Falsa amicizia

“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti” Luigi Pirandello

Proseguono le puntate del racconto di Giada Penello: ecco il link all’episodio precedente.

Con il secondo anno si faceva sempre più vivo in me il pensiero di cambiare scuola, ma a convincermi a rimanere fu proprio la mia insegnante di greco e latino. Mi riesce difficile esprimere un giudizio su di lei: sicuramente era molto competente nelle sue materie, spiegava dettagliatamente ogni cosa, ci faceva esercitare moltissimo e non perdeva mai tempo, ma le mancava la sensibilità

Per quel che mi riguarda, ricordo ancora il suo

Una rondine non fa primavera

riferito a un bel voto preso, per una singola volta in versione, come se fossi stata una persona che, istintivamente, si adagiasse sugli allori, come se non sapesse quanto mi impegnassi, o come se credesse che potessi gioire troppo per quel voto, che, in realtà, considerai sempre una botta di culo. 

Ricordo poi di averla trovata, finite le superiori, in tram. Lei mi chiese che università stessi frequentando e le risposi scienze della comunicazione, allora mi disse con un tono sorpreso, come se mettesse in discussione la mia scelta: “Ah, vuoi fare la giornalista?” e poi al mio: “No, la scrittrice” replicò… “Addirittura! Che ambiziosa”.

Nonostante questo, non riesco a non avere una certa stima per questa persona, se non altro per l’immensità di conoscenze che aveva, o per l’impegno che metteva nello spiegare. Non sono mai riuscita a odiarla davvero, di certo mi faceva uscire dai gangheri, ma non ho mai pensato che i miei insuccessi scolastici fossero dovuti a lei. Credevo, sempre e solo, di essere io quella troppo stupida

Inoltre, ai colloqui con i genitori non disse mai nulla di negativo su di me. Si rendeva conto del fatto che mi impegnassi e pensava che un giorno avrei trovato un mio metodo per tradurre, che non dovevo andarmene assolutamente da lì e che dal terzo anno sarebbe stato diverso. Il terzo anno non fu affatto diverso, ma quei commenti positivi mi fecero sempre sperare che un giorno sarebbe arrivato il mio momento.

Con quella speranza, mi costringevo ancora a trovare dei segni divini sul fatto che il mio percorso lì dentro fosse quello giusto. Quei segni che, probabilmente, erano solo frutto della mia convinzione e testardaggine ero sempre in grado di trovarli, ogni volta che mi approcciavo alla letteratura. Ma, come ho detto, questi segni erano più speranze che reali segni divini: ormai Carmen si era fatta davvero molto distante, quasi irrecuperabile. 

Avevamo smesso di parlarci. Lei a volte s’avvicinava a me, insieme alle altre ragazze, per conversare del più e del meno, ma non stava più sola con me. A volte penso che avrei preferito non mi parlasse affatto, perché, con quel modo che aveva di fare, mi illudeva sempre che ci fosse la possibilità che io e lei tornassimo a stare insieme, che avrei potuto essere degna di considerazione

La realtà è che a lei e alle altre facevo pena, così talvolta mi rivolgevano la parola per non farmi sentire un totale schifo. Nessuna di loro mi dava realmente ascolto. Pensavano che fosse d’obbligo sentire la mia opinione, ma che non valesse nulla, visto che era l’opinione di una stupida, di un essere inferiore a cui, probabilmente, mancava una visione più alta delle cose e, per questo, era un’opinione sbagliata

Ciò di cui avevo bisogno io a loro non serviva, i miei desideri erano secondari, per cui era giusto che io ascoltassi loro e mi fidassi delle loro decisioni, in quanto esseri superiori che ne sapevano molto più di me. 

Quella falsa considerazione, quella falsa amicizia mi feriva più di quanto mi facesse piacere, perché mi faceva sentire ancora più insignificante

Quello che, però, mi faceva più male era vederle, mentre toccavano Carmen con le loro mani, mentre la baciavano senza nemmeno sapere chi fosse, che valore avesse. 

Immagine tratta da Pexles

Anche per questo, non sopportavo più quella scuola, quelle persone, per questo cercavo in tutti i modi di scovare una tana calda e sicura in cui rifugiarmi. Avevo bisogno di sentire l’amore delle persone, perché in quella scuola mi sentivo continuamente indesiderata.

Natale era diventato uno di quei luoghi, era ritornato a essere magico, anzi, forse, più magico di quando ero bambina.

La possibilità di sentire un po’ di più l’amore della mia famiglia, di respirare un’aria piena di calore umano, mi sollevava dal peso di quei giorni a scuola.

Prima di Natale iniziavano anche le prove con il coro della parrocchia, e nello stesso periodo si teneva quella che, da noi, chiamano Chiarastella, ossia una sorta di pellegrinaggio del canto natalizio nelle case di tutto il quartiere. 

Era un momento davvero edificante. Mi faceva sentire più vicina a Dio, provavo la sensazione che in gruppo saremmo stati veramente in grado di cambiare il mondo in meglio. 

Forse era per il sorriso dei bambini quando arrivavamo, forse per le storie degli anziani che passavano quei giorni da soli o malati, forse per il fatto che, nonostante tutti avessimo i nostri impegni, ci trovavamo comunque per dare forza alla gente. Forse, semplicemente, era la buona riuscita delle canzoni dopo le prove. 

Un giorno arrivò alle prove del coro un nuovo ragazzo. Mi ero dimenticata gli occhiali, quindi non riuscivo a vederlo bene. Cercai di capire, attraverso le conversazioni degli altri, se era qualcuno che già conoscevo e che relazione avesse con loro, ma non riuscii a riconoscere chi fosse

Non me ne curai molto, perché ero concentrata sulla canzone. Ricordo che la mia amica, alla fine delle prove, mi disse: “Quello è carino, bisogna tenerlo sott’occhio”. Io, non riuscendo nemmeno a vederlo, risposi solo: “Beh, non mi pare”. 

Lo rividi, poi, sempre più spesso, alle prove di coro, alla Chiarastella, in patronato a giocare a ping pong. Scoprii che si chiamava Mattia e che viveva vicino alla parrocchia.

Immagine di copertina tratta da Pexles

Prendere la penna in mano mi rende terribilmente felice. Fin da piccola mi sono innamorata del mestiere di scrivere, poteva essere il classico romanzo rosa, invece porto le cicatrici sul corpo di questo amore. Combatto ogni giorno per conquistare un pezzo del mio sogno, vivere di parole, perché anche se mi fa soffrire ne sono terribilmente innamorata.

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