Un Natale sul divano

In questo Natale del tutto particolare, non c’è niente di meglio che guardare un bel film o una serie con i propri congiunti!

Abbiamo dato vita ad uno speciale natalizio: riflessioni, storie ma anche e soprattutto consigli per vivere le feste al meglio. Trovi tutti i contenuti dello speciale qui e molti extra sui nostri canali Instagram e Facebook. Buon Natale dal team di Cogito et Volo!

In questo Natale rosso, arancione e giallo, ci sarà ben poco da fare oltre a rimpinzarsi con i propri intimi congiunti e giocare a tombola su Zoom con amici e parenti a un comune di distanza di troppo. Ma non disperate: ci siamo noi di Cogito a consigliarvi film e serie tv, più o meno natalizi, per intrattenervi. Ecco i nostri suggerimenti!

Vacanze di Natale (Prime Video)

In questi tempi con i festeggiamenti ridotti all’osso, come potremmo non desiderare di essere invitati al cenone di Natale in casa Covelli e di partecipare alla furiosa corsa allo scarto dei regali? Per non parlare delle lezioni di discesa di Leonardo Zartolin, che ripete intermittente la regola numero uno: «Peso a valle e lo sci a monte avanzato».

Se non capite di cosa sto parlando, allora il consiglio per il film di Natale non può che essere Vacanze di Natale.

Uscito nel dicembre 1983, è la prima pellicola dei fratelli Vanzina dedicata al periodo natalizio, che aprirà le porte al filone dei cinepanettoni che, negli anni, ci ha regalato altissimi momenti di imbarazzo cinematografico. Ma prima della coppia De Sica-Boldi, rigorosamente accompagnata da supermodelle ogni volta diverse; prima dei Fichi D’India e di Enzo Salvi, con le loro battute di dubbia qualità; prima dei troppi film tutti basati sulla stessa comicità, la cui unica differenza è il luogo in cui sono ambientati, i fratelli Vanzina ci regalano l’emblema del gusto trash degli anni ’80.

L’amore per il kitsch si manifesta negli outfit dai colori sgargianti, negli occhiali a specchio e nella colonna sonora, divisa tra Grazie Roma di Venditti e I love Chopin di Gazebo. Ma non solo, perché questo gusto per l’eccessivo lo si ritrova anche nel modo di parlare di tutti i personaggi, divisi per lo più tra Milano e Roma, chi con il proprio milanese che si mescola a qualche inglesismo, chi con il proprio romano quasi incomprensibile. E, di nuovo, il continuo riferimento al calcio e alla vita sugli spalti non fanno altro che aumentare la sensazione di dover spegnere. 

Eppure, nonostante tutti i difetti, quale modo migliore per descrivere il film, se non con le parole di Jerry Calà stesso: «Non sono bello, piaccio!».

Il Racconto dell’Ancella (Prime Video)

Avete tutti presente l’Olocausto, Auschwitz, le divise a righe e la considerazione della persona non più in quanto tale, bensì come oggetto, tanto da non avere più diritto a un nome? Ecco, Il Racconto dell’Ancella, anche conosciuto come The Handmaid’s Tale è simile per sommi capi, ugualmente oscena, ma in modo diverso. Tratta dall’omonimo romanzo di Margaret Atwood, la serie tv è incentrata sulla storia distopica di Galaad, un nuovo Stato che si stanzia nel territorio degli attuali Stati Uniti, di stampo pseudo-cristiano e dalla struttura patriarcale.

In seguito a una catastrofe ecologica che avrebbe reso sterili le donne, la Repubblica di Galaad si chiude in sé stessa, riorganizzando ogni cosa per il fine ultimo della procreazione. Tutte le donne ancora fertili degli Stati Uniti vengono prese a forza, strappate ai loro cari e convogliate nei “centri rossi”, in cui vengono private di ogni avere, persino del nome, sostituito poi da un nuovo pseudo-nome che ne indicherà l’appartenenza a qualche uomo di potere di Galaad, come nel caso della protagonista, originariamente June Osborne, poi DiFred (OfFred in inglese). Addestrate a essere ancelle, il loro compito sarà quello di mettere al mondo i figli degli uomini potenti e delle loro infeconde mogli, concepiti in seguito alla cosiddetta “cerimonia”, che altro non è che uno stupro a tutti gli effetti, un’atroce violazione dei diritti della persona in piena regola.

La trama si dirama nel corso di vari anni e sarà sempre compito di June farci da Cicerone all’interno di questa realtà crudele e malata. Assisterete a un femminino mutilato di forza e dignità, ad alleanze create per sopravvivere, a un bigottismo estremo che fa venire voglia di urlare dalla rabbia, ma saremo anche spettatori di amicizia, amore, coraggio, pentimento e lotta per preservare l’unico valore che conti davvero: la libertà. Avvincente, forte, struggente. Sicuramente una serie tv da non lasciarsi scappare!

La regina degli scacchi (Netflix)

The Queen’s Gambit è una mini-serie americana uscita su Netflix a fine ottobre: da allora non ha fatto che infrangere record di visualizzazioni e ha convinto un sacco di persone a imparare a giocare a scacchi, incrementando enormemente le vendite di scacchiere negli ultimi due mesi (ottimo regalo di natale, btw).

La serie racconta la storia di un piccolo prodigio degli scacchi, Beth Harmon: rimasta orfana a otto anni, Beth viene cresciuta in un orfanotrofio femminile, dove vi rimarrà fino ai quindici anni, e qui impara di nascosto a giocare a scacchi con il custode dell’istituto, Mr. Shaibel. L’amicizia tra i due segnerà la vita di Beth e sempre a lui tornerà il pensiero negli anni a venire, quando, dopo l’adozione e il trasferimento a Lexington, Kentucky, inizia a partecipare a tornei di scacchi, inizialmente a livello amatoriale e poi come vera professionista e campionessa.

Oltra a raccontare la vita scacchistica della giovanissima Beth Harmon e dei grandi maestri sui rivali, la serie esplora da vicino anche le dipendenze della ragazza da psicofarmaci e alcool, che metteranno a repentaglio la sua carriera. La sua dipendenza inizia già in orfanotrofio, dove venivano somministrati tranquillanti alle bambine, e che Beth usava per stimolare la sua immaginazione e riuscire a giocare a scacchi nella sua mente.

Come fa una serie sugli scacchi ad essere così bella? Come hanno fatto a rendere la serie così interessante e dinamica? Una grande attrice protagonista, Anya Taylor-Joy, e uno sceneggiatore e regista frizzante, vivace e dal profondo senso estetico, Scott Frank. In sette puntate osserviamo più di dieci anni della vita di Beth, quindi la storia scorre veloce e senza intoppi. Le scene che ritraggono i tornei di scacchi sono rese magnetiche e ansiogene grazie a un montaggio rapido, fulmineo, scandito dai tic-toc degli orologi da gioco. Inoltre, è la storia di una donna che domina con eleganza e intelligenza su un ambiente di soli uomini, una donna magnetica, risoluta e decisa, che combatte con i denti e gli artigli per diventare la regina degli scacchi. Insomma, è davvero avvincente.

The Wilds (Prime Video)

«È stato traumatico. Ma essere un’adolescente… quello era il vero inferno».

Citazione tratta dalla serie

C’è un solo modo per prepararci al meglio a questo Natale ristretto e malinconico: guardare The Wilds. Amazon Prime porta a casa un altro bel prodotto confezionando una serie tv a metà strada tra Lost e Il signore delle mosche, solo tutto al femminile. Nata da un’idea della produttrice e scrittrice Sarah Streicher, questa nuova serie racconta le disavventure di un gruppo di ragazze provenienti da ambienti e ceti diversi che, a causa di un incidente aereo, si ritrovano a dover sopravvivere nel bel mezzo di un’isola deserta. Tutto ciò su cui possono fare affidamento sono loro stesse; perché non tutto è come sembra e dietro al loro sventurato naufragio si nasconde qualcosa di più grande di loro.

Disponibile sulla piattaforma dall’11 dicembre, The Wilds si presenta fin da subito come una serie tv fresca e brillante che mescola a puntino le carte in tavola e – episodio dopo episodio – porta lo spettatore a ricredersi di ogni teoria pensata fino a quel momento. Conosciamo così questo gruppo di ragazze ben caratterizzate: alcune le amiamo, di altre diffidiamo mentre alcune sono proprio insopportabili. Ma tutte hanno un’anima forte e non sembrano solo delle marionette che seguono un copione ben scritto. Oltretutto, la serie tratta di temi forti, spingendo le naufraghe a fare i conti con il loro passato mentre cercano di sopravvivere al presente, cosa che le porterà a rendersi conto che la vita da cui sono state strappate, non era così perfetta come sembrava.

È vero, non è un prodotto natalizio. Ma statene certi, vi terrà incollati allo schermo fino all’ultimo episodio.

James May: Our Man in Japan (Prime Video)

James May, la testa più seriosa del trio di Top Gear e The Grand Tour parte in solitaria per un coast-to-coast nella Terra del Sol Levante alla scoperta delle abitudini e delle tradizioni che probabilmente non tutti conosciamo.

L’avventura inizia a Capo Soya, nella prefettura di Hokkaido, punto più a Nord del Paese e porta James, così come lo spettatore stesso, a un confronto abbastanza immediato con il Giappone non classicamente rappresentato nei libri e/o nei ristoranti presenti in tutto il mondo.

I (troppi) nuovi device per la traduzione simultanea prima, e una guida in carne e ossa poi, accompagnano il conduttore tra cani da slitta, yatai (tipici locali in cui si passa la serata al tavolo con degli sconosciuti), pesca al polpo, fucine per katane e la partecipazione straordinaria ad una partita di yukigassen (una battaglia di palle di neve regolamentata come un vero sport, figo no?). Tutto questo solamente nel primo episodio!

James viene sempre accompagnato passo-passo da una guida locale e dalla troupe che, nonostante il ruolo di “spalla” ritagliato ad hoc per non abbandonare May alla conduzione in solitaria, è sempre pronta ad organizzare scherzi e disavventure che il presentatore vivrà in prima persona e, soprattutto, al primo ciak. Tutto ciò rende il progetto molto genuino sia dal punto di vista tecnico che da quello umano e divulgativo; grazie a questo modus operandi lo spettatore può immedesimarsi appieno nelle reazioni di May e della crew. Come reagireste se qualcuno vi dovesse proporre un “foot-massage” ma che non ha nulla a che vedere con quello che vi siete immaginati? Ecco.

Tra una trasferta e l’altra James May torna a fare quello che sa fare meglio: spiegare qualsiasi cosa mentre è alla guida di un auto, rompendo la già fragile quarta parete. Questo approccio aiuta molto lo spettatore, già affezionato ai programmi del trio Hammond-Clarkson-May, a sentirsi più a suo agio e godersi la spiegazione.

Il filo conduttore di ogni episodio?

Gli haiku, brevi poesie composte da diciassette sillabe secondo lo schema 5/7/5 che possono racchiudere al loro interno un incalcolabile numero di significati.  In ogni episodio May ne espone almeno uno di propria produzione, dando così all’ascoltatore la duplice possibilità di immedesimarsi nei suoi versi oppure di non condividere in toto la sua visione e di crearsi la propria.

Articolo scritto da Andreea Nicolae, Martina Raule, Mirko Mattiuzzo, Rossella Azzara, Sara Properzi.

Photo by Denise Jans on Unsplash

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