Il Fashion è Green, o almeno ci prova: a che punto è la moda della sostenibilità ambientale

Dopo i dati di inquinamento allarmanti registrati dal settore, i consumatori si sono schierati per un’industria più ecosostenibile.

Il fatto che il tasso di inquinamento stia drasticamente incrementando negli ultimi anni non è un segreto per nessuno. E per quanto mi dolga ammetterlo, il settore della moda e del fashion ne è uno dei principali protagonisti in negativo.

Tra le cause, la nuova voracità del mercato documentata lo scorso anno: un consumatore medio acquista oggi il 60% in più di capi rispetto agli ultimi 15 anni, conservandoli solo per la metà del tempo.

Globalizzazione e “socializzazione” di certo, fanno la loro parte: alcune analisi in Gran Bretagna hanno riportato che una ragazza su tre considera “vecchi” i vestiti indossati una o due volte, per non parlare di quanto sia ritenuto “scandaloso” l’essere immortalati sui social con lo stesso outift in più di una foto.

Ma non solo: la velocità con cui viaggiano le tendenze, “alla moda” un giorno e “fuori moda” il giorno dopo, non fa altro che aumentare il vortice degli acquisti impulsivi usa e getta, per nulla ecosostenibili.

L’industria dell’abbigliamento e delle scarpe incide sull’8% delle emissioni globali di gas serra, per un valore pari a 3,990 milioni di tonnellate di CO2, con il cuoio in cima alla lista dei materiali più inquinanti; e secondo la Ellen MacArthur Foundation, il settore tessile, con i suoi 1,2 bilioni di tonnellate annuali, supera la somma delle emissioni dovute al trasporto aereo e marittimo.

La tintura dei tessuti è la seconda causa di inquinamento dell’acqua sul pianeta e il rilascio di microfibre registrato ogi anno equivale a circa 50 bilioni di bottiglie di plastica.

Dati allarmanti che hanno sconvolto tanto gli studiosi quanto i consumatori, i quali hanno deciso di prendere ferrea posizione e sostenere quei brand che “agiscono bene”, informandosi sia sulla provenienza dei materiali e delle lavorazioni di indumenti e calzature, sia sul loro smaltimento ecologico.

Una generazione quella dei Millennials, potremmo dire, molto più green delle precedenti che si schiera anche se in maniera a volte contradditoria, più dalla parte del pianeta che da quella del virtual chic.

Ma come stanno reagendo le grandi industrie fashion davanti a queste richieste?

Nonostante non si tratti di un processo semplice e rapido, i big del settore hanno deciso di impegnarsi per raggiungere obiettivi ecosostenibili.

In che modo? Ad esempio passando al cotone 100% biologico e poliestere riciclato come per la collezione Conscious di H&M oppure attraverso l’impiego di così detti materiali di “nuova generazione” come la pelle vegetale ricavata dagli scarti delle foglie d’ananas, la Pinatex.

I marchi appartenenti ai gruppi del lusso Kering e LVMH, tra cui Gucci, Louis Vuitton e Fendi, stanno invece lavorando alla sperimentazione di tessuti innovativi, e al contempo per cercare di ridurre le emissioni di gas serra dei loro laboratori fino al 40% entro il 2025.

Nuove industrie stanno facendo la loro fortuna sul mercato delle fibre green, come Agraloop negli Stati Uniti, specializzata nella trasformazione di rifiuti alimentari, come bucce di banana in fibre impiegabili dall’industria tessile.

In Italia, un lavoro molto simile è svolto da Orange Fiber, in grado di produrre un tessuto simile alla seta a partire dagli scarti degli agrumi, molto utilizzata dalla compania Ferragamo.

Salvatore Ferragamo, tra gli orgogli italiani dal 1927 e fervente sostenitore della moda ecosotenibile, ha anche avviato una mostra chiamata Sustainable Thinking, per spingere la gente a rifelttere sui temi di preservazione ambientale, e che sarà possibile visitare fino all’8 marzo 2020 a Palazzo Vecchio a Firenze e presso il Museo del Novecento di Milano.

Immagine di copertina: Detox campaign protest, Greenpeace

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"La mente è il proprio luogo, e può in sé fare un cielo dell'inferno, un inferno del cielo."

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