La solitudine del lago di Bled

Per quanto possa essere bella una cosa, se rimane sola e poco apprezzata sarà sempre bella a metà.

Il team di Cogito et Volo ha scelto di dedicare il mese di agosto ad un tema speciale: il futuro post-Covid e soprattutto quei “luoghi” – fisici e non – che la pandemia rischia di rendere disabitati. È il nostro modo per ripartire: radicati nel passato, la mente fissa sul presente e lo sguardo rivolto al futuro. Per leggere tutti gli articoli dello speciale clicca qui.

Ogni anno, il lago si risvegliava dal torpore dell’inverno, un inverno così profondo da congelare gli ingranaggi del tempo: la sua coltre di neve e tenera luce era capace di fermare la corsa delle stagioni, quasi si trattasse di un potente incantesimo destinato a spezzarsi all’arrivo della primavera.
Adagiato ad occhi chiusi, in attesa del gran risveglio, quello specchio d’acqua sentiva il lento muoversi della vita intorno a sé. Chiunque arrivasse, si trovava davanti ad uno spettacolo immortale, ad una splendida goccia di blu profondo addormentata nel mondo, pronta a destarsi al disgelo.

Finalmente il mio letargo sta finendo! Voglio rivedere i colori del mondo!

A marzo, il lago poteva restituire l’immagine specchiata di un cielo cobalto solcato da nuvole bianche, che si alternavano sopra di lui come cigni che, delicatamente, scivolassero sul suo manto d’acqua. All’intorno, riecheggiavano i suoni della natura, accompagnati da leggeri refoli di vento; raggi di luce calda scivolavano tra le verdi piante che lo circondavano e si tuffavano in quell’eterna e limpida acqua, figlia del ghiaccio di un tempo, ora dimora di innumerevoli pesci che danzavano sfiorando quel contorno di fiori di loto sfumati di rosa. In quell’idilliaco angolo di mondo, il lago non si sforzava di stupire, viveva il lento scorrere della vita e del tempo con la semplicità delle cose più belle.

Chiunque arrivava da lui si sentiva avvolto in un bacio vellutato. Il lago era così autentico e naturale che sembrava aprire il suo cuore a chiunque gli fosse vicino, anzi: voleva metterlo così ben in evidenza da farlo affiorare, dandogli la forma di un’isola proprio al centro delle sue acque. Era qualcosa di unico e mai visto altrove sul pianeta. Probabilmente aveva capito che, se non avesse avuto paura di mostrarsi, avrebbe potuto creare qualcosa di magnifico.

Sull’isola, molto tempo prima, era sorto un monastero che ben si adattava allo stile di vita del lago, così immerso e in sintonia con la natura da sembrare un elemento naturale anch’esso. All’epoca, come anche al giorno d’oggi, si usavano piccole imbarcazioni di legno per attraversare il lago, per non disturbare quell’ambiente incontaminato.

Fu soltanto una l’occasione in cui la pace del lago fu turbata. Una leggenda risalente a quel periodo, tramandata nei secoli, narra che dopo la costruzione del monastero uomini spietati commisero un omicidio, gettando il corpo della povera vittima nel lago, lasciando vedova una moglie e facendo vedere alla natura, in un solo gesto, tutta la crudeltà di cui poteva essere capace l’uomo: una crudeltà che mai, prima di quel giorno, era arrivata a toccare quel luogo.
Forse fu per questo fatto che il lago, impaurito dall’uomo, non volle più nessuno intorno al cuore. Si racconta che la povera vedova, per amore, cercò di portare una campana al monastero in ricordo del marito ucciso, ma durante il trasporto il lago fece naufragare l’imbarcazione e la campana si perse sul fondo, senza essere più ritrovata. Solo l’intervento di un papa riuscì a convincere il lago a fidarsi ancora. Saputa la storia della vedova, egli volle infatti donare una sua campana al monastero, perché fosse ben visibile e i suoi dolci rintocchi fossero a disposizione di tutti.

«Questa è la mia storia», sospira il lago, consapevole che, come per tutte le ferite più dolorose, c’era voluto del tempo per far riaffiorare dal suo fondale la bellezza e la serenità di cui era capace. Non è difficile pensare che, dopo tanto dolore, desiderasse il ritorno di quella bellezza perduta. Grazie a quella campana, il lago diventò ancor più un’emozione per l’anima di chi vi andava in visita. Da allora, quella fu conosciuta come la campana dei desideri. Sempre più persone andavano al lago e poi alla campana per affidarle i propri desideri e farli librare insieme ai suoi rintocchi, che diffondevano energie positive a suon di musica.

Quest’anno, come ogni anno, il lago si è svegliato con l’inizio della primavera e con lui tutta la natura che lo abita, dai fiori che aprono gli occhi liberando i loro colori agli uccelli che, cantando, fanno risuonare quei colori nell’aria. Tuttavia, per la prima volta nella storia del lago, nessuno sembrava essersi accorto di lui. Forse si era svegliato troppo presto, pensava.

In fondo non si sta poi così male da soli, per qualche momento.

Così pensava, mentre i giorni della primavera passavano, ma ben presto si accorse che la solitudine gli portava tristezza e sconforto. Per quanta bellezza avesse da offrire, a nessuno sembrava importare. Per quanto possa essere bella una cosa, infatti, se rimane sola e poco apprezzata sarà sempre bella a metà.

Capì, il lago silenzioso, che quell’anno non sarebbe stato come gli altri.
«Forse nessuno verrà, forse nessuno si ricorda di me», sospirava il lago rivestito di lacrime alle sempre più chiare notizie che vietavano spostamenti di persone e viaggi di piacere, per molto tempo, forse troppo. Era stanco e imbruttito dal vedersi abbandonato, nel vedere alberi stanchi accasciarsi senza che nessuno potesse sentirli cadere, nel non sentire più le emozioni umane che lo rivestivano di solito, storie di incontri a riva, di mani intrecciate sulle sponde verdeggianti, di risate, armonia, ora la sua campana dei desideri era appesantita al punto che, forse, non sapeva più suonare.

In quel silenzio avvolgente, però, poteva sentire il rintocco un’altra campana, quella della vedova adagiata sul fondale. Glielo avevano detto che avrebbe continuato a suonare, anche se quello era un suono quasi impercettibile e solo ora, nel silenzio profondo in cui era abbandonato, la sentiva e ricordava la crudeltà dell’uomo, la paura, lo sconforto di un cuore ferito e lacerato, allora come in quel momento.

Torna a da me, mondo, non voglio rimanere solo!

Chiede il lago a gran voce, per richiamare l’attenzione su di sé. Ha tanta voglia di mostrarsi alle persone e tanto bisogno non essere abbandonato. La natura è già pronta, il sole lo scalda da mesi, stelle stupende lo illuminano di notte per non lasciarlo nell’oscurità, ma soltanto l’amore delle persone può scaldarlo davvero e farlo sentire protetto, fargli risentire il suono della campana dei desideri. Ha permesso a tanti sogni di diventare realtà, ma ora deve avverarsi il suo, quello più importante, quello di non essere dimenticato.

Racconto e immagini a cura di Guido Fogliata.

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