La gratitudine di Oliver Sacks

Dall’archivio della nostra Newsletter, 4 aprile 2020

Nei mesi prima di morire di cancro il 30 agosto 2015, il neurologo Oliver Sacks scrisse moltissimo, con tutte le forze che gli erano rimaste, per terminare i libri già iniziati e per scriverne di nuovi. Sacks grazie alla sua mano incisiva e leggera, ha reso la neurologia a portata di tutti, regalandoci capolavori di divulgazione come Risvegli (1973), L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello (1985) e Allucinazioni (2012). Quello che è stato veramente Oliver Sacks lo troviamo però in Gratitudine, uscito nel 2016, in cui sono raccolti quattro brevi saggi, scritti nelle ultime settimane di malattia e che inviò lui stesso al New York Times.

Uno di questi saggi si intitola La mia vita ed è il testo con cui rivela ai lettori la sua diagnosi medica. Un pezzo per prendere congedo dal suo pubblico e dalla sua vita. Con una serenità e una pace disarmante, dice: 

«Negli ultimi giorni sono riuscito a considerare la mia vita come da una grande altezza, quasi fosse una sorta di paesaggio, e con una percezione sempre più profonda della connessione fra tutte le sue parti. Questo non significa che io abbia chiuso con la vita».

In un momento delicato come quello che stiamo vivendo le parole di Sacks possono essere un incoraggiamento per tutti noi, per tutti quelli che in questo momento stanno affacciati alla finestra ad osservare dall’alto la vita fluire, in attesa di ritornare alla normalità. Sospesi, attaccati a un filo, in questo stato letargico, torniamo con i nostri pensieri al passato e cerchiamo di aggrapparci a qualcosa di un futuro incerto. E forse non abbiamo ancora la saggezza di una vita intera, la certezza di stare per tornar ad essere un tutt’uno con l’universo, ma è questo il momento di cercare quelle connessioni profonde che Sacks ha trovato nel suo cammino. Quella linea sottile che unisce tutti noi, quel tremore che ci ha portati a cantare le canzoni sui balconi, quel legame che tiene unite le coppie divise e i familiari più cari. Quel legame col mondo che ti porta a sorridere, all’imbrunire, quando ti rendi conto che le giornate si stanno allungando e il sole tramonta tiepido e splendido dietro le case, o quando vedi le margherite riempire il piccolo giardino condominiale, o senti gli uccellini, alla mattina presto, che inneggiano all’inizio di un nuovo giorno. Quel legame col mondo che Ungaretti trovò nei fiumi che lo resero «una docile fibra dell’universo». È il momento giusto per connetterci con noi stessi o con l’altro, per trovare l’essenziale, il bene, per trovare conforto in Dio, o nella scienza, come faceva Sacks, che nei momenti di smarrimento cercava conforto nella tavola periodica. Non abbiamo chiuso con la vita. Ci siamo solo presi una pausa.

Sacks è stato un grande neurologo, un grande medico, ha lavorato fino alla fine dei suoi giorni con la curiosità e l’energia di un bambino, e ha colmato le sue pagine non solamente di casi clinici, ma di umanità, di sensibilità. Ha guardato il mondo con gli occhi oggettivi e precisi di uno scienziato e ci ha restituito un ritratto dell’umano e delle sue mille inclinazioni, dei suoi mille problemi, senza mai smettere di cercare di indagare la mente ma senza ossessionarsi sui tranelli della coscienza. Ci ha insegnato molto sull’uomo ma soprattutto ha cercato di insegnarci ad essere umani. 

«Non posso fingere di non aver paura. A dominare, però, è un sentimento di gratitudine. Ho amato e sono stato amato; ho ricevuto molto, e ho dato qualcosa in cambio; ho letto e viaggiato e pensato e scritto. Ho avuto un contatto col mondo, di quel tipo particolare che ha luogo tra scrittori e lettori.
Più di tutto, sono stato un essere senziente, un animale pensante, su questo pianeta bellissimo, il che ha rappresentato di per sé un immenso privilegio e una grandissima avventura».

Photo by Debby Hudson on Unsplash

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Laureata in Scienze filosofiche e ora studentessa del Master Professione Editoria cartacea e digitale a Milano. Quando non leggo, scrivo. Quando non scrivo, guardo film. Quando non guardo film, parlo ai miei amici dei film che ho appena visto. Quando non faccio nessuna di queste cose di solito sto cercando di replicare qualche ricetta di Masterchef.

1 Comment

  1. Il giorno della morte di Oliver Sachs ho scritto un post sul mio blog per ringraziarlo in quanto da lui ho preso il modo di pensare e di scrivere nonché il modo di vivere le isole (io vivo in Sicilia anche se troppo grande per capire o meglio aver sempre presente di essere su un isola). Nel tuo post non hai citato “l’Isola dei senza colore” che a me è piaciuto moltissimo avendo studiato medicina ed essendo un viaggiatore di professione.

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