La fuga di cervelli è anche fuga di artisti: Stefania Spampinato oltre Grey’s Anatomy

La nuova recluta di Grey’s Anatomy, ma prima ancora un talento italiano all’estero

Sei stata spesso intervistata in qualità di nuova attrice di Grey’s Anatomy, ma prima di esserlo eri già un’italiana talentuosa all’estero. L’immaginario comune riguardo alla fuga di cervelli spesso ci proietta in un universo parallelo in cui Piero Angela intervista un giovane ingegnere informatico fuggito in Germania… Invece la fuga di cervelli riguarda anche cervelli artistici come il tuo, che si è ritrovato fin da giovanissimo a viaggiare: a partire da Milano all’età di diciannove anni, e poi in tutto il mondo, dalla Francia alla Cina, l’India, la Germania, e ovviamente l’America. Raccontami di questa scelta e di questo percorso.
Da ragazzina volevo fare la ballerina e sapevo che se fossi rimasta in Sicilia non avrei avuto delle grosse opportunità per farlo come mestiere, e non volevo insegnare ma stare sul palco, quindi ho deciso di andare a Milano. Quando avevo quindici anni lavoravo nei villaggi turistici come animatrice, facevo la coreografa dei balli di gruppo: ho incontrato gente che viveva a Milano e che mi ha consigliato di studiare danza lì.
All’inizio volevo fare l’avvocato, poi un giorno ho detto a mia madre: “Finisco il liceo classico e vado a studiare all’accademia di danza”. La sua reazione iniziale non è stata di grande entusiasmo, ma dopo, vedendo che ero felice, è stata felice anche lei.

Poi mi sono resa conto che anche la realtà milanese mi stava un po’ stretta, e di voler imparare le lingue, tra l’altro avevo la passione per i  viaggi e sono stata in Asia, poi a Londra, dove sono arrivata senza sapere una parola d’inglese ma non avendo a che fare con persone italiane ho imparato presto. Ho vissuto a Londra per cinque anni lavorando come ballerina, ho viaggiato tanto anche da lì e infine mi sono spostata a Los Angeles, soprattutto perché non sopportavo più la pioggia londinese.
Una volta arrivata a Los Angeles mi sono resa conto di non voler più ballare, sapevo che era una parentesi della mia vita ormai chiusa. Ho provato a lavorare in produzione e a prendere lezioni di recitazione, cosa che avevo già fatto sia a Londra che in Italia, ma solo a Los Angeles ho trovato un insegnante che mi facesse appassionare talmente tanto da farmi decidere di lasciare tutto e dedicarmi completamente alla recitazione.Hai dichiarato di avere avuto un rapporto amore/odio con Los Angeles, sei stata tentata più volte di andare via. Los Angeles, anche prima di Grey’s Anatomy, ha rappresentato per te la svolta: nasci come ballerina e lì ti sei evoluta come attrice, collaborando con la compagnia Open First. Com’è per un’italiana occuparsi di teatro in prosa in lingua straniera? Come sei riuscita a mimetizzarti artisticamente e linguisticamente con gli attori locali?
Linguisticamente purtroppo no: sono arrivata a Los Angeles che avevo un accento italiano mischiato a quello britannico, quindi per anni ho dovuto studiare per ridurre il mio accento o quantomeno eliminare quello inglese. Adesso ho un accento un po’ italiano, perlopiù americano. Gli americani sentono che non sono madrelingua, magari non capiscono che sono italiana ma intuiscono che vengo da qualche altra parte; è una cosa di cui ho sempre sofferto perché mi limitava moltissimo ed in tanti ruoli, ma nel caso di Grey’s Anatomy è stata una benedizione perché cercavano proprio un’attrice che avesse un accento italiano nel parlare inglese.

Per quanto riguarda il teatro, credo di essere arrivata a Los Angeles in un buon momento per gli stranieri, un momento di maggiore apertura da parte del mondo dello spettacolo, anche perché la realtà americana è cambiata e gli stranieri sono molto più comuni, quindi perché non integrarli anche nelle produzioni teatrali o televisive?Per chiunque conosca la tua storia sei una “self made woman”. Suppongo che nessuno della tua famiglia avesse consigli da darti riguardo alla tua formazione all’estero, per cui mi e ti chiedo: come hai scelto le scuole di recitazione, canto e danza da frequentare? Come hai reclutato il tuo agente, come ti sei mantenuta? Insomma, qual è il segreto per farsi strada in un Paese diverso dal proprio?
Si parte da zero, a fatica e mettendo l’orgoglio da parte, questa è stata la prima regola. Non avevo mai avuto un secondo lavoro, avevo sempre fatto soltanto la ballerina fino a quando non sono arrivata a Los Angeles, dove ho lavorato in un ristorante, come fa il 90% degli attori lì, per pagarmi l’affitto. Da lì incontri persone, provi una lezione di recitazione, l’insegnante non ti piace e allora cambi, impari che a Los Angeles fare dei lavori gratis è normalità, ed è un modo per incontrare registi che stanno incominciando adesso ma che un giorno saranno grandi; è un modo per costruirti il tuo showreel, il video di presentazione con tutti i tuoi lavori, da portare a manager o agenti; magari un piccolo agente ti trova un’audizione per un piccolo lavoro e da lì conosci altri registi. E’ una gavetta attraverso cui credo vada la maggior parte degli attori, a meno che non nascano a Los Angeles e vadano a scuola col figlio di Spielberg. Se arrivi da un altro Paese e non conosci nessuno, comunicare con altri attori che stanno compiendo lo stesso percorso è il modo migliore per capire come muoversi e crescere.

Il tuo essere italiana ti ha dato delle difficoltà o c’è davvero la possibilità di essere italiani all’estero senza avere come biglietto da visita i soliti luoghi comuni?
Credo che l’essere italiani sia la nostra forza e la nostra debolezza allo stesso tempo, però penso sia più importante il considerare la propria italianità come una forza, una particolarità. Sì, ti taglia fuori da molti ruoli per americani, ma ti dà la possibilità di interpretare molti ruoli per stranieri. Di solito il ruolo per l’italiano è la tipica macchietta che mangia, urla e gesticola, ma sta anche a noi attori italiani far vedere che non siamo solo quello, che possiamo recitare come persone normali, con le mani a posto. Magari sì, se siamo arrabbiati gesticoliamo un po’, però non siamo delle macchiette ma persone comuni, con sentimenti comuni, con alti e bassi e con delle sfumature.

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Hai definito il teatro come “palestra artistica”, in piena linea con la rigidità degli schemi americani. La tua compagnia produce uno spettacolo ogni due mesi, come gestisci in contemporanea “cinema” (in realtà serie tv) teatro ed altri progetti?
Il mondo del teatro a Los Angeles è per gli appassionati, non è a scopo di lucro, non guadagni niente anzi devi pagare per supportare la comunità teatrale di cui fai parte. La mia compagnia dà uno spettacolo ogni due mesi ma non tutti gli attori riescono a far parte della totalità delle produzioni. Quindi se sono libera faccio parte della produzione, se invece ho più impegni contribuisco alle scenografie, o aiuto col boxoffice o coi costumi. E’ una comunità di attori che si supportano a vicenda.

***L’intervista continua! Parleremo con Stefania Spampinato del suo ruolo in Grey’s Anatomy e molto di più! Stay tuned!***

Credits immagini: courtesy of Stefania Spampinato

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