Muse

“Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe” (Eugenio Montale, Ossi di Seppia)

Sospira Omero ai piè d’Elicona
Volta Ariosto su il viso avvilito
L’arme, gli amori: è tutto finito?
L’ira di Achille nel vuoto risuona?

Ecco Virgilio dal guardo intristito
Fuggiasco Enea ha disperso la via
Tasso estense silente ormai sia
Goffredo eroe il senno ha smarrito  

Taci poeta se t’han rinnegato
Celeste Urania ha voltato le spalle
Voce sua bella ha la Musa lasciato

Taci poeta se il tempo è stato
Arida e secca in Beozia la valle
D’oggi dolor non può esser cantato.

Ma sì, poeta cieco, che vai ancora cercando? L’eco spento della tua voce rimbomba scarno tra le valli della Tessaglia. Credevi che sarebbe stata ancora lì ad aspettarti, Calliope bella voce, colei che cantò di Ilio? Apri gli occhi, poeta cieco! Omero giace sottoterra da secoli e lune – è mai veramente esistito? Gli fu davvero concesso d’ascoltare la Musa?

Ma sì, poeta pazzo, che ancora cerchi di capire? I paladini siedono per terra, Gerusalemme è stata liberata. Perché mai dovrebbe tornare? Celeste Urania ha già cantato del Sepolcro di Cristo e ora tace tra le figlie di Apollo. Tasso respira finalmente il silenzio dopo la burrasca delle inquietudini, gli si lasci la pace – per l’amor di Dio – che la calma è un privilegio di pochi interrati.

Poeta odierno, di che ti crucci? Il tempo delle invocazioni è ostinatamente presente, ma l’era delle risposte è un passato remoto. Non ci sono le parole, non domandatecele, è solo spreco di fiato e consunzione dell’anima. Taci poeta, taci Silvia, il silenzio è arrivato: v’è posto a malapena per voi due, ogn’altro tentativo è superfluo e ingombrante.

Alla mia odiata e inseparabile aridità.

Immagine di copertina: Nick Fewings, Unsplash