Infanzia

“Ognuno ha il proprio passato chiuso dentro di sé come le pagine di un libro imparato a memoria e di cui gli amici possono solo leggere il titolo.” Virginia Woolf

Hai mai pensato di essere destinato a qualcosa o a qualcuno? La sensazione può essere quasi rilassante, perché l’idea che ci si impianta in mente è di una strada ben delineata, una strada giusta e perfetta per noi. 

Ecco, io penso di essere stata destinata a Carmen. Però, col tempo, ho perso quella sensazione di sicurezza, la strada non è ben delineata e, forse, non è nemmeno compatibile con il mio essere. Quella bella via pianeggiante tra le colline verdi e le farfalle svolazzanti è un’illusione. Il mio cammino somiglia più a un ponte tibetano traballante, che non si regge in piedi. Non è sicuro, lo sai, ma devi attraversarlo perché qualcuno, senza nemmeno consultarti, ha scelto che devi andare di là.

Non so come Carmen sia entrata nella mia vita, non  ricordo il giorno in cui l’ho conosciuta. D’altronde, non ricordo nemmeno come ho conosciuto Michele o Lorenzo, eppure per me sono come dei fratelli.

Hanno sempre fatto parte della mia vita, sono sempre stati lì, come la mia storia, senza un vero primo capitolo, ma di fondamentale importanza come quest’ultimo.

Se ci si fa caso, la maggior parte dei ricordi di quando siamo piccoli non sono reali, o meglio non sono ricordi di ciò che è accaduto, ma di ciò che i nostri genitori ci hanno raccontato. Per esempio, non ricordo di quando io, Michele e Carmen andavamo in bagno insieme e, mentre lui espletava i suoi bisogni, io e lei inventavamo delle storie per intrattenerlo, ma so che accadeva perché me lo hanno detto i miei genitori. 

Assurdamente, a volte, da quel marasma di racconti spuntano delle immagini reali. Ricordo davvero i personaggi dei giochi che inventavo con Carmen. 

Una era una super eroina con le treccine color arcobaleno, che come caratteristica particolare aveva quella di passare il tempo a ingurgitare stelline dello stesso colore dei suoi capelli; poi c’era una giovane contadinella, che istruiva una ragazza di città al suo mondo ricco di boschi e cascate cristalline, circondata da animaletti affettuosi di cui ogni giorno si prendeva cura. Ci giocavo con Soraya, chissà se lei ha lo stesso ricordo. 

Tutto partiva dai libri

Mia mamma si è sempre prodigata tanto affinché mi appassionassi alla lettura. Quando lei era piccola non c’era tutta questa possibilità di leggere: per questo, la prima volta che si è trovata davanti ad una biblioteca le è sembrato un sogno e ne ha subito colto le incredibili potenzialità. 

Avevo dei libri preferiti: Le Avventure di Robinson Crusoe, Pippi Calzelunghe, Le mille e una notte, Le Avventure di Simbad. Racconti ricchi di avventure in posti esotici, che io e Carmen dipingevamo nella mente, per poi ambientarci i nostri giochi di bambine. A volte a colpirmi erano anche i personaggi, come Sherazade, intelligente, sensuale, magnetica. 

Già si scolpiva nella mia mente un ideale di donna che avrei voluto essere e che cercavo di emulare. 

Quando iniziava l’estate, si attivava la possibilità di passare le sere a giocare fuori. Ne approfittavo per farmi ispirare delle stelle e inventare lunghe storie con le costellazioni come protagoniste. In quei momenti Carmen era lì, così vicina a me. Io mi perdevo nei suoi occhi, che rispecchiavano il cielo stellato sopra le nostre teste. 

Per quanto astratta, mi ricordo esattamente la sensazione che provavo, più di tutti quei racconti sulla mia infanzia, così concreti, che i miei genitori mi hanno narrato. Mi sentivo come se approdassi a qualcosa di trascendentale. Ricordo quanto mi attraesse il fatto che in quel momento gli altri pendessero dalle mie labbra, quanto mi sentissi potente. Ero come una piccola Sherazade, un’ipnotizzatrice che prende il totale controllo dei propri spettatori.

Degli occhi di Carmen, però, già allora sentivo che mi sfuggiva qualcosa. 

Immagine tratta da Pixabay

Questi so che sono veri ricordi, perchè nessuno mai sarebbe in grado di raccontare queste sensazioni se non le avesse vissute sulla propria pelle. 

Per cui, caro lettore, fidati se ti dico che, nei miei ricordi, Carmen è sempre stata in qualche modo presente, anche se mai nessuno ci aveva presentate. 

Un’ombra inquietante, di cui nessuno sospettava la vera natura, perché già da piccola la sua grazia imbrogliava tutti, nessuno riusciva a esserne immune. 

La sua pelle aveva il profumo di frutti esotici e di brezza marina, i suoi capelli erano come il sole che si rifrange sulle foglie degli alberi. Forse era proprio quella sua bellezza un po’ straniera a renderla per tutti così affascinante e ambita. 

Immagine tratta da Pixabay

All’epoca, però, non davo valore alla sua amicizia. Mi rendevo conto di quanto trasformasse il mio mondo in qualcosa di più entusiasmante, ma davo la sua presenza per scontata. 

Forse è stato proprio questo il mio primo errore, ma davvero non potevo, così piccola, cogliere tutta quella grandezza. 

Quando cominciai la scuola il rapporto con Carmen si fece molto più intenso. Divenne una di quelle amicizie un po’ morbose, per una così giovane età . Mia madre non se ne preoccupò, forse proprio per l’insospettabile carattere di Carmen: non solo era molto bella, ma c’era qualcosa nella sua personalità che portava tutti a fidarsi e ad abbandonarsi a lei. In sua compagnia, ogni cosa prendeva un altro significato.

A scuola andavo bene, i miei voti erano alti e mi comportavo secondo le regole. Sviluppai subito una passione per la scrittura. Amavo creare storie, e mi riusciva naturale inventale, proprio come quando giocavamo tra amici. 

Carmen era la mia compagna di avventure preferita, e la sfruttavo ogni volta che volevo intraprendere un nuovo viaggio o cambiare aria dal banale mondo reale. 

La mia insegnante d’Italiano, la maestra Luigina, si accorse subito di questa mia capacità e passione, per cui non fece altro che incoraggiarmi e, in un certo senso, a spingermi, sempre più, tra le braccia di Carmen. 

La maestra Luigina era una donnina minuta, con i capelli corti, color giallo paglierino. Il suo metodo d’insegnamento, a mio avviso, era impeccabile: la giusta dose di dolcezza e severità, pronta a mettersi in gioco e a seguire i propri alunni uno per uno. Ricordo ancora le marionette di Ada anatra maestra, Eolo elefante equilibrista, Ivo istrice pittore, Omero orso circense, Uto uccello esploratore, e tanti altri personaggi buffi che mi accompagnarono verso il mio amore per Carmen.

Vorrei dire di più sulla maestra Luigina, perché nel mio cuore occupa uno spazio speciale. Vorrei spiegarvi quanto il suo amore per la scuola abbia condizionato la mia vita, ma per Carmen è sufficiente così, non servono altre parole. Luigina non è la protagonista della storia e parlare di lei farebbe si che Carmen non fosse più la cosa più importante e questo non deve accadere.

Cara maestra, mi prendo questa libertà, finché Carmen è un po’ distratta, per ringraziarla di quel tempo passato insieme, dei suoi insegnamenti, di quello che hanno significato nel mio cammino. Non la scorderò mai, le voglio bene.

Grazie all’apprendimento scolastico, iniziavo a percepire che Carmen, per me, avrebbe potuto essere più di una semplice amica. Iniziavo ad apprezzare il tempo passato con lei, cominciavo a comprenderne il valore. Per questo motivo passavamo sempre più tempo insieme.
Accadde, però, che pian piano questa mia insistenza le togliesse un po’ le forze.  Carmen stava perdendo la sua lucentezza. Era come se tutto quel mio chiedere avventure sempre più grandi la stesse consumando. Era come una candela nata per essere accesa; tutti siamo attratti dalla fiamma che danza, luccica e scalda, ma non notiamo che, pian piano, sotto quel calore, la cera si scioglie, si consuma, fino a non sopportare più quel peso e dare l’ultimo respiro al fuoco. 

A me, però, di quella cera non importava, perché nemmeno ero consapevole del fatto che la fiamma avrebbe potuto spegnersi. E poi io, a differenza di Carmen, iniziavo a brillare sempre di più, mi sentivo forte, imbattibile, un gradino sopra la conoscenza del mondo. 

Carmen era diventata la mia droga e gli incoraggiamenti la scusa per abusarne. Non potevo capirlo, avevo troppo poca esperienza e troppo poco autocontrollo per saper dosare il nostro rapporto. Ero una bambina che si abbuffava di cioccolato.

Immagine di copertina tratta da Pexels

Prendere la penna in mano mi rende terribilmente felice. Fin da piccola mi sono innamorata del mestiere di scrivere, poteva essere il classico romanzo rosa, invece porto le cicatrici sul corpo di questo amore. Combatto ogni giorno per conquistare un pezzo del mio sogno, vivere di parole, perché anche se mi fa soffrire ne sono terribilmente innamorata.

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