Pinocchio: una trasposizione «rispettosa ma senza palpiti»

Pinocchio di Matteo Garrone, candidato agli Oscar per i migliori costumi e trucco, riporta fedelmente sul grande schermo il classico Collodi

Cogito et Volo dedica anche quest’anno una particolare attenzione alla corsa agli Oscar 2021, con approfondimenti sul sito e contenuti extra su Instagram e Facebook. Daremo un’occhiata da vicino a tutte le otto pellicole candidate per il miglior film, con recensioni e curiosità, e commenteremo i risultati finali all’indomani della notte degli Oscar, che si terrà il 25 aprile. Qui trovate tutti gli articoli già pubblicati.

Candidato agli Oscar 2021 per i migliori costumi e il miglior trucco, Pinocchio (2019) di Matteo Garrone e con Roberto Benigni aveva già sfiorato l’eccellenza con dieci candidature e cinque premi vinti al David, anch’essi nell’ambito scenografico e costumistico. Perché non concorre all’Oscar per il miglior film? Forse, citando la critica di Mereghetti, perché è una versione «rispettosa ma senza palpiti» dell’originale di Carlo Collodi.

Volevi solo soldi, soldi (clap clap)

Sin dal primo fotogramma Pinocchio appare per quello che è: una storia che parla di povertà prima ancora che di precetti d’infanzia. Le monete sono il motore immobile della trama, perché è per guadagnare che Geppetto baratta la sua giacca col ciocco di legno che darà vita a – o meglio, da cui sbucherà, pieno di vita – Pinocchio. È per soldi che Pinocchio vende l’abbecedario rinunciando simbolicamente e fattivamente alla sua educazione, è sempre per denaro che lui stesso viene tradito da Gatto e Volpe i quali, più che come due furbi imprenditori, sono rappresentati come due mendicanti. Sono tutti sul lastrico: la differenza tra protagonisti e antagonisti è la dignità con cui la povertà viene vissuta e affrontata. Pinocchio diventerà un bambino vero non tanto quando farà “il bravo”, ma quando avrà imparato a non tradire la sua vita frugale con le tentazioni del mondo.

Geppetto non ha niente a che vedere con il falegname disneyano con la casa piena di orologi a cucù. È un Benigni invecchiato biologicamente e dal trucco, vestito di stracci e con una fame che i lettori ottocenteschi di Collodi avevano conosciuto davvero. Il grillo parlante non potrebbe mai pronunciare le parole di quello di Walt Disney: «tutto era bello come in sogno».

Pinocchio è una storia per bambini o sui bambini?

Questo il grande interrogativo che accompagna tutta la visione del film. Disperazione, povertà, inganni, impiccagioni, la severità di un sistema scolastico che va avanti a bastonate e passeggiate sui ceci. Bambini che si trasformano in asini e vengono venduti, buttati a mare con una pietra al collo, per poi finire ingeriti da un terribile pescecane (non una balena)! Chi, nell’inverno 2019, ha portato al cinema i suoi bambini per vedere Pinocchio, avrà forse dimenticato la crudezza della storia originale che qui viene riportata per intero.

È probabilmente per il legame così stretto e fitto, quasi claustrofobico, con la trama originale, che questo film non riesce a spiccare il volo. È cosparso di un’amarezza che non può essere compensata dalla troppo breve scena finale; la fotografia è volutamente spenta, grigia. La bellezza e la cura dei costumi non sono sufficienti a dare allo spettatore un momento catartico che non giunge mai. Eravamo abituati a un Benigni folle, brillante: anche qui forse lo è, ma per troppo poco. Il Pinocchio di Matteo Garrone è una luce di candela che è e vuole rimanere fioca.

La mission impossible del trucco

In un’intervista il truccatore Mark Coulier ha raccontato i retroscena del suo mestiere, che è “l’incubo dei film coi bambini”. Per fortuna Federico Ielapi, interprete di Pinocchio, ha avuto una pazienza ascetica nel lasciarsi truccare per tre ore e mezza al giorno per comporre sul suo volto una maschera che andava distrutta e ricostruita ogni volta. Per non parlare delle fastidiose protesi alle braccia e alle gambe. Un lavoro intenso ed estenuante: 70 maschere in silicone realizzate in tre mesi, l’ambizione di non farle apparire plastiche ma lignee.

Barocco e impressionante il costume della Lumaca, conteso tra il desiderio di Coulier di renderla più viscida e quello del regista di darle, com’è poi risultato, un aspetto più asciutto e polveroso, tipico di quell’atmosfera persa nel tempo che si respira in casa della Fatina.

Cosa manca?

Un cast stellato (con anche Gigi Proietti in Mangiafuoco, Rocco Papaleo nel ruolo di Gatto), una cura minuziosa per i dettagli scenografici, una colonna sonora flautata scritta da Dario Marianelli, Oscar nel 2008 per il film Espiazione. Che altro volevamo?

Un dettaglio minuscolo e immenso: una sorpresa.

(Immagini tratte da fotogrammi del film Pinocchio di Matteo Garrone)

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