Il vaccino contro la disinformazione

Quella tra l’uomo e le malattie è la battaglia più antica del mondo. Ma c’è un virus da cui ancora facciamo fatica a difenderci: quello delle notizie false.

Nel mese di luglio Cogito et Volo pubblicherà i migliori contributi raccolti attraverso l’ultima Call for papers primaverile. Tra gli autori di questi ultimi verranno selezionati i futuri collaboratori del sito. I contributi già pubblicati sono disponibili qui. Per chi non avesse partecipato e volesse condividere le proprie idee e inviare un contributo singolo – articolo, racconto o poesia – è sempre possibile farlo: non smettiamo mai di metterci in gioco!

Una frenetica corsa al vaccino attraversa trasversalmente il palcoscenico della ricerca biomedica mondiale. Si tratta della cura per il Coronavirus, responsabile di una pandemia globale che nel XXI secolo si credeva possibile solo in non troppo originali romanzi fantascientifici.

Sentimenti, quelli di questi giorni, ben noti agli attori coinvolti nella pandemia di vaiolo del XVIII secolo, quando solo nel 1753 morivano a Parigi 20.000 persone, a Napoli 60.000 e in Inghilterra circa 40.000.

Tra gli interpreti più importanti c’era Edward Jenner, nome al quale dobbiamo tanto. Nel maggio del 1796, il medico del Gloucestershire iniettò nel braccio di un bambino il materiale purulento proveniente dalla pustola di una donna malata di vaiolo, dando luogo al primo vaccino della storia.

Edward Jenner, inventore del vaccino contro il vaiolo, immagine tratta da Wikicommons.

La strada della vaccinazione cominciò così, in un sobborgo londinese, proseguendo poi grazie al contributo di altri medici e biologi esasperati da una delle più grandi minacce per l’essere umano: la malattia. Troviamo Behring nella svolta contro la difterite e il tetano, Pasteur contro la rabbia e Sabin contro la poliomielite. Ma questi sono solo alcuni dei nodi principali.

Tuttavia, se un no vax fosse in grado di viaggiare nel tempo e ritrovarsi al fianco del signor Jenner quel fatidico maggio, magari gli suggerirebbe di procedere piuttosto con iniezioni endovenose di disinfettante o esposizioni prolungate a radiazioni solari. Forse sono proprio i consigli che avrebbe elargito Brian Lee Hitchens. 

Americano 46enne, complottista fino all’ultimo alveolo, si è ricreduto delle sue convinzioni quando quell’alveolo è stato preso dal Coronavirus. «State attenti a cosa leggete, alle fake news, ora mi rendo conto che il coronavirus non è assolutamente falso, è là fuori e si sta diffondendo» ha scritto in un post Facebook non appena ripresosi dalla malattia. «Pensavamo che il governo stesse usando il virus per distrarci. Ecco perché non abbiamo seguito le regole o chiesto subito aiuto», afferma riferendosi a se stesso e alla moglie (ancora ricoverata nel reparto di terapia intensiva), convinti che il Covid-19 fosse una bufala inventata dal governo per controllare le persone. Più ragionevoli e verosimili sembravano invece le teorie cospirazioniste legate al 5G. 

Quella degli anti-vaccinisti è però una battaglia che si protrae da tempo e spesso i propugnatori di queste idee si mostrano poco ricettivi ai dati scientifici ed empirici: inutili le dichiarazioni e rassicurazioni di medici, ricercatori e virologi provenienti da tutto il globo. 

Ma cosa spinge l’homo sapiens del XXI secolo ad opporsi con così tanta ostinazione a quella che sembra la più grande scoperta della medicina moderna? Se nel remoto passato il timore nasceva da una componente ideologica (tra cui la derivazione animale del farmaco), in tempi più recenti alcuni studi mostrano che gli oppositori odierni non siano tutti uguali. Ad affermarlo, in particolare, troviamo Robert Bohm, professore di analisi decisionale presso l’università di Aquisgrana. Si distinguono infatti cinque principali categorie: oltre agli scettici e ai malinformati, ci sono i pigri, gli egoisti e gli smemorati. Per poter intervenire in modo efficace e far loro cambiare idea è necessario capire a quale gruppo appartengano.

Spesso queste posizioni sono state attribuite alla difficoltà di alcuni individui a calcolare rischi e benefici di un fenomeno data l’enorme mole di informazioni attualmente disponibili. Veniamo infatti costantemente sommersi da nuove verità poste sul piatto d’argento della rete e pronte al consumo. Diventa così complicato per i naviganti, soprattutto per quelli che la scienza non la masticano troppo, discernere fake news e bufale dalle verità inconfutabili. Condendo il tutto con l’incapacità di effettuare un accertamento dell’autorevolezza delle fonti il piatto diventa ancor più amaro.

Comincia così il dilagare del virus del web: le fake news. L’Italia lo conosce bene questo morbo, essendo uno dei paesi più colpiti, come afferma la vicepresidente della Commissione Europea Věra Jourová. Per porvi rimedio, il governo italiano ha dovuto infatti istituire una task force contro la disinformazione divenuta particolarmente gravosa in questo periodo d’emergenza.

Questa situazione di ignoranza (scorporata dalla connotazione negativa la quale le si attribuisce solitamente) è catalizzata anche dal fatto che sempre più spesso, per rendere appetibile al grande pubblico l’universo della ricerca scientifica, si ricorre a sovra semplificazioni, alle volte troppo spinte. Ma come fare altrimenti quando questa sembra la soluzione migliore per avvicinare tutti quanti, anche quelli che chimica la ricordano solo come un brutto voto in pagella, alla galassia Scienza?

Per capovolgere la situazione bisognerebbe partire dalle basi: la scuola. Che ognuno abbia diverse preferenze in campo scolastico è risaputo, tuttavia la scuola dovrebbe fornire ai suoi figli strumenti anziché nozioni destinate inesorabilmente a svanire dopo pochi anni di lontananza dai banchi. Si tratta dei ferri del mestiere necessari per affrontare attivamente l’onda d’informazioni che travolge tutto e tutti quotidianamente. A tale scopo dovrebbe seminare il germe del ragionamento, portando gli alunni a porsi costantemente domande riguardanti gli stimoli che provengono dal mondo circostante

Spingendo i suoi discepoli ad affrontare con un comportamento attivo le informazioni ricevute, la scuola permetterebbe loro di cadere con più difficoltà nelle trappole multimediali, non soddisfatti di fermarsi alle apparenze.

La domanda più importante infatti non riguarda come appare la realtà ma come mai abbia questa forma. Se lo capissimo forse saremmo tutti un passo più vicini alla cura più importante: il vaccino per la disinformazione.

Articolo a cura di Natalia Boscolo. Immagine di copertina di alfcermed.

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