle schede. Se dopo un testa a testa serrato nei cinque Stati ancora in bilico, Biden risulterà vincitore, Trump accetterà il risultato o chiederà un riconteggio dei voti, appellandosi alla Corte Suprema? È già successo in passato.

In ogni caso Donald Trump non sembra aver compreso – o voler compredere – come funziona lo spoglio elettorale

Quando sapremo il vincitore definitivo?

I primi Stati tra quelli in bilico a terminare lo spoglio dovrebbero essere Wisconsin, Michigan e Georgia. Se Biden vincesse in tutti, la partita sarebbe chiusa. Altrimenti bisognerà aspettare i risultati di Pennsylvania e North Carolina, oltre che quelli definitivi di Arizona e Nevada (che tutti continuano ad assegnare a Biden, sebbene lo spoglio sia ancora in corso). Questi ultimi arriveranno probabilmente venerdì mattina, ora italiana.

Immagine di copertina: la folla, non distanziata, al comizio elettorale del presidente in carica a Kenosha, in Wisconsin, il 2 novembre. Dal profilo Twitter di Donald J. Trump.

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Perdutamente affascinato dalla domanda che il pastore errante dell'Asia non riesce a trattenere di fronte al cielo stellato: «Che fai tu Luna in ciel?». È lo stupore il sale della vita! Amante della realtà in tutte le sue sfaccettature: continuamente teso alla ricerca della meraviglia e dell'infinito. Acerrimo nemico dell’indifferenza e terribilmente curioso, assetato di conoscenza, inguaribile ottimista. Scrivo per andare oltre, al cuore della realtà.

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