Giuramento d’amore

“La lealtà talvolta mostra le venature dell’attaccamento e dell’eccessiva devozione.” Letizia Pezzali

Ci fu un momento in cui, forse, Carmen decise di vendicarsi. Probabilmente, non sopportava più tutto quello sfruttamento. Non penso fosse arrabbiata, credo fosse semplicemente stanca. 

Durante i compiti iniziò a suggerirmi parole sbagliate. Alla maestra Luigina, così attenta e premurosa, questo fatto non sfuggì. Riteneva che potesse trattarsi di una forma leggera di dislessia. Fu una diagnosi che accettai senza troppe preoccupazioni. Un disturbo, senza dolore, per un bambino è un po’ come un fantasma: può tormentarne i sogni alla notte, ma basta il sorgere del sole perché scompaia.

Inoltre, non notavo come questo influisse nelle mie capacità. I miei voti erano comunque alti, i miei temi sempre tra i migliori, per cui quel piccolo difetto di forma non faceva chissà che differenza. Scrivere, poi, mi piaceva, stava diventando qualcosa di irrinunciabile, nonostante detestassi la mia incapacità di non fare errori di scrittura o di non essere in grado di leggere velocemente, senza inventare parole. Per questo tra la quarta e la quinta elementare, iniziò a delinearsi in me l’idea di diventare una scrittrice.

Riuscivo a immaginare ogni dettaglio e sensazione di quel mestiere.

Io e Carmen sedute vicine a una scrivania color pastello, con una grande finestra che guardava verso un piccolo giardino. Piccolo perché sarebbe stato più umile e intimo, come il lavoro di scrittore, che a differenza del pittore richiedeva molta meno esuberanza e più tranquillità, introspettività. Poi, sicuramente, una tazza con una bevanda calda, delle mani affusolate che si muovevano come quelle di una ballerina lungo le pagine. L’odore della carta e la sua ruvidità, quale scrittore non li ama? Conferiscono un’aria così intensa e misteriosa. Un lavoro delicato e poetico, come Carmen, e che mi permetteva di passare ogni secondo con lei. 

Iniziai, dunque, a programmare il mio futuro e a lavorare intensamente per esso. Fu forse proprio allora che iniziai ad avere realmente fastidio di quella malattia. Come si permetteva di interferire con la mia vita, con i miei sogni, con il mio rapporto con Carmen? Tanto peggio per lei, io ero comunque superiore e l’avrei eclissata. 

Immagine tratta da Pexels

In quinta elementare mi innamorai di un nuovo compagno di classe. Era straniero, si chiamava Eban, aveva la pelle color della terra bagnata, un carattere lunatico, una forza superiore agli altri. Era in difficoltà con l’italiano, ma aveva una sensibilità particolare ed era la cosa che più mi affascinava di lui. Mi piaceva per come sfiorava Carmen con le dita, sembrava essere in grado, come me, di apprezzarne più che il semplice contorno e questo ci rendeva simili, affini. 

Usavamo Carmen come pretesto per incontrarci e insieme formavamo un trio particolare. Mi faceva impazzire il modo in cui lui spingeva Carmen in tutt’altra direzione rispetto la mia, mi fece notare una parte di lei che mi mancava e che trovai molto più affascinante. Le nostre avventure di gioco non erano più solitarie, e il paesaggio, ormai, era solo un contorno. 

Ero veramente innamorata di Eban. Trovo stupido dire che i bambini non sanno cos’è l’amore, semmai non sanno cosa vuol dire l’amore in un contesto diverso da quello dell’infanzia, ma non per questo quello che provano è da considerarsi minore o meno degno di quello adulto. 

Io ed Eban condividemmo dei momenti davvero intensi e stare con lui mi permetteva di digiunare per qualche tempo da Carmen, per vivere qualcosa di più concreto, anche se sempre all’ombra della sua presenza. Mi accadde anche, che diversi anni dopo, trovandomi a passare del tempo con Eban, potessi risentire quel sentimento che c’era stato all’epoca. Mi trovai a pensare che avrei potuto benissimo rinnamorarmi di lui, se solo le cose fossero state leggermente diverse. 

Il nostro rapporto iniziò a consumarsi quando lo spinsi a legare di più con Carmen e lui pigramente non lo fece, per appassionarsi piuttosto al gioco. 

Il mio amore per Carmen prese il sopravvento, per cui, quando mi resi conto che l’interesse di Eban per lei era solo finzione, mi innervosii. Gli dissi che mi sarei uccisa per lei e che, se lui non fosse stato disposto a un impegno simile, allora avrebbe dovuto andarsene dalle nostre vite. Carmen, nel mentre, stava lì seduta senza intervenire, in tutta la sua fragile bellezza. 

Immagine tratta da Pexels

Eban se ne andò sconvolto da quelle parole, mentre io in lacrime mi stringevo a Carmen baciandole la guancia e ribadendole la mia devozione. In quell’abbraccio, forse, ero in cerca anche del suo perdono, per aver perso la testa per Eban e non aver visto che il fulcro della sua luce era sempre stata lei.

Eban si prese anche la briga di avvertire la maestra Luigina, che, preoccupata, mi interrogò sulla cosa.

Lì per lì, mi vergognai di aver pronunciato una tale promessa, probabilmente per il rispetto che le portavo e perché in lei vedevo una guida, non solo nel mio percorso verso la scrittura, ma anche verso Carmen. Quindi, se lei diceva che quella proposta era esagerata, forse era vero. La realtà è che una tale affermazione è spaventosa se pronunciata da una bambina di quell’età, ma ahimè era vera, e poi quanti altri, prima di me, l’avevano pronunciata con altrettanta devozione?

Così, il mio rapporto con Eban si spense, anche perchè lui iniziava ad essere sempre più lunatico e geloso di altri bambini, che io nemmeno consideravo. Non si rendeva conto che a me degli altri ragazzi non importava, a me interessava Carmen, che lui, ormai, considerava solo in quanto compagna di giochi.

Non sentii, allora, il peso di quella rottura, visto che il mio sguardo era già rivolto da un’altra parte. 

Un giorno la maestra Luigina ci diede un compito di coppia, io ovviamente mi misi subito con Carmen. Dovevamo scrivere un tema libero. Il più bello, se fosse stato all’altezza della situazione, sarebbe divenuto la base per la recita di fine anno

Era un compito stupendo, un’occasione unica per me. La gioia e l’entusiasmo di quell’opportunità non mi fecero nemmeno pensare a se non avessi vinto. 

Scrissi qualcosa sull’amicizia dei colori dell’arcobaleno. Chissà perché ne ero così ossessionata, oggi mi sembra una cosa così stupida, infantile, ma, forse, ciò che mi infastidisce di più è il fatto che sia così banale. Mi sembra già un segnale della mia stupidità, delle mie illusioni. 

Vinsi e fu per me un enorme onore e motivo di orgoglio. Coronavo, così, la mia amicizia con Carmen, sfinita da quei cinque anni. Il viso incavato con le occhiaie, i capelli arruffati, e un sorriso così dolce, che sembrava che quella malattia la rendesse solo più delicata e sensuale, nel suo essere consumata. Un po’ come le sneakers, che nuove sembrano troppo finte, ma consumate assumono tutt’altro aspetto, raccontano una storia.

Il giorno della recita la guardavo nel suo vestitino, piena di orgoglio e amore per quello che eravamo riuscite a creare insieme. Decisi allora che non avrei mai vissuto una vita senza di lei, la volevo, la desideravo e mi sembrava che quel sogno fosse più che possibile.

Prendere la penna in mano mi rende terribilmente felice. Fin da piccola mi sono innamorata del mestiere di scrivere, poteva essere il classico romanzo rosa, invece porto le cicatrici sul corpo di questo amore. Combatto ogni giorno per conquistare un pezzo del mio sogno, vivere di parole, perché anche se mi fa soffrire ne sono terribilmente innamorata.

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