Vivere nell’area gialla a ridosso della quarantena

La vita al tempo del coronavirus

Il virus continua a far parlare di sé. I numeri giungono ogni giorno e aumentano con costanza. Gli scienziati ricordano che la mortalità di questo nuovo virus è molto bassa (ora si stima attorno al 3,4 %) ma rimane comunque una malattia sconosciuta, di cui si sa poco e che si affronta con cure sperimentali. Ciò nonostante le misure adottate dal Governo, coadiuvato da un team di medici e dalla Protezione Civile, risultano ingenti e sembra possano prolungarsi nel tempo al fine di limitare il contagio e contenere i numeri sopra citati.

Una sfida non semplice che certamente va affrontata con grande responsabilità da parte di tutti i cittadini, specie quelli coinvolti nella zona rossa e nelle aree limitrofe a questa.

Nello scorso articolo dedicato alla cronaca dello scoppio dell’epidemia nell’area gialla di San Rocco al Porto avevo descritto gli avvenimenti di quei fatidici giorni, i primi di un lungo percorso che pensavamo e speravamo non arrivasse a tanto. Tuttavia, come descritto nelle ultime righe dell’articolo, i giorni sono passati in uno stato di confusione sulle regole da adottare, su ciò che era o non era permesso fare e soprattutto erano trascorsi in una sorta di limbo psicologico, tra la consapevolezza di poter superare l’emergenza, e una gran paura del contagio, risultato particolarmente aggressivo.

Certamente non si possono negare gli elogi ai medici e agli operatori sanitari di ogni ospedale d’Italia attualmente impegnato nella gestione dei malati e nella loro guarigione così com’è doveroso riconoscere il tempestivo intervento delle forze dell’ordine e della Protezione Civile, anche se con qualche “falla” occasionale.

Certo, in una tale emergenza non è semplice rimanere lucidi ed essere in grado di fornire a tutti i bisognosi d’aiuto una risposta efficace ed immediata. Nessuno può negare le grandi difficoltà organizzative e la complessa gestione dei numerosi contagi, specie nella provincia di Lodi, ma in quanto cittadini chiamati al dovere non possiamo non notare alcune gravi mancanze.

Chiesa di San Rocco al Porto (LO). Foto: Wikimedia Commons/ Arbalete – Own work, CC BY-SA 3.0

Le forze dell’ordine e i posti di blocco alla zona rossa

Per chiudere il cordone sanitario attorno alla zona rossa, l’area di quarantena individuata in 10 paesi del basso lodigiano, è certamente necessario che le forze dell’ordine impediscano l’entrata e l’uscita da queste zone, concedendo il passaggio solo in caso di necessità e a chi presenta un permesso rilasciato dalla Prefettura di Lodi.

Ciò nonostante proprio questa settimana un mio stretto parente che necessitava di realizzare alcuni importanti esami presso l’ospedale di Casalpusterlengo, nonostante l’appuntamento fissato presso la struttura sanitaria, non è stato fatto passare ai posti di blocco. Le forze dell’ordine presenti hanno quindi fornito un numero interno della prefettura a cui chiedere un permesso per il passaggio in zona rossa fino all’ospedale. In giornata la prefettura ha fornito il documento che è stato presentato stampato al posto di blocco il giorno successivo. Ciò nonostante le forze dell’ordine non hanno permesso il passaggio del paziente e non hanno voluto parlare telefonicamente con il medico responsabile del reparto. Risultato di questo disguido: il paziente si deve presentare una terza volta con permesso della Prefettura e timbro dell’ospedale interessato.

I tamponi negati

I casi aumentano e così anche a San Rocco al Porto che in data 6 marzo registra 15 contagiati. Questi però sono i numeri ufficiali. Infatti bisognare contare che i parenti stretti dei positivi, quali mogli o mariti oppure figli che hanno vissuto strettamente vicini ai contagiati, spesso non vengono sottoposti a tamponi, a meno che non presentino febbre alta. Occorre però ricordare che la febbre alta non è l’unico sintomo e se una persona accusa altri sintomi, magari in forma lieve, e non sa di essere positivo, potrebbe contagiare altre persone a sua insaputa. Limitare il numero dei contagi non effettuando i tamponi potrebbe quindi avere l’effetto contrario, innalzando in modo esponenziale il conteggio dei positivi.

Caso emblematico è quello di un parente che accusava difficoltà respiratorie, forse un inizio di polmonite, e che ha visto negata la richiesta di effettuare un tampone. Tragico è anche il caso del membro di una famiglia, risultato positivo e ora ricoverato presso una struttura ospedaliera, che era stato respinto da un’altra struttura sanitaria su consiglio di “farsi una tisana” nonostante la febbre alta e i palesi sintomi del virus.

Al momento però la popolazione locale si fa forza e con grande coraggio affronta quotidianamente le difficoltà imposte dalle circostanze attuali. Forse la chiusura delle scuole verrà prolungata o forse no. Ciò che dobbiamo fare per ora è attenerci alle disposizioni fornite e sperare che non si verifichino altre falle in questo delicato sistema.

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Attratta dalla natura e dal mondo che ci circonda, ho sempre lo sguardo volto al cielo. Sono astrofila, divulgatrice scientifica, attualmente presso l'osservatorio G. Colombo di Padova, e studentessa di astronomia, all'università di Padova.

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