Quest’anno, nel caos delle vacanze cerchiamo il silenzio

Dopo la quarantena continuiamo a confondere il caos delle vacanze per serenità, mentre dovremmo approfondire l’eredità del lockdown: il silenzio

Il team di Cogito et Volo ha scelto di dedicare il mese di agosto ad un tema speciale: il futuro post-Covid e soprattutto quei “luoghi” – fisici e non – che la pandemia rischia di rendere disabitati. È il nostro modo per ripartire: radicati nel passato, la mente fissa sul presente e lo sguardo rivolto al futuro. Per leggere tutti gli articoli dello speciale clicca qui.

La vacanza è il luogo dove, ogni tanto nella giornata, occorre avere il più grande dono che la vita ci ha fatto: la mente silenziosa.

Raffaele Morelli

Quelle del 2020 saranno senza dubbio ricordate come le vacanze più atipiche dal dopoguerra ad oggi. Tutta colpa della pandemia da Covid-19, motivo continuo di forti paure. Le norme relative al distanziamento sociale hanno modificato le regole del gioco: niente affollamenti in spiaggia, ombrelloni distanziati, niente ammucchiate di gente in fila al bar o negli aeroporti. Contingentati gli ingressi negli hotel, nei campeggi e nelle discoteche. Seppur stringenti, queste regolamentazioni sono ben diverse dalle previsioni che circolavano a marzo e aprile.

Nonostante le terribili notizie circa l’aspetto sociale, economico e sanitario, che ancora oggi scuotono il mondo, noi italiani non abbiamo avuto altro che un pensiero: la perdita delle nostre vacanze. Del resto, per qualcosa dovevamo pur preoccuparci e dunque ci siamo caricati di cotale problema.

Sembra ieri, ma a pensarci bene sono ormai lontani i tempi in cui ragionavamo di improbabili gabbie in plexiglas da posizionare in spiaggia per rinchiuderci dentro noi comuni mortali, trattati come animali allo zoo. Allo stesso modo, è stata tacciata come incostituzionale la proposta dei braccialetti di monitoraggio territoriale, eliminata a gran voce anni fa per i criminali con pena detentiva domiciliare. Tant’è. Così gli ombrelloni, distanti otto metri già dal 9 di marzo, si sono riavvicinati tra loro, giorno dopo giorno. Avevamo davvero immaginato il peggio!

Foto a cura di David Mark.

Per un attimo, per un infinitesimo d’attimo, abbiamo temuto per il “nostro” spazio di “libertà”

Abbiamo temuto di non poter affiancare i teli da mare a distanza millimetrica dal nostro vicino di spiaggia sconosciuto, stretti come sardine in una scatola di latta. Abbiamo temuto di non poterci incolonnare in file chilometriche in tangenziale, di dover rinunciare a quel traffico di quattro ore in macchina per il mare, a quel groviglio di auto in strada e di urla in spiaggia, ai tormentoni reggae-jamaico-salentini. Non potevamo certo rinunciare alla sabbia scalciata con sapienza sulle nostre borse, allo slalom tra plastica e sabbia, ai fili di spago lasciati sulla sabbia e incastrati nelle infradito. 

Ancora: fortuna che grazie al lockdown abbiamo potuto giustificare i chili in eccesso. E quindi, via la paura della prova costume, via la mascherina e tutti in spiaggia. La pandemia? Il caldo, si sa, attenua tutti i coronavirus. Lo dicono i virologi. Entità mitologiche, metà medici metà presentatori tv. Anzi, lo dicono tutti. 

Un attimo. Cosa stiamo dimenticando? Si, caricabatterie, asciugacapelli, occhiali da sole, certo. Cosa stiamo dimenticando davvero? 

Il silenzio. 

Foto a cura di Ernie A. Stephens.

Come abbiamo potuto temere il rischio della rinuncia a tutto questo frastuono?

Spiegare la necessità della società moderna di aggregarsi in comparti spaziali super affollati, andando a cercare volontariamente il caos scambiandolo per serenità, non è semplice. Figlia di un’attitudine ormai automatizzata, la tendenza è quella di riempire posti già colmi di gente entrando in una spirale senza uscita, sintomo di una comunità che sta dimenticando il dono prezioso del silenzio. Rispetto alla routine, cambiano i luoghi, cambiano i tempi e i modi, ma non le logiche: ripetere gli eventi in un continuo ciclo di analogie. 

È cosi che il traffico delle 08.00 in punto per raggiungere il luogo di lavoro si trasforma in quello sulle provinciali che portano ai siti balneari. Le lunghe code tipiche degli uffici postali altro non sono che sinonimi delle attese lungo le passerelle verso i bar di lidi o villaggi. Una proiezione della quotidianità, che si spoglia degli abiti da lavoro per indossare costume da bagno e pinne da sub. Quasi fosse automatico stancarci perfino per andare a stare bene. 

Pandemia: un nuovo punto di vista

La pandemia da Covid-19 può generare un’onda positiva sotto questo aspetto: può favorire, attraverso nuove norme di comportamento sociale, una scelta differente. La pandemia può farci recuperare il dono perduto del silenzio. Può aiutare a cercare un’atmosfera di intimità entro la quale riconciliarci nel silenzio. Il frastuono tipico della vacanza estiva può essere, in questa ottica, declassato. Rischia, per dire, di essere un luogo quasi dimenticato.

Erroneamente, la ricerca del silenzio è affiancata dal concetto di solitudine. E una società basata sulla esigenza di connessione è una società che non sopporta la solitudine. Anzi, ne teme gli effetti. Evitare il silenzio è causa che inflaziona alcuni luoghi di vacanza piuttosto che altri. Evitare il silenzio rende una meta più sicura di altre. Un luogo affollato è garanzia di soddisfazione per le aspettative create rispetto alla propria decisione. E la scelta rimane trasversale, per età e classe sociale, comprese quelle categorie cosiddette vip, abituate a confondere il concetto di silenzio con quello di esclusivo. 

Perché il silenzio è la resa dei conti con noi stessi.

Erroneamente, la ricerca del silenzio è affiancata dal concetto di solitudine. Foto di analogicus.

Il silenzio è riflessione, è pensiero. Può essere ovunque, perfino in ognuno di noi. Eppure tutti ce ne dimentichiamo. Potrebbe essere il nostro vero luogo di vacanza. Il silenzio non risponde alle esigenze del distanziamento sociale. Il silenzio è distanziamento sociale. Non si rischia di essere blasfemi se tentiamo di spiegare metafisicamente la catastrofe da Covid-19, con accezione addirittura positiva, per decifrare filosoficamente un evento epocale. Del resto, nella massa di opinioni di pseudo-scienziati, la filosofia rimane quella cosa con la quale e senza la quale le cose non cambiano. E quindi, poco male. 

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Io sono Arnaldo Berardi. Sono nato a Bari il 7 Dicembre del 1989 di un piovoso giovedì d’inverno. Attualmente studente del corso di “Strategie per i mercati internazionali” presso la facoltà di Economica dell’Università di Bari “Aldo Moro”. Sono assetato di conoscenza e vivo la mia vita nella consapevolezza che la cultura sia l’unica via per l’evoluzione dell’anima. Il sogno da realizzare è quello di poter divulgare cultura che possa arrivare a chiunque in qualsiasi parte del globo, indistintamente.

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