Il Primo Capitolo

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Scrivere bene è sempre nuotare sott’acqua e trattenere il fiato (Francis Scott Fitzgerald)

Il primo capitolo è sempre il più pregno di emozioni, è un’antitesi di entusiasmo e paura. 
Dieci pagine per presentare personaggi, universo narrativo e stile della narrazione.
Se non susciti l’interesse del lettore, beh, per lui la tua storia finisce lì
Per fortuna che, in quanto specie umana, abbiamo un’alta considerazione di noi stessi e alla fine ci convinciamo sempre di essere persone interessanti, con una storia unica da raccontare.

«Siamo tutti unici e speciali in qualche modo, ognuno di noi nel suo piccolo può fare la differenza».

Non so se ci credo poi così tanto, mi sembra una bugia detta per farci dormire tutti tranquilli la notte e farci pensare che, in questo mondo, anche se siamo esseri mediocri, senza alcun talento, contiamo ancora qualcosa.
Sta di fatto che nei libri di storia le persone comuni, che pure hanno fatto qualcosa nel loro piccolo, non sono neppure citate: di loro non importa a nessuno, non ne conosciamo nemmeno i nomi. Invece, di Gandhi, Mandela e Madre Teresa la gente se ne riempie la bocca. Loro sono i grandi eroi della storia, quelli che conosciamo, ammiriamo e che davvero hanno rivoluzionato la realtà. Loro hanno lasciato un segno nel mondo, hanno avuto un coraggio non mediocre ma eccezionale, loro sono gli esseri speciali che hanno fatto qualcosa di spropositato per lasciare un segno.
La vita di queste persone è una storia da raccontare, non la mia: io in fondo so di essere piena di insicurezze, paure e di non avere davvero nessuno spiccato talento. Loro sono interessanti, non io.
Però, come ogni scrittore in erba, come ogni essere umano, decido di ignorare in parte questi pensieri per sopravvivere alla paura di non valere nulla, e comincio a scrivere

Se sapessi da dove è partita questa storia, senza troppa stravaganza, inizierei a raccontarla da lì, così da non peccare di presunzione e compiacere il caro Carducci, che vuole un racconto chiaro e semplice
Peccato che io non sappia come mi sia venuta in mente, ma piuttosto l’abbia trovata già lì, come il sole alla mattina, senza che mi accorgessi che era sorta. 
Mi perdoni, quindi, il lettore, se si trova disorientato, ma una storia chiara e semplice non avrebbe bisogno di lui, perché, in tal caso, a cosa servirebbe? 
Il lettore sarebbe solo un inutile omuncolo, legato a una sedia, sommerso da una valanga di parole: non avrebbe nemmeno la possibilità di dire “ahia”. 
Così, la mia storia partirà con lo spiegarvi perché ho deciso di scriverla, con la spiegazione di cosa significhi per me “primo capitolo”. 

Nella mia vita ci saranno stati almeno un centinaio di primi capitoli. La maggior parte sono morti lì, in preda all’entusiasmo di cominciare qualcosa di nuovo ma assaliti dal panico di non riuscirci

Ho iniziato libri per bambini e li ho lasciati incompiuti, perché troppo giovane per portare a termine un compito così faticoso. Ho cominciato un libro per ragazze, convinta sarebbe stato un successo, poi è passato il tempo, è cambiata la mia mentalità, e mi sono accorta che era una gran cavolata. Sapete, ho anche provato a scrivere un sacco di diari, ma non sono mai riuscita a dare valore e interesse alle singole giornate, soprattutto, perché la mia vita non è scossa da eventi storici dalla portata straordinaria e nemmeno io sono poi un tipo così avventuroso da trasformare la mia esistenza in un’esperienza entusiasmante per il lettore.

Ho progettato decine di romanzi e sceneggiature, basandomi sulla convinzione che la cosa fondamentale fosse trasmettere un messaggio importante al lettore, farlo riflettere su qualcosa, smuovere la sua coscienza, ma, una volta trovato il messaggio, costruirci una storia articolata intorno non mi riusciva.

Poi, un giorno, ho trovato questa storia, lì ferma ad aspettarmi sul comodino, o forse era il sedile del treno, sta di fatto che mi sono convinta che sarei riuscita a finirla. No, non è stato così, non è mai così facile. 
L’ho scritta una, due, tre volte, ma era sempre troppo corta, troppo incasinata, con dei salti narrativi che avrebbero lasciato quella tipica sensazione del: «Non so, ma mi sembra manchi qualcosa». Probabilmente, dimenticavo dei pezzi fondamentali o non mi rendevo conto che quel determinato evento aveva un valore maggiore di quello che credevo.

Immagine tratta da Pexels

J-Ax in Intro scrive:

«Copiare te stesso libera meno dolore che farsi tagli nel cuore e nel sangue cercare le parole».

Scrivere bene penso sia questo, scavare oltre il punto di soglia massimo, oltre ciò che sarebbe bene scavare. Una ricerca dolorosa. Per questo a volte cedo al dolore e mi accontento di quello che ho trovato in superficie. Ma non si scappa, appena torno a rileggere trovo tutti quei vuoti d’emozione. Vorrei chiudere un occhio, ma lo so che, così, mia figlia, la mia storia, nascerà con una malattia genetica e so che, se per caso si verificasse quella fatalità di eventi che metterebbero a rischio la sua vita, sarebbe solo colpa mia.

Ho realizzato che ogni primo capitolo è per me entusiasticamente devastante, perché contiene tutte le buone intenzioni di giungere alla fine e la convinzione di avere avuto un’idea geniale, ma allo stesso tempo è permeato dalla consapevolezza di tutti gli insuccessi precedenti
Comincio e sono tutta un fremito, mi sento potente, le idee fioccano senza sosta, tanto che i pensieri si aggrovigliano e quasi ci godo a rimanere intrappolata nella loro rete e a provare a districarla. Il problema è che so che finisce lì, lo so che poi mi stanco e perdo la pazienza e di quei fili incasinati vorrei solo farne un falò. Mi arrendo, sì, come tutti gli esseri umani: per quanto forti, a sprazzi ci arrendiamo.

Vaffanculo! Non ci credo che Gandhi, quell’essere speciale, un giorno della sua vita non si sia svegliato e abbia detto: «Non funzionerà mai, sono stanco. Che vadano tutti in malora!», come me, sentendosi solo. Non voglio credere che Dio abbia progettato un mondo popolato di esseri infinitamente superiori, che siano gli unici a contare qualcosa. Voglio ancora credere che Gandhi o San Francesco o chi per loro fossero come me; voglio credere che, portando a termine questa cosa, anche io avrò fatto la differenza, in modo che si possa dire di me: «Era una persona come tutti noi, ma ha avuto il coraggio di lottare», perchè questa versione della storia mi assicura che basta l’impegno e non un talento divino concesso a pochi eletti. Se Gandhi più di una volta si è arreso alla fatica, allora davvero tutti possiamo fare la differenza. Allora anch’io devo solo lottare.

Scrivere una storia è come l’amore. All’inzio sei tutto preso, fai sesso in continuazione e il cuore ti trabocca di dolcezza e sentimento, poi quella sensazione finisce, la monotonia ti attanaglia e ti irrita. Ma è a quel punto che, secondo me, si può parlare d’amore, perché non è più la chimica nel tuo sangue a farti sentire bene, ma sei solo tu che scegli di trovare il modo di stare bene con il tuo partner. Sei tu che devi sforzarti per tenere in piedi la baracca. Ci vogliono impegno e sacrificio.
In una relazione si è, però, almeno in due, mentre in un sogno, per quanto sostegno si possa ricevere, si rimane sempre da soli a combattere. Devi crederci solo tu, ma non troppo, perché se no ti monti la testa e mandi tutto a puttane. 

Siamo una società di bastardi. Creiamo frasi fatte come: «Devi credere nei tuoi sogni, non farti abbattere!» ma poi queste frasi non si adattano a nessuno. Eppure rimangono dei mantra da seguire, su cui sbattiamo la testa e ci chiediamo perché non ci abbiamo creduto abbastanza, o perché ci abbiamo creduto troppo pensando di essere superiori agli altri. La realtà è che ogni frase fatta è la semplificazione di un problema e quindi non combacerà mai veramente con la realtà

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Così, ho provato a riscrivere la mia storia, ancora e ancora. Mi chiedevo cosa non andasse, perchè non riuscissi a completare quella dannata ricerca, finché ho capito che non era il modo in cui la raccontavo a non permettermi di finirla, ma il mio atteggiamento verso di lei.
L’unico modo per cui  io possa riuscire in questa impresa è, infatti, trattare la scrittura non come una passione, un desiderio, ma come qualcosa di necessario, un obbligo. Come se dalla sua riuscita dipendesse la mia possibilità di mangiare il giorno dopo e non quella di autorealizzarmi. 
Eh sì, come la piramide di Maslow non può esserci autorealizzazione senza soddisfazione dei bisogni primari. Questi poi sono istintivi, radicati, per cui prevalgono sugli altri.
Non mangio se non ho scritto, riletto almeno cinque pagine.
Quando trattato la mia storia come nel secondo caso, l’insicurezza mi assale e prende il sopravvento. Quando invece penso che senza scrivere non potrò mangiare, allora sono costretta, per istinto di sopravvivenza, a mettere in gioco tutte le mie risorse e ignorare la paura. 

Per questo, caro lettore, non potevo darti un inizio chiaro e semplice. Dovevo per forza dirti che cos’è il primo capitolo, fa parte della storia, è il mondo del primo capitolo quello in cui incombe, come una terribile minaccia, la mia paura di fallire
Se prendesse il sopravvento, tutto questo mondo sarebbe destinato a scomparire. Anche se nascesse un nuovo primo capitolo, non sarebbe mai uguale al precedente e, di conseguenza, non potrebbe mai condurre alla stessa storia.
La mia storia, per quanto sia la quarta volta che la riscrivo, è totalmente nuova, anzi, essa stessa si sta realizzando finché la scrivo e non esiste già. A esistere sono invece le minacce di una fine prematura, quelle forse ci sono sempre state, e non solo per la mia storia, ma per mille altre. Probabilmente, anche i racconti dei grandi scrittori a volte sono stati divorati da questi mostri e chissà se ci siamo, così, persi qualcosa di unico e irripetibile. 

Ciò di cui sono certa è che questa delle mie storie è la più speciale, essendo l’unica che ho riprovato a riscrivere. È l’unica che non ho pensato fosse stupida e totalmente da buttare non appena l’ho riletta. 
Sicuramente, non avrà avuto la forma migliore, ma non era di certo stupida. 
È come se, dalle battaglie perse in precedenza, fossero sopravvissuti dei rimasugli, ancora brulicanti di vita, da cui è stato possibile rigenerare un nuovo mondo:
ho deciso di ripartire da quei frammenti, di raccoglierli tutti per creare davvero qualcosa. 
Ho paura, sento che questa è l’ultima battaglia; se la riperdessi non credo che avrei la forza di rialzarmi, mi sentirei, davvero, troppo umiliata per combattere ancora e, soprattutto, non saprei più da dove ripartire
Ho messo in piedi la mia più grande strategia, la mia più forte indifferenza verso le mie paure, il mio dolore, come una grande muraglia costruita intorno alla mia storia. 

Questo capitolo è per te, mia bellissima storia. Questo capitolo è per dirti che devi sopravvivere, amore mio, anche se ogni giorno il mare dell’Insicurezza cercherà di soffocarci. Tu respira, respira, e mentiti dicendoti che hai ancora fiato.

Immagine di copertina tratta da Pexels

Prendere la penna in mano mi rende terribilmente felice. Fin da piccola mi sono innamorata del mestiere di scrivere, poteva essere il classico romanzo rosa, invece porto le cicatrici sul corpo di questo amore. Combatto ogni giorno per conquistare un pezzo del mio sogno, vivere di parole, perché anche se mi fa soffrire ne sono terribilmente innamorata.

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