La mina curda

La lunga coda dell’Impero Ottomano

In questi giorni i giornali parlano di una operazione militare della Turchia in Siria, che coinvolge chi attualmente ne detiene il controllo militare, ovvero i curdi, popolo di circa 40 milioni di persone oppresso da decenni dalla Turchia, argomento che interessa anche questo blog, al punto di consigliare la lettura del reportage di Zerocalcare in tempi non sospetti. Cerchiamo quindi di capire la “questione curda”.

Mappa del territorio comprendente la popolazione curda

Per curdi si intende un insieme di popolazioni con culture e lingue affini, frammentate su determinate aree della Turchia, dell’Iraq, dell’Iran e della Siria (in quest’ultimo paese i curdi hanno avuto un importante ruolo militare nella liberazione del territorio contro i terroristi dell’ISIS), inclini all’autonomia. Infatti, storicamente, i territori abitati da loro facevano parte dell’Impero Ottomano, che conferiva grande libertà decisionale alle varie popolazioni. Basti pensare che un elemento chiave per capire questo impero è il trattamento di ebrei e cristiani, che avevano leggi specifiche, e non erano tenuti a seguire il corano.

La sconfitta di Lepanto, ad opera della Lega Santa, ha segnato l’arresto dell’espansione ottomana in modo decisivo, grazie allo sbaragliamento veneziano della flotta turca, ragione per cui dal 1571 l’Impero Ottomano ridusse le mire espansionistiche sul Mediterraneo. Fu però la sconfitta subita nella Grande Guerra a portare alla frammentazione in Stati-Nazione, tramite i trattati europei delle nazioni uscite vincitrici, che hanno preso a carico alcuni territori ottomani. Nel 1920 si pensò di creare uno Stato-Nazione per i popoli curdi, il Kurdistan, ipotesi poi scartata 3 anni dopo col trattato di Losanna. La mancanza dell’autonomia desiderata portò quindi a diverse tensioni coi governi. L’instabilità non è stata poca, nel “Kurdistan” ci sono state diverse rivolte curde, con repressioni e concessioni atte a contenere una fetta di popolazione con una forte identità, che in più circostanze si è dimostrata ben militarizzata (basti pensare al ruolo che hanno avuto i curdi in Iraq e Siria, in entrambi i casi sostenuti dall’esercito americano) e pronta all’azione. Non è irragionevole, per uno Stato-Nazione, cercare di annientare la volontà di una fetta della popolazione, quando capace di produrre spinte tali da ridurre i territori dello Stato stesso. Ed è questo il punto.

Il trattamento della Turchia nei confronti del popolo curdo, dal negarne l’identità e le istanze collettive sul sud del paese fino alle azioni più violente, ha come focus il mantenimento dei confini attuali. Le risposte alle repressioni diventano, ad un certo punto, terrorismo (in questo caso si parla del PKK, ma anche in Italia abbiamo avuto le nostre difficoltà, nonostante il livello di violenza di entrambe le parti fosse decisamente minore), e come sempre accade le risposte al terrorismo sono ben peggiori, generando così un circolo vizioso. Nascono così tensioni interne, con una discriminazione che legittima ogni azione di una parte verso l’altra. Tutto questo perché si è voluto imporre un modello, quello dello Stato-Nazione, su un territorio che prima aveva nazioni ma non Stati, dove l’autonomia era la normalità e i confini vaghi. In qualche anno si è voluto mettere mano alla gestione di un territorio enorme, sconvolgendo gli equilibri costruiti in secoli. Anche se si fosse creato lo Stato del Kurdistan, non è detto che si sarebbe ottenuta più stabilità, perché il modello applicato era semplicemente troppo incongruente con quello precedente.

Una soldatessa curda

Con la Siria destabilizzata e sotto l’influenza curda si è aperta un’importante possibilità politica per Erdogan, che gli permette un’invadere lo Stato confinante portando avanti la retorica nazionalista e identitaria. La Siria è ricca di risorse, e una volta instaurato un sistema stabile è questione di tempo prima che si possa organizzare contro la Turchia, e al tempo stesso la Turchia ha interesse nell’espandersi verso la Siria. In tutto ciò troviamo gli USA che abbandonano la Siria lasciando di fatto via libera all’alleato NATO, i Paesi Europei che timidamente si oppongono con sanzioni più simboliche che pratiche, e la Russia che fa la Russia, cercando di migliorare la propria influenza geopolitica.

Possiamo quindi dire che la questione curda sia una mina posizionata con le politiche dagli stati europei, che ha (si presume) involontariamente fatto partire un vero e proprio conflitto etnico. Una politica diversa non avrebbe stravolto la normale necessità territoriale di reperire risorse al minor costo possibile, ma almeno non ne avrebbe giustificato il bisogno alla popolazione interna come una guerra etnica.

Chioggiotto, studente, alle volte lavoratore.

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