Il taglio dei parlamentari, spiegato e commentato

Spieghiamo passo passo la legge costituzionale volta a ridurre il numero di parlamentari, cosa è un referendum confermativo e perché questo tentativo di riforma potrebbe essere un azzardo.

Lo scorso ottobre è stata approvata una nuova legge costituzionale inerente al taglio dei parlamentari della Repubblica. Si tratta di una norma fortemente voluta dal Movimento 5 Stelle, e sostenuta anche dalle altre forze politiche, approvata con una larga maggioranza. Questa norma però non è ancora entrata in vigore, poiché si tratta di una legge costituzionale e, come tale, può essere sottoposta a referendum confermativo.

Il prossimo 20 e 21 settembre, saremo quindi chiamati a votare per il referendum costituzionale che modifica alcuni articoli della Costituzione in merito al numero dei parlamentari. I seggi sono aperti domenica 20, dalle 7 alle 23, e lunedì 21, dalle 7 alle 15. Con questa norma il legislatore ha voluto ridurre il numero di parlamentari, passando da 630 a 400 per la Camera dei Deputati e per il Senato dai 315 attuali a 200.

Che cosa cambia

La Legge Costituzionale approvata modifica tre articoli della costituzione: l’art. 56, che riguarda il numero dei deputati;  l’art. 57 inerente al numero dei senatori; inoltre, si è voluto modificare in senso tecnico l’articolo 59. Cinque è il numero massimo di senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica che possono sedere in Parlamento, esclusi gli ex Presidenti della Repubblica, che di diritto siedono in Senato al termine del loro mandato. Si tratta sostanzialmente di una modifica volta a fare chiarezza in merito, dal momento che in passato si era inteso che questo articolo permettesse ad ogni Presidente di nominare cinque Senatori a vita indipendentemente dal numero dei già nominati.

Il quesito

Il quesito è il seguente: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente le modifiche agli art. 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale il 20 ottobre 2019?».

Fac-simile della scheda referendaria tratto da interno.gov.it.

Si tratta di un referendum confermativo, a cui l’elettore è chiamato a rispondere in senso affermativo o negativo.

Cos’è un referendum confermativo?

Il referendum confermativo è esperibile a seguito dell’approvazione di una legge di revisione costituzionale, qualora il Parlamento, in entrambi i rami, non abbia raggiunto il voto favorevole dei 2/3 dei componenti. Per poter modificare la Costituzione nel nostro ordinamento giuridico, è necessario ricorrere ad un procedimento cosiddetto aggravato: le leggi costituzionali devono essere approvate da entrambi i rami del Parlamento per due volte; la prima, a maggioranza semplice e la seconda a maggioranza assoluta.

Una volta approvata la legge Costituzionale, questa può essere sottoposta a referendum confermativo se, entro tre mesi dalla pubblicazione della legge in Gazzetta Ufficiale, lo richiedono o 1/5 dei membri di ciascuna Camera, o cinque Consigli Regionali, o 500 mila elettori.

In sintesi, l’iter è il seguente: approvazione da parte del Parlamento a larga maggioranza prima, e successiva eventuale richiesta di indizione di referendum confermativo poi. Il referendum confermativo si differenzia da quello abrogativo perché non c’è quorum; la legge entra quindi in vigore se riceve il voto favorevole della maggioranza dei votanti. È sufficiente quindi il voto favorevole del 50% più uno di coloro che si recano alle urne.

Problemi e criticità

Nelle intenzioni del legislatore vi è la volontà di seguire la spinta viscerale dell’opinione pubblica, che identifica la politica come territorio di conquista di faccendieri e sede si scambio di privilegi e favoritismi. Inoltre, si ritiene eccessiva la spesa che lo Stato destina al potere centrale.

Il testo, però, lascia spazio a notevoli criticità in merito a questioni tecniche, sociali e politiche. Tra queste spicca il tema della rappresentatività territoriale in un sistema parlamentare concepito per favorire l’inclusione delle diversità politiche; o ancora, il lavoro delle commissioni, fulcro dell’attività parlamentare, che rimane invariato, aggravando il carico per ciascun parlamentare, a discapito della qualità delle decisioni prese.

Rischiamo una crisi della rappresentanza? Immagine tratta da pixabay.com.

I problemi della politica non hanno nulla a che vedere con il numero dei parlamentari, ma riguardano invece la qualità del rapporto tra elettorato ed eletto: i candidati non vengono votati tramite preferenza, ma scelti con il sistema elettorale di listini bloccati. In questo modo risulta facile comprendere quanto la fedeltà al leader di partito risulti più importante della competenza politica e conoscenza del proprio territorio di provenienza.

Tra le maggiori argomentazioni per il sì al taglio dei parlamentari ci sono: una riduzione dei costi della politica e un allineamento alla media europea del numero dei rappresentanti per cittadino. Vi è poi una questione sociale che riguarda lo schema ridondante per cui tagliando il numero di parlamentari si combatterebbe la casta e ci sarebbero meno persone corrotte ai vertici istituzionali.

In realtà, come abbiamo detto, dietro questo tentativo di riforma, vi è una spinta da parte dei partiti populisti ad assecondare un sentimento di anti-politica. Con un taglio netto di forbice del numero di parlamentari, si vorrebbe appagare la fame di una parte della popolazione, che incanala la propria rabbia e frustrazione nella cosiddetta casta dei politici. Una strategia che cerca solo il consenso popolare, ma non tiene conto di diversi risvolti negativi che questo può avere.

Dietro questa manovra si nascondo numerose insidie, in prima battuta le motivazioni che spingono a votare sì al referendum appaiono infondate. Si stima che il risparmio per i costi della politica si aggirerebbe attorno ai 60 milioni di euro l’anno, che a fronte di un bilancio dello Stato sono del tutto irrisori.

Numero dei parlamentari nei paesi europei, dati a cura di di partecivile.eu.

L’Italia attualmente non ha il maggior numero di rappresentanti per cittadino in Europa. 945 sono i parlamentari tra Camera e Senato, quindi il rapporto è di circa 1 ogni 60 mila abitanti. La media europea e di circa 1 ogni 55 mila e se confrontiamo l’Italia con alcuni dei maggiori Stati europei come ad esempio Regno Unito e Francia, notiamo come il primo abbia 1422 parlamentari con un rapporto di 1 a 46 mila, mentre la Francia 925 con un rapporto di 1 ogni 72 mila. Dobbiamo poi ricordare che in Italia vige il bicameralismo perfetto: entrambi i rami del Parlamento hanno le medesime funzioni e lavorano allo stesso modo. Se dovessimo paragonare il numero di parlamentari per ogni singola camera con altri paesi esteri con un sistema monocamerale o bicamerale imperfetto, saremmo più che mai in linea con i numeri europei.

Numero di abitanti per deputato nei paesi dell’Unione Europea, elaborazione a cura di openpolis.it.

A seguito del taglio ci sarebbero un deputato ogni 150 mila cittadini e un senatore ogni 300 mila cittadini, questo farebbe scivolare l’Italia in fondo alla classifica europea di parlamentari eletti ogni 100 mila cittadini, diventando uno dei paesi con meno rappresentati.

Ulteriori problematiche: listini bloccati e lavoro del Parlamento

Per ultimo, non può nemmeno darsi fondamento alla teoria secondo cui tutti i politici sono corrotti ed il taglio servirebbe a ridurre il numero di manigoldi seduti in Parlamento.

Anzi, con il taglio si avrebbe un effetto contrario a quello voluto. Attualmente, i parlamentari vengono votati attraverso un sistema di listini bloccati per cui un elettore vota semplicemente il partito a cui sono collegati dei nominativi scelti direttamente dalle segreterie e dai leader. All’interno di queste liste troviamo sostanzialmente due tipologie di candidati, quelli legati al partito e al leader di turno, e persone che invece appartengono al mondo delle professioni, del volontariato, del campo sociale e che conoscono bene gli argomenti di cui trattano, portando le loro competenze nelle commissioni in cui lavorano. Nel caso in cui dovesse passare questa riforma del taglio di parlamentari, molto probabilmente non saranno i fedelissimi ad essere esclusi dalle liste. Questo comporterebbe che sia le commissioni sia i gruppi parlamentari si compongano di una cerchia ristretta di persone obbedienti ai capi di partito, escludendo totalmente il dibattito.

Il dibattito verrebbe seriamente compromesso anche perché i partiti più piccoli verrebbero esclusi a causa di una più limitata rappresentatività: il numero di posti a disposizione per ogni collegio elettorale diminuirebbe, creando una sorta di sbarramento naturale per l’entrata in Parlamento. Questo non sarebbe in linea con l’idea concepita dai padri costituenti di allargare il più possibile la rappresentatività politica.

Una diminuzione del numero di parlamentari renderebbe più complesso il lavoro nelle commissioni. Più deputati e senatori dovrebbero sedere in più commissioni con un notevole aggravio di lavoro del singolo.

Inoltre, attualmente per l’elezione del Presidente della Repubblica partecipano anche tre delegati per ciascuna Regione – per un totale di sessanta persone – cui si sommano i parlamentari di Camera e Senato. Con un Parlamento ridotto, il peso dei rappresentanti regionali aumenterebbe, diventando in alcuni casi decisivo per la scelta di una figura istituzionale così importante.

Il taglio dei parlamentari è la soluzione al problema politico?

Non possiamo dire che in Italia non vi sia un problema in ambito politico, ma questo non può essere risolto con un mero taglio di parlamentari volto ad inseguire un consenso popolare basato sulla rabbia verso la classe politica. La forma di governo italiana pone al centro il Parlamento. Questa legge costituzionale non fa altro che ridurre sempre di più le possibilità d’azione di un organo che negli anni ha assunto un ruolo sempre più marginale. Le decisioni avvengono a colpi di decreti legge e questioni di fiducia, provvedimenti strettamente governativi. Una riforma che taglia il numero dei parlamentari rischia di affondare ancora di più le due Camere, tramutandole in organi di ciechi fedelissimi che rispondono a capi di partito e a governi che in nome dell’anti-politica trasformeranno di fatto il nostro sistema in una oligarchia.

In copertina le camere riunite per l’elezione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Immagine tratta da snl.no.

Sono nato a Brescia nel 1994. Laureato in Giurisprudenza, lavoro in banca, pratico Muay Thai, mi interesso di criminologia, diritto, economia, storia e cinema. Scrivo per diletto, per passione e offrire un punto di vista personale rispetto a quello che ci circonda.

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