Quello che c’è di positivo nell’attacco al Congresso

A quasi due mesi da quel 6 gennaio, è il momento di guardare in prospettiva i fatti di Capitol Hill e trarne una riflessione positiva, forse.

È passato più di un mese dall’assalto al Congresso americano e da quei momenti ripresi in diretta dalle televisioni di tutto il mondo. All’aumentare della distanza temporale da un dato evento, cresce anche l’obiettività con cui guardiamo al medesimo, con il quietarsi dei carichi emozionali, possiamo riflettere con maggior raziocinio. Nonostante la reazione generale sia stata l’incredulità, ora viene da chiedersi cosa sia stato veramente quel giorno e cosa abbia rappresentato per lo stato di salute delle nostre democrazie.

Qui c’è una ricostruzione dettagliata dell’attacco, curata dal Washington Post

Nelle ore immediatamente successive molti commentatori usarono la parola “golpe” per descrivere l’azione dei manifestanti. Ammetto che la definizione mi è sempre sembrata una forzatura, in quanto il colpo di stato è, per definizione, un piano organizzato e dettagliato. Le immagini e i video rilasciati successivamente evidenziano molto bene come l’unica legge che governasse quelle persone fosse l’assoluta anarchia. Alla luce di questo, l’accusa rivolta a Donald Trump è stata quella di incitamento all’insurrezione, attribuendogli quantomeno la responsabilità di aver soffiato su un fuoco che è presto divampato in un incendio incontrollabile. Nonostante i repubblicani abbiano contribuito all’assoluzione di Trump per opportunismo politico, la censura è arrivata anche dal partito politico che prima l’aveva sostenuto.

La CNN all’indomani dell’attacco racconta l’irreparabile cesura che si è venuta a creare tra Donald Trump e il partito repubblicano

Per la prima volta nell’età contemporanea abbiamo visto il parlamento di una democrazia occidentale sotto assedio, violato e quasi messo a ferro e fuoco. I simboli sono importanti per un motivo: sono la chiave stessa con cui vediamo e cerchiamo di comprendere il mondo. I vetri rotti del Campidoglio hanno rappresentato una ferita cocente perché ad andare in frantumi non era una finestra ma il patto sociale su cui si regge la nostra convivenza. Tanti personaggi illustri, politici o meno, hanno posto l’attenzione sulla fragilità delle nostre democrazie, sulla loro debolezza in un’epoca particolarmente caotica. Fiumi d’inchiostro sono stati versati in innumerevoli libri, invitandoci a non dare per scontata la forma democratica. Non togliendo niente a queste analisi, vorrei dare spazio ad una riflessione positiva in questo articolo.

I fatti di Capitol Hill ce li dobbiamo stampare nella mente, perché ci dobbiamo ricordare che la democrazia non è scontata, bisogna investirci (…) quello che abbiamo visto a Capitol Hill, lo si può vedere in ogni paese, è un conflitto di fondo che c’è in tutto il mondo (…) non dimentichiamo l’irruzione al Congresso, la democrazia non viene dal cielo.

Barack Obama, 44° presidente degli Stati Uniti, intervistato da Fabio Fazio a Che Tempo Che Fa, su Rai Tre, il 7 febbraio 2021.

Credo che gli eventi di Capitol Hill abbiano suscitato un insieme di reazioni passate facilmente in sordina, senza che il significato delle stesse fosse preso in considerazione. Subito dopo gli attacchi, l’unico a non esprimere una condanna netta è stato proprio Donald Trump, che aspetterà sei giorni per criticare esplicitamente l’assalto. Al netto di questo, probabilmente capita qualcosa che egli stesso non si sarebbe aspettato. A seguirlo sono in pochi, pochissimi; neanche all’interno del suo partito sono più sicuri delle azioni del Presidente. Ed è proprio il mancato appoggio dei repubblicani a segnare un’importante spartiacque. Fino a quando la richiesta di Trump – anche se immotivata – è stato il riconto dei voti, ci si muoveva ancora in un selciato istituzionale seppur ampiamente forzato. Ecco, però, che l’assalto è stato così grave che non esiste giustificazione possibile per Trump, il quale viene abbandonato da tutti.

Secondo un sondaggio del Washington Post e di ABC news quasi nove americani su dieci condannano l’insurrezione, di questi otto considerano molto grave l’evento. Se Trump ha preso circa il 47% dei voti alle presidenziali, è facile immaginare che anche molti elettori del tycoon abbiano condannato le sue azioni. Così anche i “big” del partito hanno condannato l’evento: uno fra tutti l’ex presidente George W. Bush, che ha parlato di “repubblica delle banane”. All’estero la condanna dei leader politici è stata quasi unanime, anche da parte di coloro politicamente vicini a Trump – uno tra tutti, Matteo Salvini. Nessuno con un minimo di responsabilità e visibilità ha potuto dare giustificazione di quanto successo.

Uno dei video che più sono circolati dopo l’attacco: l’agente di polizia Eugene Goodman attira gli assalitori lontano dall’aula del Senato per permettere ai parlamentari di mettersi in salvo

La democrazia è certamente un sistema equilibrato, ma che poggia essa stessa su un importante equilibrio: il riconoscimento da parte di ciascuno dell’impossibilità di farcela da soli. Prevede un livello di tolleranza dell’altro e delle sue idee che non pretende di essere una terra utopica della fratellanza, piuttosto un clima di dialettica pungente quanto rispettosa. I cambiamenti prodotti da tante variabili della nostra modernità hanno avuto un effetto profondo di radicalizzazione delle parti politiche in campo. Si è passati velocemente dalla parola “avversari” a “nemici”, credendo che con l’opposto non ci fosse possibilità di compromesso. Il dibattito si è ridotto ad una rinuncia della complessità con l’obiettivo di semplificare il rivale con banali etichette: si è buonisti o si è fascisti.

L’attacco al Congresso ha fatto scoprire come ci siano dei valori comuni da cui non possiamo trascendere, su cui non possiamo non concordare. Se la democrazia viene ferita, non importa ciò che scrivi in cabina elettorale, quella ferita la sentirai indipendentemente dal colore politico. Il fatto che la maggior parte di statunitensi e non abbia risposto con preoccupazione agli eventi di Washington, ci fa ben sperare nella sana capacità d’indignazione dell’opinione pubblica. La democrazia è un bene prezioso e fragile, ma non bisogna disperare né essere eccessivamente pessimisti. C’è qualcosa di positivo che possiamo trarre da questa storia: non passerà facilmente chi crede di essere sopra la legge, sopra la democrazia stessa. Per quanto la crisi possa essere profonda, il nostro sistema democratico ha dato la prova di essere ancora resistente.

Dopo la liberazione di Capitol Hill, in un parlamento danneggiato e offeso, il vicepresidente repubblicano Mike Pence e la speaker democratica Nancy Pelosi hanno voluto riunire ugualmente l’assemblea per continuare il processo elettorale. L’immagine dei parlamentari bipartisan in quell’aula riflette la volontà della nazione di non piegarsi alla barbarie e alla violenza.

Proviamo a pensare a quanto saremmo forti se marciassimo insieme con obbiettivi comuni, quale argine potremmo essere a chi crede che imporsi sia l’unico modo di vivere. Nel nostro Paese abbiamo ora un governo di unità nazionale a fronte di un’emergenza che riguarda tutti e non siamo partiti con il piede giusto. In un momento in cui bisognerebbe tifare per l’Italia e per il governo, ancor più perché espressione di quasi tutte le sensibilità politiche, si preferisce mantenere il logo della propria “squadra”. I leader continuano a far campagna politica e gli elettori non sembrano essere da meno.

La lezione di unità di fronte alle emergenze è lungi dall’essere assimilata, abbiamo ancora tanta strada da percorrere. Anche qualora non si esprimesse con una maggiore coscienza di unità nazionale, la lezione positiva che possiamo trarre da quanto avvenuto a Capitol Hill è sicuramente quella di una maggiore consapevolezza nei confronti della forza delle istituzioni democratiche che i nostri nonni hanno ideato, solide e resistenti. Nonostante i danni che possibili azioni estreme potrebbero sferrare, abbiamo ragione di credere che quel sistema democratico – «peggior forma di governo eccetto tutte le altre», secondo Winston Churchill – non crolli sotto i colpi di violenti e facinorosi.

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Palermitano, classe 2000 (la famigerata). Studio storia e filosofia all'università, ma il campo accademico che più mi appassiona è la filosofia della storia (bel gioco di parole, ma è tutto vero). Cerco di reprimere l'indole eclettica ed enciclopedica che mi porta in mille direzioni diverse contemporaneamente, con scarsi risultati ad oggi. Sono convinto che la scrittura ed il linguaggio non possano mai rendere la complessità del pensiero, motivo per cui non ho risposte semplici e non pretendo di trovarle.

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