Come conosceremo nuovi amici nel post-Covid?

Tra centri sociali chiusi e senso di smarrimento: nell’era post Covid-19 dovremo riscoprire i luoghi in cui riusciamo a metterci in gioco.

Il team di Cogito et Volo ha scelto di dedicare il mese di agosto ad un tema speciale: il futuro post-Covid e soprattutto quei “luoghi” – fisici e non – che la pandemia rischia di rendere disabitati. È il nostro modo per ripartire: radicati nel passato, la mente fissa sul presente e lo sguardo rivolto al futuro. Per leggere tutti gli articoli dello speciale clicca qui.

Sono cresciuta in un oratorio estivo.

Un lunedì mattina dello scorso giugno – uno dei primi dopo la fine del lockdown – mi sono trovata a girovagare senza una meta ben precisa per la mia cittadina di provincia, riflettendo su come uno dei prezzi da pagare per la chiusura forzata fosse quello di veder scomparire i pochi luoghi certi di riferimento che avevamo.

A un certo punto alzando lo sguardo mi accorgo di essere arrivata proprio davanti alla cancellata del mio oratorio, che per la prima volta in 14 anni di assidua frequenza mi toccava vedere completamente vuoto e inaccessibile. Niente ragazzini che urlano, niente pianti per l’abbandono della mamma, niente palloni lanciati contro la finestre delle suore. Una grande pace, ma anche una grande tristezza.

Che scena surreale.

Osservo attentamente il cortile e penso:

Se chiudo gli occhi riesco benissimo a sentire sulle gambe la pietra calda del mattonato, come se fosse un normale pomeriggio estivo e io ci fossi seduta sopra a fare merenda

È uno scenario così assurdo che mi sembra di stare nella scena finale di Fight Club. Quasi mi guardo intorno a vedere se qualche mio amico storico sta arrivando per assistere con me all’apocalisse. Ovviamente nulla di tutto ciò accade e sono costretta a ritornarmene a casa.

da Figh Club di David Fincher, 1999

Per strada incontro alcuni di quelli che avrebbero dovuto essere i protagonisti del circo chiassoso e buffo poco prima descritto: sono dei bambini ovviamente. Molti sono accompagnati dalle nonne e qualcuno ha la fortuna di avere una sorellina o un fratellino da utilizzare come compagno di gioco, altri ancora trascinano solitari i loro monopattini con aria un po’ scocciata, forse avendo già capito che non sono degni sostituti degli amici in carne ed ossa.

Provo una grande rabbia per loro, per l’esperienza di cui sono stati privati e tutti i momenti a cui questo Covid-19 li sta costringendo a rinunciare. Poi penso alla mia generazione: in fondo anche io sono lì a camminare sola e annoiata di lunedì mattina.

E non ho nemmeno un monopattino.

Realizzo che siamo sulla stessa barca io, i ragazzini con le nonne e tutti quelli che hanno perso il loro luogo di riferimento: siamo rimasti senza un contenitore sociale. Ma che cosa intendo? Dopo l’inverno, l’isolamento forzato, la paura e la conseguente diffidenza rischiamo che il nostro primo e unico desiderio sia quello di voler riabbracciare solo i cosiddetti affetti stabili. Da un lato è stupendo che questa situazione, seppur nella sua tragicità, abbia dato nuova linfa a dei rapporti umani che magari ci sembravano stantii e privi di nuovi stimoli, d’altra parte c’è un’alta probabilità di rinchiudersi nella propria comfort zone.

È bello essere già circondati da persone con cui siamo felici, ma in questo assetto post-pandemico dove conosceremo le persone che ancora dobbiamo conoscere? Saremo in grado di metterci di nuovo in gioco con altri, inizialmente sconosciuti, per progredire nel nostro percorso di vita? Da che mondo è mondo il progresso personale nasce dalle nuove opportunità, che a loro volta provengono dal caso e non è raro che questo caso sia fatto di carne ed ossa.

Per questo credo che dovremmo tendere con forza verso i contenitori sociali: quei luoghi di aggregazione libera, casuale ed imprevedibile, in cui riusciamo comunque a sentirci a nostro agio e proprio per questo a metterci in gioco. Solo in questo modo potremo creare dei proficui legami interpersonali e scoprire le piccole cose che faranno da tasselli per il nostro futuro.

Un posto di questo tipo varia logicamente da persona a persona. Il vostro potrebbe essere la palestra, la cooperativa per cui fate volontariato o più banalmente i corridoi dell’università, ma anche il fidato baretto sotto casa. Tutto va bene purché sia stato un luogo che vi abbia felicemente esposto all’imprevedibile. Se avete un posto così molto probabilmente vi sta mancando e siete qui con me con un po’ di magone in gola. Se invece non ne avete ancora uno e siete familiari con quella sensazione di smarrimento sociale che la quarantena ci ha regalato, la ripartenza potrebbe essere per voi l’occasione di mettervene in cerca. Rimarrete stupiti di quante dimensioni di questo tipo sono sempre esistite sotto il vostro naso.

Certo, è un’operazione che va fatta con cautela, nella maniera graduale che ci verrà indicata ma non possiamo scordarci di questo di bisogno. Ignorandolo il risultato sarebbe un perenne senso di vuoto e insoddisfazione che molti di noi stanno già vivendo ora. Figuriamoci nel lungo periodo!

Immagine di copertina foto di Ba Phi da Pexels

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Studentessa di Giurisprudenza che mangia Pop Culture a colazione e ve la racconta nel tempo libero. Trovo sempre il pelo nell'uovo ma non per questo disprezzo la frittata. Metà ironica, metà malinconica. Da grande voglio fare la Mara Maionchi. (@jadesjumbo)

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