Il ritorno dei Milky Chance

La band torna a farsi sentire dopo due anni di silenzio con Mind the Moon, in uscita il 15 novembre

Il sito web dei Milky Chance è stato un cantiere fino a qualche mese fa. L’unico banner in quel deserto nero pregava di pazientare in attesa del nuovo album, e nel frattempo di iscriversi alla newsletter per avere maggiori informazioni a tempo debito.

Il duo tedesco che ha raggiunto la notorietà col brano Stolen Dancedel resto, non si è mai messo tanta fretta: ben quattro anni di distanza tra il primo Sadnecessary (2013) ed il secondo Blossom (2017). Cosa aspettarsi dal nuovo Mind the moon, in uscita il 15 novembre per Universal Music Australia? Delle 12 tracce dell’album è stato già possibile pregustare i singoli Daydreaming (in collaborazione con Tash Sultana, cantautrice e musicista polistrumentista australiana) e The Game, entrambi rilasciati lo scorso mese insieme ai loro video ufficiali.

Daydreaming: sognare ad occhi aperti
Il primo singolo dopo due anni di silenzio è un biglietto da visita, una carta d’identità. Chi sono dunque diventati i Milky Chance? Sicuramente confermano un’anima reggae che avevano dichiarato da sempre tra le loro fonti d’ispirazione (nomi come Bob Marley, Ray Charles e John Frusciante dei Red Hot Chili Peppers) ma che, specie con Blossom, era stata sepolta sotto il folk e l’elettronica. 

Daydreaming riscopre la natura sia nel video che nel testo; pare quasi un aggiornamento di Down by the River (Sadnecessary) in chiave più spensierata: gli alberi, lì spogli, sono qui fitti e verdi, e vengono osservati dall’alto dagli stupiti Philipp Daush e Clemens Rehbein, i quali si ritrovano a volare sulle montagne dopo aver inconsapevolmente attivato uno strano incantesimo.

La sfera magica che si rompe per errore libera l’australiana Tash Sultana, che dopo aver cantato il bridge che precede l’ultimo ritornello guida i nostri prodi in volata sullo splendido panorama (anch’esso australiano? Probabile: avendo fretta di completare la demo, è stata la band stessa a raggiungere Tash a Melbourne per mettersi subito al lavoro, pena il mancato smaltimento del jet lag). L’abbinamento tra i bassi di Clemens e gli acuti di una voce femminile era stato già collaudato con successo nel precedente Blossom, in cui era emersa la riuscitissima collaborazione con  Izzy Bizu nel brano Bad Things, oppure quella con Paulina Eisenberg  in Unknown Song.

L’essenza di Daydreaming è fresca, umida di bosco, sognatrice; il video inscena “davvero” i versi, specie quello più rappresentativo: “With my head up in the clouds”. Viene inoltre citata la luna (Might be the moon, che fa un po’ il verso al titolo dell’album Mind the moon), che sicuramente apparirà ancor più esplicita nel brano We didn’t make it to the moon, per ascoltare il quale dovremo attendere metà novembre.

The Game: control zeta
Dimenticate quanto avete letto finora: The Game è un brano molto diverso da Daydreaming, e forse sono stati scelti entrambi come singoli perché rappresentano le due facce di quella medaglia che sono i Milky Chance. Ci sono, certo, dei punti in comune, a cominciare dal ritornare di parole chiave come moon  e dream, ma già dall’ambientazione e dal sound comprendiamo di trovarci da tutt’altra parte rispetto al primo singolo. The Game ci fa viaggiare in un deserto tra le cui dune rossicce si nasconde la sagoma di una grossa palla da bowling arancione (che ricorda la copertina di Blossom), protagonista dello strike finale segnato da Clemens.

Anche musicalmente si ritorna a Blossom o forse addirittura a Sadnecessary, ripristinando quel folk e quell’elettronica che parevano essere stati messi da parte in Daydreaming. Il testo abbandona l’ottimismo sognante di Daydreaming: Niente sembra mai essere facile/ Tutto quello che faccio è stare sotto la pioggia/ Non so davvero come arrivarci/ Dimmi solo delle regole del gioco/ Tutti dicono che sto sognando/ Ma sto solo cercando di far fronte al dolore.


Ebbene?

Se vi state chiedendo chi siano diventati i Milky Chance la risposta è quella che dareste anche a chi vi chiede di voi: sempre gli stessi, ma in evoluzione. Stanno coltivando la loro anima senza che le pressioni da parte dei fan influenzino più di tanto i tempi di cottura dei brani. Stanno mantenendo la semplicità dei testi senza essere superficiali, senza mai piegarsi al pop ma senza neanche chiudersi in un ermetismo inaccessibile.

Si stanno aprendo all’idea di fare rete con altri musicisti della scena indie in un caleidoscopio di featuring fruttuosi che abbracciano tutto il mondo: sarà interessante ascoltare anche Rush, realizzata con Témé Tan, polistrumentista afro-belga, e Eden’s House, in collaborazione coi Ladysmith Black Mambazo, noto gruppo corale sudafricano.

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