In che senso non hai Instagram?

Instagram

Instagram, lo spartiacque tra i giovani veri e quelli che si fingono tali. Tra te che non ce l’hai e tutto il resto del mondo.

«Come ti chiami su Instagram?»
«Non ho Instagram».
«Tutto unito? Con o senza trattino?»
«Intendo proprio che non ho un account Instagram».
«In che senso non hai Instagram?»
«Nessun senso in particolare, semplicemente non ce l’ho».
«Ah, quindi come certi vecchi».
«Quali?»
«Quelli che non hanno Instagram. Che sono rimasti in pochi, fra l’altro. Mia nonna fa le dirette mentre impasta le crostate. Fa i reels mentre inforna. Le stories con le ricette».

high angle photo of person holding turned on smartphone with tall buildings background

«Ammirevole».
«Uh, intravedo una nota polemica. Allora sei dei passatisti. Quelli che rimpiangono le belle antiche serate a base di pizza e noleggio di VHS. Magari addirittura i puzzle. Quelli che si fanno le parole crociate sotto l’ombrellone e si flagellano perché non sapevano che “3 verticale, 12 lettere: danneggia gli uliveti” era la mosca olearia!»
«Grazie davvero, a saperlo non avrei usato quella rivista per incartarci i peperoni!»
«Sì, sì. Quei qualunquisti antirivoluzionari il cui piacere epicureo consiste nel diserbare le begonie del balcone. Gente che ha visto con sospetto l’invenzione della ruota e che insiste ancora sulla funzionalità del traino pur di non arrendersi al nuovo».

television showing man using binoculars

«E il nuovo sarebbe Instagram? Esiste da oltre dieci anni!»
«Dieci anni che sei fuori dal mondo!»
«Mi pare che sia il mondo reale, quello fuori».
«Eccola qua, la naturalista delle begonie. “AbBasSo lA tEcNoLogiA”, digitano dal loro smartphone di ultima generazione poggiato sul sedile di un’auto progettata con programmi di simulazione e che tra un decennio verrà guidata da un’intelligenza artificiale!»

«Io… io ho Facebook».

«Non farmi ridere, Facebook! E io ho una mail, ma non me ne vanto mica! Facebook è lo stanzino delle scope del grande mercato del digitale. È un luogo ristretto, con l’aria stantia, pieno di robaccia che non interessa più a nessuno. Ci trovi i pensionati che litigano per il campionato: è una piazzetta di paese. Puzza anche di morto».

person holding Android smartphone

«A me piace».
«Certo. Si chiama adattamento sensoriale. È il fenomeno per cui, a furia di sentire il fetore, neanche lo senti più».
«Instagram invece profuma?»
«Oh, Instagram è un arbre magique all’essenza di ferormoni. Ci sono tutti i ragazzini, là. O comunque gente che sotto il suo ego ci puoi apparecchiare un tavolo per dodici persone».
«E io che c’entro?»
«Oh, c’entri eccome. Perché anche il tuo resistere alla corrente è un atto egocentrico, come a dire Guardatemi, non ho Instagram. Quasi a fare l’asceta, il fenomeno, il caso umano. Proprio come quelli che stanno su Instagram».

person taking picture of the foods

«Ma io volevo soltanto farmi gli affari miei».
«E fatteli, ma da account. Così sei al sicuro».
«Da cosa?»
«Da quelli che deciderebbero che sei sfigata. Tu ti crei un profilo, e magari non pubblichi nulla. Però ci sei, puoi guardare quello che fanno gli altri. Partecipare alle loro vite. Persino a quelle di gente famosa! Tu, microbo di provincia, puoi avere libero accesso a cosa mangia la politica nel tempo libero. Oltre ai tuoi soldi, s’intende. Puoi diventare un silenzioso osservatore di tutti i minuti passetti del mondo».

selective focus photography of person taking picture of brown food

«Ecco, io temo proprio questo».
«Di sapere che a Boris Johnson magari piacciono i ravioli?»
«Di diventare un silenzioso osservatore. Bermi il mio biberon di fattacci degli altri, e di diventarne dipendente. Mi repelle il rischio di non dover più chiedere nulla a nessuno, ché tanto l’ho visto come stanno, come trascorrono la loro quotidianità. Di vivere in un mondo tutto vetrine dove si espone soltanto, e quindi, per legge di mercato, si è più tendenti alla menzogna. Nell’illusione, tra l’altro, che sia tutto lì, e che quello che non si vede lì non esista.

person holding iPhone displaying camera application

Temo l’abbassarsi delle istituzioni all’imperativo della facilità populista, alla semplificazione del diritto; già da tempo si sono perse le cravatte dei nostri politici e li abbiamo visti a torso nudo, come certi zii un po’ buffi che bazzicano su internet, ma facendo molto più sul serio. Mi preoccupa il sacrificio della parola, che negli anni diventa sempre più stretta, più di contorno, e questo ci toglie capacità di analisi, voglia di approfondire.

Devo già fare una fatica pazzesca per sorbirmi per intero un articolo che ritengo noioso, quando un secolo fa la gente per farsi un’idea delle cose leggeva libri interi, e anche più di uno per rischiararsi le idee su un unico dubbio. Qui, se va bene, prendiamo i titoli a colpi di pollici. Il mio timore è abbonarmi all’anteprima del pensiero, del sentimento. Fare così tanta indigestione di abbozzi da non saper più elaborare un’evoluzione. Arrendermi al rituale della prosa e all’ideologia di massa soltanto perché non ne ho di miei. Ritenere arte qualcosa che ha solo un piccolo cenno di decenza perché ho perso l’abitudine al vero, al profondo.

person taking photo of Golden Gate Bridge, California

O viceversa assuefarmi così tanto all’artefatto da rimanere delusa dalla banalità del reale, e quindi rifiutarlo nella sua interezza per garantirmi un’assicurazione sulla vita, sulla vista. Autorizzare alla cieca il mio consenso informato, infornato e morso a pezzi dalla solita multinazionale che ha già in mano i tre quarti della mia personalità, per poi essere rigurgitato ancora una volta sotto forma di un servizio di cui dubito di aver bisogno e del quale mi sento in dovere di usufruire solo per non sentirmi diversa. Ma diversa da che, da chi?»
«Scusa, mi sono addormentata. Puoi ripetere la domanda?»
«Siamo un pugno di persone sole, ciascuna col suo grave deficit di autostima, d’attenzione. Con le proprie carenze di silenzi e di parole ove opportuno, e con un disperato bisogno di qualcosa che non troviamo».
«E cosa, sentiamo?»
«Noi stessi».

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«STOOOOOP. Buona!»
«Davvero, Neil? Vuoi che la rifacciamo?»
«No, per carità, Grace, va benissimo».
«Dici davvero? La signorina Lawrence m’è parsa un po’ troppo critica, e io non ho reagito nel migliore dei modi. Insomma, non vorrei che Mark…»
«Sssh».
«Sono andata bene, maestro?»
«Oh, miss Lawrence, lei è insuperabile! Che doti d’improvvisazione, poi, senza neanche un canovaccio di fronte!»
«Merito anche della sua assistente Grace, che mi ha punzecchiata a dovere! Spero di non essere stata eccessiva, dopotutto è una pubblicità di Instagram…»

iPhone 7 and brown case

«Ma no, ma no! Qui vogliamo proprio giocare di psicologia inversa! Puntiamo sull’utente consapevole!»
«L’utente consapevole. Mi piace proprio, Neil. Bene, se abbiamo finito io andrei. Grazie di tutto e buona giornata».

Neil Patricksen si svestì del suo sorriso più falso come di una pelliccia in piena estate. Aveva sofferto a indossarlo ma doveva farlo per forza: il suo mestiere, del resto, era sfilare.
«Mamma mia che palla al piede, la Lawrence».
«Che t’avevo detto? Pessima idea ingaggiarla. Splendido volto, orribili opinioni.
«Figurati, Grace…»
«Ora chi lo sente, Mark…»
« … tanto lo spot verrà doppiato in coreano. Le facciamo dire quello che ci pare».

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