La versione dei partiti

Il dietro alle quinte del voto: le motivazioni e i risvolti del referendum costituzionale del 20 e 21 settembre, al di là dell’utopia.

Restare nel merito del quesito referendario è l’invito che in questi giorni sta arrivando da più parti, per evitare una politicizzazione del taglio del numero dei parlamentari. Tuttavia, come tutti i precedenti, anche questo referendum ha motivazioni e risvolti politici e sarebbe utopistico – per non dire fuorviante – fare finta di ignorarli. Anzi, approfondire le questioni politiche in ballo con la chiamata alle urne del 20 e 21 settembre ci permette di avere un quadro più ampio e meno illusorio della realtà.

Premessa necessaria a questo articolo è una conoscenza minima del contenuto della legge costituzionale che siamo chiamati ad approvare o respingere: un taglio netto degli eletti, 400 deputati invece che gli attuali 630 e 200 senatori invece di 315. Ne abbiamo parlato anche nel nostro sito, potete recuperare qui tutte le informazioni.

La storia dietro al referendum

Inizialmente la Costituzione prevedeva che il numero dei parlamentari dipendesse dalla popolazione: 1 deputato ogni 80 mila abitanti e 1 senatore ogni 200 mila. Nel 1963 una riforma costituzionale fissò a 630 il numero dei membri della Camera e a 315 il numero degli eletti al Senato. A partire dagli anni Ottanta si sono susseguiti svariati tentativi di modifica del numero dei parlamentari, riassunti nel dettaglio in un dossier elaborato dal Parlamento nell’ottobre del 2019 e in un’approfondita analisi curata da Pagella Politica.

  • Commissione Bozzi (1983-1985). Nel corso della IX legislatura vi fu una commissione bicamerale (che prese il nome dal deputato Aldo Bozzi, del Partito Liberale, che la presiedeva) istituita ad hoc per affrontare il problema del numero dei parlamentari. Tra le varie proposte avanzate, non ne fu ufficializzata nessuna.
  • Commissioni bicamerali De Mita-Iotti (1992-1994) e D’Alema (1997). La prima venne presieduta da Ciriaco De Mita (Democrazia Cristiana) e successivamente da Nilde Iotti (Partito Democratico delle Sinistre), la seconda invece da Massimo D’Alema (Partito Democratico delle Sinistre). Entrambe non produssero alcun risultato concreto, nonostante quella presieduta da D’Alema fosse giunta a discutere di un progetto che prevedeva un Parlamento composto da 200 senatori e tra 400 e 500 deputati.
  • Bozza Violante (2007). Nel corso della XV legislatura il deputato del Partito Democratico Luciano Violante promosse un disegno di legge costituzionale che prevedeva l’elezione diretta da parte dei cittadini di 512 deputati e quella indiretta – da parte dei consigli regionali – di 186 senatori. La proposta non venne mai discussa in Parlamento.
  • Disegno di legge costituzionale di Luigi Zanda (2008). La proposta del senatore del Partito Democratico prevedeva la riduzione dei parlamentari a 400 deputati e 200 senatori, ma non venne mai discussa in Parlamento.
  • Proposta della commissione affari costituzionali del Senato (2012). Durante il governo Monti, il 25 luglio 2012 il Senato approvò una riforma che riduceva i deputati a 508 e i senatori a 250, ma l’iter della legge non proseguì.

I due tentativi più noti – in quanto coinvolsero direttamente gli elettori – furono i referendum costituzionali del 2006 e del 2016, per votare le riforme elaborate rispettivamente dal governo Berlusconi III e dal governo Renzi. In entrambi i casi l’obiettivo era il superamento del bicameralismo perfetto e in entrambi i casi le riforme vennero bocciate. Quella proposta dal governo Berlusconi prevedeva la riduzione dei senatori a 232 e dei deputati a 518, mentre quella del governo Renzi prevedeva la riduzione a 95 dei membri del Senato, che sarebbero stati eletti dai consigli regionali e non dai cittadini.

La storia dietro al referendum ci dimostra che non si tratta di una riforma figlia del populismo e nemmeno di una certa parte politica. Anzi, da quarant’anni i partiti – di destra, sinistra e centro – dibattono sulla questione e per ben due volte – una per volere del centrodestra, l’altra per volere del centrosinistra – i cittadini sono stati chiamati ad esprimere la propria opinione, scegliendo sempre di non modificare la Costituzione. Non a caso, quasi tutti i partiti oggi si dichiarano a favore del taglio del numero dei parlamentari.

Le posizioni dei partiti

Il Movimento 5 Stelle è quello che in questa legislatura ha sostenuto con più forza tale provvedimento: era presente nel programma con cui il Movimento si è presentato alle elezioni del 4 marzo 2018, era presente nel cosiddetto “contratto di governo” stipulato con la Lega, è presente nel nuovo accordo trovato con il centrosinistra. Il taglio del numero dei parlamentari è uno dei temi cari al Movimento fin dalle sue origini ed è stato spesso presentato come una riforma “anti-casta”, in grado cioè di “rottamare” una classe politica percepita come assenteista, corrotta e distante dai cittadini.

L’iter di approvazione della legge costituzionale non ha risentito del cambio di governo nell’agosto del 2019: è stata votata tre volte dalla maggioranza formata da Lega e Movimento e la quarta volta dalla nuova maggioranza di cui fanno parte Partito Democratico, Italia Viva e Liberi e Uguali. In entrambi i casi, il voto favorevole era la precondizione posta dal Movimento 5 Stelle per la nascita di un esecutivo ed è per questo che la legge è stata approvata dagli altri partiti.

Infatti, il taglio del numero dei parlamentari non figurava nei programmi di nessun altra forza politica al momento delle elezioni del 4 marzo 2018. Dunque, chi oggi ne rivendica i meriti, mente. In questa legislatura è il solo Movimento 5 Stelle ad essersi fatto carico della proposta, che è stata approvata da altri partiti soltanto perché parte di un accordo politico più ampio che prevedeva la nascita di un governo.

Queste premesse sono fondamentali per comprendere le anomale intenzioni di voto dei partiti: non esiste un riconoscibile fronte del no, se si escludono Più Europa e Azione, il partito di Carlo Calenda. La Lega, vincolata dai tre voti favorevoli alla riforma espressi in Parlamento durante il primo governo Conte, ha scelto la linea della coerenza, sostenendo il sì. Attorno a questa posizione si sono compattati anche gli altri due partiti di centrodestra: Fratelli d’Italia, che ha sempre sostenuto la riforma, e Forza Italia, che in passato l’ha osteggiata. Il risultato è che le attuali forze d’opposizione sostengono apertamente una proposta di riforma che proviene dal governo.

Un discorso a parte meritano Partito Democratico e Italia Viva, prima detrattori e poi – una volta formato il governo Conte II – sostenitori della riforma. Come si è ricordato, nel 2016 il centrosinistra si era reso protagonista di una riforma costituzionale – poi bocciata dai cittadini – che prevedeva tra le altre cose la riduzione del numero dei parlamentari, inserita in un progetto più ampio di superamento del bicameralismo perfetto. Una riforma osteggiata, tra gli altri, dal Movimento 5 Stelle. A quattro anni di distanza, sarebbe stato un controsenso votare a favore di una diversa legge costituzionale sul medesimo tema avanzata dai nemici giurati della precedente. Tuttavia, la nascita del governo Conte II ha rovesciato la situazione, costringendo il Partito Democratico a sostenere la riforma pur di assicurare la stabilità dell’esecutivo. Da ciò derivano le contraddizioni e i malumori interni alla sinistra e la decisione di Italia Viva di non schierarsi.

I cosiddetti “correttivi”

La sola modifica di tre articoli della Costituzione ovviamente non basta. Nel caso di vittoria del sì, nei prossimi mesi i partiti politici dovranno accordarsi su alcuni interventi di corredo, per evitare una riforma dimezzata, che creerebbe solo confusione normativa. Premessa necessaria: trattandosi di provvedimenti su cui le forze politiche devono trovare un accordo e una maggioranza, non possiamo sapere se e come verranno realizzati. La storia del Parlamento ci insegna che – giustamente – nessuna legge esce così come è entrata. Di seguito i correttivi previsti dall’accordo di governo tra Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Italia Viva e Liberi e Uguali.

  • Abbassamento dell’età per gli elettori e gli eletti al Senato. Attualmente per poter votare i candidati al Senato bisogna aver compiuto 25 anni e per poter essere candidati al Senato è necessario averne almeno 40. Un disegno di legge a firma del deputato Brescia (M5S) è stato presentato a gennaio 2019 e approvato alla Camera nel luglio dello stesso anno. Prevede l’abbassamento dell’età a 18 anni per poter votare e a 25 per poter essere eletti al Senato, come già accade per la Camera. Tuttavia, trattandosi di una riforma costituzionale (l’età di elettori ed eletti è fissata dall’articolo 58 della Costituzione), l’iter è complesso: la modifica dovrà essere approvata due volte dal Senato e due volte dalla Camera e successivamente potrà essere sottoposta a referendum confermativo, se richiesto o da 1/5 dei membri di ciascuna Camera, o da cinque Consigli Regionali, o da 500 mila elettori.
  • Superamento dell’elezione su base regionale del Senato. Attualmente i senatori sono eletti su base regionale. Con il taglio del numero dei parlamentari c’è il rischio che alcune regioni meno popolose, come la Basilicata o il Molise, si vedano assegnati appena tre senatori. Per questo, è necessaria una revisione delle circoscrizioni elettorali su base pluriregionale, per salvaguardare la rappresentanza delle minoranze. Un disegno di legge è già stato presentato nel mese di giugno dal deputato Fornaro (Leu). Trattandosi di un’ulteriore modifica della Costituzione – nello specifico dell’articolo 57 – l’iter è quello descritto sopra.
La composizione del Senato se vincesse il sì: Basilicata, Umbria, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Molise e Sardegna esprimerebbero appena cinque o meno senatori a testa, con il rischio che solo i partiti più grandi possano essere rappresentati. Elaborazione a cura della Camera dei Deputati.
  • Riduzione dei delegati regionali che partecipano all’elezione del Presidente della Repubblica. Attualmente, a fronte di un Parlamento composto da 915 membri, all’elezione del Presidente della Repubblica partecipano anche tre delegati per regione, per un totale di sessanta. Nel caso di un Parlamento ridotto a 600 membri, il potere di voto dei delegati regionali aumenterebbe di molto. Il disegno di legge presentato a giugno dal deputato Fornaro (Leu) prevede anche la riduzione da tre a due dei delegati regionali. Anche in questo caso, si tratta di una modifica della Costituzione, in particolare dell’articolo 83.
  • Modifica dei regolamenti di Camera e Senato. È un intervento necessario per rendere le camere funzionanti. Openpolis ha stimato che sarebbero 47 gli articoli dei regolamenti da modificare, per aggiornare la composizione delle commissioni e il funzionamento di tutti i lavori, «dalla verifica del numero legale alla richiesta di voto segreto passando per la presentazione di mozioni». La discussione in merito ai regolamenti di Camera e Senato non è ancora iniziata, ma la buona notizia è che non si tratterebbe di una modifica costituzionale.

Alla luce di tutto ciò, possiamo affermare che chi vi dice che «basta un sì» vi sta mentendo. Così come chi parla di una riforma mirata e chirurgica. La realtà è molto più complessa di una croce sulla scheda.

Il nodo della legge elettorale

Anche perché, vincesse il sì al referendum, rimarrebbe sempre l’incognita relativa al come i parlamentari vengono eletti. L’accordo di governo, infatti, prevede il superamento dell’attuale legge elettorale – il Rosatellum bis, con seggi uninominali e seggi assegnati con il sistema proporzionale – da sostituire con un proporzionale puro “alla tedesca”, cioè con una soglia di sbarramento al 5%, come accade in Germania.

A gennaio di quest’anno è iniziato l’iter parlamentare del disegno di legge del deputato Giuseppe Brescia (M5S), che è stato adottato dalla maggioranza come testo base per la formulazione della nuova legge elettorale. Attenzione: testo base significa che durante la discussione parlamentare dovrà necessariamente subire delle modifiche. Basti pensare che già a fine luglio Italia Viva ha votato con il centrodestra per impedire che la proposta di legge Brescia approdasse in aula, perché contrario ad una soglia di sbarramento troppo alta, che rischierebbe di escludere il partito dal Parlamento. Al momento il disegno di legge si articola nei seguenti punti.

  • Abolizione della quota di collegi uninominali previsti dal Rosatellum bis. Ciò è importante perché proprio nei collegi uninominali erano consentite le coalizioni tra partiti a sostegno di un unico candidato. In un sistema proporzionale puro, invece, le coalizioni precedenti al voto non esistono, ogni partito corre da solo.
  • Sistema proporzionale puro, ovvero ogni partito ottiene un numero di eletti in proporzione al numero di voti. Vengono mantenute le 28 circoscrizioni elettorali previste dal Rosatellum bis. Alla Camera vi sarebbero 391 seggi proporzionali, cui si aggiungerebbero 8 seggi per gli eletti all’estero (per i quali vige una legge elettorale differente) e 1 seggio uninominale per la Val d’Aosta. Al Senato vi sarebbero 195 seggi proporzionali, cui si aggiungerebbero 4 seggi per gli eletti all’estero e 1 seggio uninominale per la Val d’Aosta.
  • Soglia di sbarramento al 5% e diritto di tribuna. Data una soglia di sbarramento così alta, c’è il rischio che le forze politiche minori non siano rappresentate. Per questo è prevista l’introduzione del diritto di tribuna, un correttivo – ancora da definire – per permettere anche ai partiti che non superino la soglia di sbarramento di eleggere uno o più rappresentanti in Parlamento.

Nella proposta di legge del deputato Brescia non viene fatta menzione della lunghezza delle liste elettorali – e dunque del numero massimo di candidati per partito per ciascuna circoscrizione – e nemmeno della composizione delle stesse. Quest’ultimo è un tema importante, emerso anche durante la campagna referendaria, perché investe la qualità degli eletti. Con il Rosatellum bis, per la parte proporzionale, le liste dei candidati si dicono «bloccate», sono cioè espressione della segreteria del partito, che cala dall’alto i candidati e li pone nell’ordine che preferisce. In altre parole, l’elettore può scegliere il partito ma non il candidato che verrà eletto: quelli che il partito ha posto in cima alla lista avranno più possibilità di divenire parlamentari. L’alternativa è quella del sistema delle preferenze, attraverso il quale viene eletto il candidato di un partito che ottiene più preferenze, a prescindere dal suo posizionamento nella lista elettorale.

Nel primo caso i partiti possono contare su un gruppo di fedelissimi che verrà sicuramente eletto e favorirà il lavoro e la coesione del gruppo dei parlamentari eletti. Nel secondo caso i cittadini possono scegliere i propri rappresentanti. Come si diceva, il tema della lunghezza delle liste e della possibilità di reintrodurre le preferenze o di lasciare i listini bloccati non viene affrontato nella proposta di legge Brescia, ma come da accordi di maggioranza, sarà oggetto di confronto durante l’iter parlamentare. E ad oggi ancora non sappiamo come voteremo i nostri rappresentanti.

Chi trarrebbe vantaggio da un sistema del genere, con un numero ridotto di parlamentari, eletti con un proporzionale puro e un’alta soglia di sbarramento? Difficile a dirsi. Entrando nell’ambito della fantapolitica, lo scenario al momento più probabile è quello di una Camera con una rappresentanza variegata – per via del numero maggiore di eletti – e un Senato formato da quattro partiti principali, che stando ai sondaggi attuali sarebbero Lega, Fratelli d’Italia, Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, con l’incognita rappresentata dalla galassia di partiti di centro – Forza Italia, Italia Viva, Più Europa e Azione – che oscillano o appena sopra o appena sotto la soglia del 5%. Ciò unito al bicameralismo perfetto lascia presupporre un Parlamento più farraginoso, dove trovare una maggioranza risulta difficoltoso. Sicuramente con la scelta di un sistema proporzionale si farebbe un passo indietro alla cosiddetta “Prima Repubblica”: i governi, come già avvenuto in questa legislatura, si formeranno solo dopo il voto e non a partire dal volere degli elettori, ma sulla base della composizione delle camere.

Conclusione: un problema complesso

Ricapitolando: del taglio del numero dei parlamentari si discute da quarant’anni e il tema è stato sostenuto a turno da tutte le aree politiche; la legge costituzionale è stata approvata non per un accordo tra i partiti, ma perché il Movimento 5 Stelle l’ha imposta come precondizione inderogabile per la formazione di un governo sia con la Lega sia con il centrosinistra; la riforma da sola non basta, ma per funzionare adeguatamente necessita di correttivi al momento soltanto abbozzati; la riforma riapre il nodo della legge elettorale, che dovrà essere riscritta sulla base di una rappresentanza diversa nei numeri. Come tutti i referendum costituzionali, non è una questione da liquidare con semplicità: problemi complessi richiedono soluzioni complesse.

Una piccola postilla finale. Ciclicamente la politica italiana si trova a dover affrontare il medesimo problema. E non si tratta di «riformare se stessa» come alcuni sostengono (suggerendo quindi che la casta non farebbe mai nulla per modificare il proprio potere). Si tratta piuttosto di riformare il sistema in cui i partiti e la politica sono inseriti, quel sistema che la Costituzione stabilisce: il bicameralismo perfetto, due camere che svolgono esattamente le stesse funzioni, i cui membri sono eletti in numero e maniera diversa. Negli anni varie soluzioni sono state suggerite, la più recente delle quali è proprio il taglio del numero dei parlamentari. Il 20 e 21 settembre saremo dunque chiamati a decidere se questa è la soluzione più adatta al problema.

Immagine di copertina tratta dal profilo Twitter ufficiale del Senato della Repubblica.

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Perdutamente affascinato dalla domanda che il pastore errante dell'Asia non riesce a trattenere di fronte al cielo stellato: «Che fai tu Luna in ciel?». È lo stupore il sale della vita! Amante della realtà in tutte le sue sfaccettature: continuamente teso alla ricerca della meraviglia e dell'infinito. Acerrimo nemico dell’indifferenza e terribilmente curioso, assetato di conoscenza, inguaribile ottimista. Scrivo per andare oltre, al cuore della realtà.

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