Nightmare Alley: la fiaba noir di del Toro

Guillermo del Toro ritrova sé stesso in un noir affascinante e crudele dove a fare da protagonista è l’illusione

Cogito et Volo dedica anche quest’anno una particolare attenzione alla corsa agli Oscar 2022, con approfondimenti sul sito e contenuti extra su Instagram e Facebook. Daremo un’occhiata da vicino a tutte le dieci pellicole candidate per il miglior film, con recensioni e curiosità, e commenteremo i risultati finali all’indomani della notte degli Oscar, che si terrà il 27 marzo. Qui trovate tutti gli articoli già pubblicati.

Guillermo del Toro – si sa – non è soltanto un nome, ma una garanzia. La promessa di entrare in sala e di respirare vero cinema, una magia che pochi registi riescono ancora a fare. E, dopo essersi “perso” tra le onde classicheggianti de La forma dell’acqua, il regista di film come Hellboy e Il labirinto del fauno torna finalmente a casa raccontandoci una fiaba tanto cruda quanto reale. Una fiaba che è stata capace di portare a casa ben quattro nomination agli Oscar: miglior film, migliore fotografia, migliori costumi e miglior scenografia.

C’era una volta…

Tratto dall’omonimo romanzo di William Lindsay Gresham – che leggenda vuole abbia preso spunto  da fatti realmente accaduti durante la Guerra Civile Spagnola, dove prestò servizio volontario come medico – pubblicato nel 1946 e già portato sul grande schermo da Edmund Goulding nel 1947, la storia ci presenta Stanton “Stan” Carlise, un uomo di poco conto che ha tutta l’intenzione di cambiare le sue stelle.

Per caso e per fortuna si unisce a un luna park ambulante dove inizia la sua lenta scalata verso il successo. Dapprima misero aiutante e poi imbonitore, Stan – furbo e intelligente – impara tutto quello che può dalla veggente Zeena e da suo marito Pete, un mentalista più dedito alla bottiglia che a leggere la mente altrui. In poco tempo apprende tutto ciò che c’è da conoscere e, assetato di ambizione e di successo lascia il luna park per una vita migliore.

Infatti Stan ha un piano. Esibirsi insieme alla sua amata nei più ricchi club del Paese e prendersi tutto ciò che la vita ha da offrirgli, e anche di più. E in poco tempo Stan riesce ad avere tutto quello che vuole: una donna che lo ama ciecamente, il rispetto e la deferenza da parte dei suoi spettatori e il tutto esaurito durante i suoi spettacoli.

Ma l’avidità è una malattia celata sotto mentite spoglie e, nel momento stesso in cui Stan conosce la bella psicologa che osa sfidarlo davanti al suo pubblico, le carte si mescolano in maniera irreparabile; specialmente quando Stan inizia a “fare lo spiritismo”, affermando di avere il dono di parlare con i morti. Una truffa, la sua, che rischia di diventare troppo pericolosa.

Immagine tratta dal film

L’attrazione per i freak

L’uomo è da sempre ammaliato da ciò che è strano, non convenzionale. In una parola: freak. Lo vede come un mistero che vorrebbe tanto risolvere, un rebus senza una chiave di comprensione. E il cinema non è da meno. Se pensiamo a film come The Elephant Man oppure, senza scavare troppo nel passato, basta guardare The Greatest Showman o l’italiano Freaks Out, o ancora la serie Netflix Luna Park.

Che dire, il circo/luna park – come i suoi personaggi del resto – è sempre un buon posto dove ambientare una storia che ha con sé le carte del successo. E l’ambientazione del film, curata nei minimi dettagli, ci trasporta in un mondo barbaro e crudele ma allo stesso tempo decisamente affascinante.

Lì dove la nebbia aleggia e tutto è allo stesso tempo attraente e inquietante, dove la bellezza va a braccetto con il mostruoso e la follia invita la ragione per un caffè in qualche sporca locanda nei paraggi, inizia una fiaba che – come un trapezista esperto – si muove tra thriller e noir d’altri tempi, regalandoci quella che potremmo definire «arte cinematografica».

Immagine tratta dal film

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Un regista d’eccezione

Guillermo del Toro con maestria ci porta dentro un mondo – l’America degli anni ’40 – tanto lontano da noi per costumi e usanze, ma allo stesso tempo ci regala un film dalla morale quanto mai attuale. Un film di cui non cura solo la regia ma è anche sceneggiatore insieme a Kim Morgan e produttore.

Il prodotto finale sono due ore e mezza capaci di tenere ancorato lo spettatore fino alla fine dei titoli di coda. In queste atmosfere noir, troviamo diverse scene macabre, tanto care al regista di Crimson Peak, sempre pronte a cogliere lo spettatore alla sprovvista.

Il film è inoltre molto diverso da quelli a cui siamo solitamente abituati proprio per i suoi tempi d’azione, tanto che potremmo quasi dividere nettamente il film in due parti. La prima, quasi di presentazione, e la seconda, piena di suspense.

A tratti, si ha quasi l’impressione che il regista giochi con noi, come il gatto col topo, prima di farci sussultare sulla poltroncina dove siamo comodamente seduti; il tutto, reso ancora più inquietante e grottesco dalle atmosfere noir. A un occhio attento inoltre, risulta inconfondibile come nella sua regia ci siano spesso degli elementi all’inizio del film che anticipano un finale decisamente ben strutturato.

Immagine tratta dal film

Uomo o bestia? Due facce della stessa medaglia

Il film, più che presentarci il classico viaggio dell’eroe, ci presenta il viaggio dell’antieroe. Perché Stan non è per niente un eroe, ma un cattivo in piena regola che tenta di giocare ad armi pari con dei mostri più grandi di lui, primo fra tutti il suo passato. È disonesto, avido e sembra quasi amare peccare di superbia.

È interessante come del Toro abbia portato sul grande schermo la storia di un uomo dalla morale così corrotta che, in fin dei conti, rispecchia l’animo umano nella sua più cruda realtà. Perché Stan è una metafora vivente: è la prova che i mostri – quelli veri – albergano in ciascuno di noi. Ed è solo una nostra scelta se li lasciamo uscire alla luce del sole, pronti a devastare ogni cosa sul loro cammino. Il che ci porta alla vera domanda del film: che cosa saremmo disposti a fare per ottenere tutto ciò che desideriamo?

Bradley Cooper, che interpreta Stan in questa parabola discendente dai forti toni faustiani, dà una prova magistrale delle sue capacità attoriali. Ma non è l’unico a rendere grande il suo personaggio. Perché in questo dramma psicologico corale, il film vanta un cast all star: da Willem Dafoe nei panni di Clem, il crudele capo della “baracca” a Toni Colette, la veggente Zeena; o Rooney Mara nei panni di Molly, l’interesse amoroso di Stan, una freak tanto gentile quanto innocente che commette l’errore di innamorarsi dell’uomo sbagliato.

Immagine tratta dal film

Menzione d’onore, che avrebbe decisamente meritato una nomination come miglior attrice non protagonista, va alla strabiliante Cate Blanchett, la psicologa Lilith Ritter, una donna bella e intelligente, ma più di tutto vendicativa.

«Tu non inganni le persone, Stan. Si ingannano da sole»

In conclusione, Nightmare Alley – La fiera delle illusioni è un film da vedere assolutamente e che probabilmente si porterà a casa qualche statuetta. Il cinema è finzione; per il tempo necessario che serve a raccontare la storia, lo spettatore si lascia ingannare, dando per vero tutto quello che vede e che sente sul grande schermo. Magia, incantesimo, inganno, chiamatelo come volete. Se il vero cinema è un’illusione, allora lasciatevi ingannare il tempo necessario per guardare questo film.

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Che dire di me? Amo leggere, inventare storie, e perdermi nella sala buia di un cinema. Adoro quel momento magico in cui le luci si spengono e il film si appresta a iniziare. Sono una ragazza cresciuta a pane, sogni e libri; e che puntualmente a fine giornata si ritrova con la mano sporca di inchiostro.

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