Appunti sulla cecità: percepire, muoversi, essere

John Martin Hull (1935-2015) fu un professore di teologia e scienze religiose all’Università di Birmingham. Appartenente alla corrente metodista evangelica, Hull divenne un’autorità nel campo teologico ancora molto giovane, quando nel 1974 pubblicò un testo di filosofia della religione intitolato Sense and Nonsense about God. La sua carriera prese una piega del tutto inaspettata quando nel 1983 i medici lo dichiararono completamente cieco, a seguito di una lunga patologia degenerativa della retina. Continuò a insegnare, a frequentare la comunità religiosa, a scrivere e a studiare, trovando numerosi espedienti, imparando a convivere con questa nuova condizione.

Tenne numerosi diari nel corso degli anni, non solo per raccontare la progressione della sua cecità, ma per indagare il fenomeno con un’analisi meticolosa delle sue percezioni e delle sue sensazioni, per far chiarezza sulle sue emozioni e sul cambiare delle relazioni con le persone e i gesti della quotidianità. In particolare, nel 1990 fece pubblicare il diario riguardante i primi anni di completa cecità, Touching the Rock, poi rinominato Notes on Blindness, pubblicato in Italia da Adelphi solo nel 2019 con il titolo Il dono oscuro. Da questo libro è stato tratto anche un docu-film, Appunti sulla cecità (2016), per la regia Peter Middleton e James Spinney, da guardare in lingua originale perché è stato fatto con le registrazioni vocali dello stesso Hull, ossia con le basi dei diari che venivano poi trascritti dalla moglie, Marilyn Hull.

Uno degli aspetti che più colpisce del suo diario è la relazione con i suoi cinque figli. Un giorno la figlia di mezzo, Lizzie, chiede: «papà, come fai a sorridere tra te e me quando io sorrido, e tu sorridi, se sei cieco?». Come si mantiene una spontanea relazione di reciprocità? Come fa un cieco a sapere quando deve sorridere?

 «Così, questa bambina che ha appena compiuto quattro anni è in grado di esprimere la disgregazione che la cecità produce nel linguaggio dei sorrisi. Ho notato la fine distinzione che ha fatto, implicitamente, tra il sorridere a qualcuno e lo scambio di sorrisi tra due persone. Non posso descrivere l’emozione che ho provato al pensiero che lei conosca così bene l’esperienza di sorridermi, mentre il sorriso fra noi due è non solo raro, ma un autentico enigma. Avevo subìto una grandissima perdita ma al tempo stesso mi era stata concessa una straordinaria occasione di arricchimento».

Ripensavo a questo passaggio quando, con la mascherina a coprire quasi la totalità della faccia, sotto gli occhiali da vista, ho incontrato sotto casa i miei vicini e i loro cani. Ho provato a sorridere alle persone, un cenno di titubante saluto e una ricerca di segnali di vita. Poi ho realizzato che nessuno lo avrebbe mai visto, sarebbe stato un superfluo guizzo muscolare senza significato alcuno. Ho salutato con la voce e me ne sono andata.

Fa pensare, no? Quanto sta cambiando il nostro modo di percepire le cose, le persone, le sensazioni. Quanto i nostri sensi sembrano inutili in questo momento. Abbiamo perso il tatto, l’abbraccio di un amante e l’erba sotto i piedi; abbiamo perso l’olfatto, il profumo di tutti quei fiori che stanno sbocciando liberi e delle città caotiche, frenetiche, brulicanti giorno e notte di esseri umani; abbiamo perso il piacere della vista, il piacere di vedere le stelle luminose dalla riva del mare  e quello del viso di uno sconosciuto che si apre in un sorriso al tuo passaggio. Fa paura non riconoscere i volti delle persone che incontriamo, da distante, sui marciapiedi semideserti. Demoralizza non ricevere risposta a uno sguardo, a un sorriso o a una linguaccia.
 

«In queste ultime settimane ho avuto un pensiero ricorrente – continua Hull – che la cecità possa essere un dono. […] Resisto a questo pensiero perché se la cecità è un dono dovrei accettarlo. Mi ero imposto di imparare a vivere con la cecità ma di non accettarla mai. Eppure quel pensiero continua a riproporsi, e stimola la mia curiosità. È possibile che, per vie strane e insondabili, la cecità sia un oscuro, paradossale dono?»

Ai noi del futuro spero rimanga qualcosa di tutto questo: di questo momento oscuro, di questi sorrisi interrotti e della reciprocità mancata. Spero riusciremmo ad apprezzare un po’ di più gli influssi e gli stimoli continui che ci arrivano dai nostri sensi, dalle percezioni più semplici e minime. Percepire, muoversi, essere.  Il nostro corpo è la più grande esperienza che possiamo fare. Ed essa si amplifica nella relazionalità: la vista è uno dei beni più grandi perché è il senso che maggiormente ci lega all’esterno, che crea un rapporto tra coscienza ed esteriorità, tra pensiero e mondo. Il vedere è sempre una relazione. Torneremo presto a vederci, a toccarci, scambiandoci autentici sorrisi. Questo è il nostro augurio. E per chi invece vede tutto nero davanti a sé, questa newsletter rimane comunque un ottimo consiglio di lettura.

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Laureata in Scienze filosofiche e ora studentessa del Master Professione Editoria cartacea e digitale a Milano. Quando non leggo, scrivo. Quando non scrivo, guardo film. Quando non guardo film, parlo ai miei amici dei film che ho appena visto. Quando non faccio nessuna di queste cose di solito sto cercando di replicare qualche ricetta di Masterchef.

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