Gli esopianeti e la vita nell’universo

Dall’alba dei tempi l’essere umano pensante si è posto innumerevoli domande: come è nata la vita? Perché? Siamo soli nell’universo? Cerchiamo di dare alcune piccole risposte.

La Terra, vista dallo spazio, ricorda una piccola e fragile astronave in viaggio nell’oscurità che ci circonda. È da questa piccola postazione che, dall’alba dei tempi, l’essere umano pensante ha iniziato a porsi innumerevoli domande: come è nata la vita? Perché? Siamo soli nell’universo? 

Domande, a tratti filosofiche, che tornano ogni anno alla ribalta nell’opinione pubblica internazionale. Supportate inoltre dalle numerose e continue scoperte di esopianeti che, come suggerisce il nome, non sono altro  che pianeti in orbita attorno ad un’altra stella che non sia il sole. La loro esistenza era già stata predetta dal fisico Isaac Newton e dal frate dominicano Giordano Bruno, quest ultimo di gran lunga troppo all’avanguardia per la mentalità ecclesiastica dell’epoca, data la sua tragica fine: la condanna al rogo. Tuttavia, la prima scoperta effettiva di un esopianeta avvenne solo il 5 ottobre 993 da parte di Michel Mayor e Didier Queloz, astronomi dell’Osservatorio di Ginevra e premio Nobel per la Fisica 2019. Si trattava di un pianeta dalle dimensioni di Giove, ribattezzato 51 Pegasi b, orbitante attorno all’omonima stella nella costellazione del Pegaso ad una distanza di 14,7 parsec, ovvero 47 anni luce dal Sistema Solare. 

                                                                              Michel Mayor e Didier Queloz

Da lì in poi le scoperte continuarono ininterrottamente, grazie anche all’impiego di tecnologie sempre più  avanzate, a nuove metodologie di analisi dati ed all’utilizzo di telescopi spaziali orbitanti attorno alla Terra. Occhi robotici posti a centinaia di km dalla superficie terrestre e puntati costantemente nel profondo del cosmo circostante come il telescopio Kepler della NASA, lanciato nel 2009.

Ad oggi sono oltre 4.100 i pianeti extrasolari confermati in 3.055 sistemi planetari diversi, mentre quasi 2500 sono in attesa di conferma. Un numero strabiliante considerando che dalla prima scoperta sono passati solo 26 anni. La maggior parte di questi pianeti sono di tipo gioviano, dunque di grandi dimensioni e composti principalmente da gas e caratterizzati spesso da orbite molto strette attorno alla propria stella. È invece minore il numero dei pianeti roccioso, ovvero con una superficie solida e quindi simili ai pianeti interni del Sistema Solare, non perché siano effettivamente in minoranza, quanto perché i metodi di individuazione attuali non sono molto efficienti per questa tipologia di pianeta. Ma quali sono le caratteristiche che rendono un pianeta adatto ad ospitare la vita?


                                                                         Dati raccolti dal Telescopio Kepler

Le forme di vita a noi oggi note sono basate sulla chimica del carbonio e necessitano, almeno la maggior parte, dell’utilizzo di ossigeno. Un pianeta, per essere adatto alla vita, deve quindi avere una superficie rocciosa e presentare un’atmosfera con una grande quantità di ossigeno ed azoto. Ovviamente anche una buona dose di acqua allo stato liquido è necessaria, ma quest’ultima dipende dalla posizione del pianeta rispetto alla stella ospitante. Se infatti il pianeta si trova eccessivamente vicino all’astro, le temperature sulla sua superficie saliranno fino anche a centinaia di gradi centrigradi a seconda della tipologia di stella, facendo evaporare l’acqua. Se invece il pianeta è posizionato eccessivamente lontano dalla stella, l’acqua potrebbe ghiacciarsi. Il pianeta in oggetto deve quindi trovarsi nella cosiddetta fascia abitabile: una corona di spazio attorno alla stella in cui l’acqua, si presume, possa trovarsi allo stato liquido. Inoltre la presenza di una densa magnetosfera è richiesta per proteggere le eventuali forme di vita dai raggi cosmici e dalle forti radiazioni provenienti dalla stella madre. Infine, un satellite naturale in orbita attorno ad un pianeta potrebbe fornire maggiore stabilità di rotazione dello stesso sul proprio asse permettendo di conseguenza, come nel caso del sistema Terra-Luna, di stabilire una certa regolarità fra l’abbassamento e l’innalzamento della temperatura. Per concludere, gli ingredienti della “ricetta-vita” sono molti, alcuni difficili da reperire, frutto della casualità della formazione di un sistema planetario. Una roulette che ha fornito numeri vincenti per noi e probabilmente anche per altre forme di vita sparse nell’universo.

Articolo di Patrizia Bussatori

Foto in copertina: ESO/M. Kornmesser/Nick Risinger (skysurvey.org) – ESO website – Rappresentazione artistica di 51 Pegasi b, il primo pianeta extrasolare scoperto

avatar

Attratta dalla natura e dal mondo che ci circonda, ho sempre lo sguardo volto al cielo. Sono astrofila, divulgatrice scientifica, attualmente presso l'osservatorio G. Colombo di Padova, e studentessa di astronomia, all'università di Padova.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.