I millennials e l’incubo della disoccupazione

Siamo dei nomadi, degli zingari. Con lo zaino rigorosamente leggero sempre in spalla, la valigia mai disfatta, il cuore pesante e la mente stanca.

2020, anno della pandemia e di una sempre più crescente disoccupazione.
Ha inizio la più grande crisi economica dal 2008, chiudono tanti locali e negozi soffocati da spese che non riuscivano a colmare.

2021. Ho 25 anni, ma quest’anno ne compirò 26. Ho due lauree e l’esperienza di un anno accumulata presso una start-up in cui non lavoro più.
Quando mi sono laureata ho pensato “Ci siamo, adesso troverò un lavoro e andrò via di casa, adesso comincia la vita vera!”.

Mi sbagliavo. Perché il mondo del lavoro fa schifo.

Ti ritrovi a cercarlo dovunque: LinkedIn, Subito.it, Monster, e chi più ne ha più ne metta. Arrivi anche ad andare di presenza nelle aziende e lasciare il CV cartaceo, elemosinando un piccolo posticino perchè la disperazione è tangibile.

Mandi mail con la stessa frequenza con cui respiri, ottenendo in cambio nessuna risposta oppure sì, ma solo per dirti: “No, al momento non abbiamo nessuna posizione lavorativa aperta, mi dispiace”.

Scrolli ancora la homepage dei principali strumenti di ricerca di lavoro e trovi solo offerte di call-center, animatori turistici, badanti o in alternativa posti a cui ambisci, ma che dichiarano di volere almeno un totale di anni di esperienza alle spalle, e tu ne hai solo uno.

E intanto il tempo passa. Allora non ti rimane che guardare fuori. Fuori dalla tua città, fuori dalla tua regione, fuori dal tuo Paese. La possibilità di preparare la valigia e andare via diventa sempre più concreta.

Cominci a pensare all’idea di salutare i tuoi amici, la tua famiglia, e magari quel tizio per cui avevi cominciato a provare un certo interesse ormai da un po’ di tempo e con cui speravi che sarebbe nato qualcosa.

Perché non c’è lavoro. Perché non c’è la stabilità del posto fisso verso cui ci spingono l’ansia di nonni, zii e genitori.

Perciò girati, guardati intorno, osserva, cerca nuove possibilità, reinventati, investi continuamente in nuovi stage sottopagati con il rischio che poi alla fine la promessa dell’assunzione non verrà mantenuta.

Intanto il tempo passa e tu hai paura. E il morale sta sempre più sotto un treno.

Hai paura che non riuscirai mai ad avere una stabilità economica sufficiente a permetterti di pagare anche solo un monolocale e non dividere un appartamento con qualche coinquilino stronzo. Che gli orari estenuanti a cui vieni sottoposto ti lascino talmente stremato da raggiungere in men che non si dica il burnout generale, bruciando tutti i sogni, le passioni e la creatività, e gettando acqua sulla piccola fiammella che ti teneva in vita e che non ti faceva assomigliare ad uno zombie.

La pesantezza del pensiero che non riuscirai ad avere nemmeno una stabilità emotiva o di non riuscire mai a creare un rapporto stabile con qualcuno di speciale, perché il lavoro non è stabile, oggi sei qui e magari domani trovi lavoro in Spagna, e tanti cari saluti al fidanzato nuovo di zecca.

Ma non è detta l’ultima parola, forse potete provare a salvare la vostra relazione. Allora iniziate a pensare a come mantenerla anche se distanti. E inizialmente vi sentite tutti i giorni, fate delle videochiamate, magari qualche messaggino hot di tanto in tanto, ma poi cominciate a farvi prendere sempre più dalla monotonia e dall’insoddisfazione che deriva dal non potervi toccare. Intanto uscite ognuno con la propria comitiva, si aggiungono nuovi amici, tra cui ci sono un ragazzo o una ragazza molto carini che iniziano a dimostrare un certo interesse, mettendo in crisi la relazione a distanza.

Per fortuna, e tendo a sottolineare fortuna, ancora posso tirare un sospiro di sollievo, perché ho trovato lavoro. È sbucato dal nulla, piovuto dal cielo. Provvidenziale. Ma se non avessi avuto questa buona sorte? Non a tutti capita. Se anche io fossi rientrata in quel 50% di possibilità di rimanere senza lavoro? Adesso magari avrei un biglietto pronto per qualunque destinazione, per cercare un po’ di quella fortuna che non avrei trovato qui.

Ma la verità è che, tolto questo briciolo di ottimismo, siamo la generazione della tragedia. Siamo una generazione emotivamente straziata. Dei nomadi, degli zingari. Con lo zaino rigorosamente leggero sempre in spalla, la valigia mai disfatta, il cuore pesante e la mente stanca. Oggi sono ancora qui, ma domani chissà.

Siamo viaggiatori. Circensi. Chiromanti. Puttane che si vendono per un po’ di soldi, quelli che gli serviranno per un nuovo viaggio.

Ma anche in questa frenesia e follia che straripano invadendo la nostra società, spero di trovare altri nomadi che siano per me buoni compagni di viaggio. Saremo una famiglia, ci sposteremo di città in città come una compagnia circense, e tra i pianti e la disperazione di non avere più radici, mi auguro che scappi qualche risata.

“Mal comune mezzo gaudio”, o almeno così dicono.

(Immagine di copertina: photo by Suganth on Unsplash)

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Sono una persona semplice, vado dove mi porta l'istinto. Credo nel sarcasmo e nell'ironia, ma anche nella bellezza della luce filtrata da una serranda, nel tramonto in riva al mare, nella risata che ti toglie il fiato. Credo in un mondo che ci fa sentire scardinati e perennemente in bilico, ma ogni tanto, se abbiamo fortuna, possiamo sentirci nel posto giusto al momento giusto. Della vita ho capito solo una cosa: che non ho capito niente.

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