Babylon – Un superlativo omaggio al Cinema con qualche, trascurabile, problema

Babylon di Damien Chazelle è un kolossal fagocitante sulla Hollywood degli anni Venti, con qualche (trascurabile) difetto e vitalità che esplode da ogni singola immagine

Cogito et Volo dedica anche quest’anno una particolare attenzione alla corsa agli Oscar 2023, con approfondimenti sul sito e contenuti extra su Instagram e Facebook. Daremo un’occhiata da vicino alle pellicole candidate per il miglior film, con recensioni e curiosità, ma anche ai film candidati in altre categorie, in attesa della notte degli Oscar, che si terrà il 13 marzo. Qui trovate tutti gli articoli già pubblicati.

Sono passati sette anni da La la land e nove da Whiplash ma Damien Chazelle non ha ancora finito di raccontarci il suo amore per il cinema e la musica; e soprattutto non ha finito di raccontarci storie di attori, artisti e musicisti pronti a tutto per emergere in ambienti lavorativi spietati e fagocitanti. Ci ha riprovato, questa volta con un kolossal feroce, frenetico e magnifico, ma con tanti difetti.

Manuel Torres nella scena finale del film

E infatti Babylon, uscito il 19 gennaio nelle sale italiane, non ha riscosso il successo sperato, né da parte dei critici né da quella del pubblico. E tanto meno dall’Academy, che lo premia soltanto in tre categorie: migliori costumi, miglior colonna sonora a Justin Hurwitz (che vinse per La la land e ha buone chance di vincerlo ancora) e miglior scenografia.

Babylon è un film che andrebbe tagliato in due, per lungo, separando quello che a Chazelle viene da dio, e quindi l’unione di immagini colorate, bellissime, pervasive alla musica e al ritmo, e quello su cui più fa fatica, ossia nella creazione dei personaggi.

Margot Robbie e Diego Calva in Babylon

La nascita di Hollywood

La storia raccontata da Babylon inizia nel 1926, quando il cinema era per lo più in bianco e nero e soprattutto era muto. A dare voce agli attori erano le didascalie scritte a mano tra un frame e l’altro; la colonna sonora era data da una performance live nella sala di proiezione. Il lavoro dell’attore era quello di raccontare una storia soltanto con i movimenti e le espressioni facciali.

Proprio di questo mondo fanno parte i nostri protagonisti: Jack Conrad (interpretato da Brad Pitt) è un attore di enorme successo, il più pagato e richiesto della Hollywood delle origini. Nellie LaRoy, interpretata da una superlativa Margot Robbie, è una giovane donna alla disperata ricerca di un ruolo in qualche set dei Kinoscope Studios. Manuel Torres (interpretato da un affascinate Diego Calva) è il factotum di un dirigente degli Studios, incaricato di rendere i suoi festini/baccanali indimenticabili, ma con il sogno di lavorare un giorno su un set cinematografico.

Nelli LaRoy al suo primo film

I tre si incontrano proprio a una di queste feste, in una scena indimenticabile, piena di vita, di sensualità, che riverbera negli occhi dello spettatore fino alla fine del film, come un sogno. E da qui le loro storie continueranno a incrociarsi, tendendo verso un’unica direzione: fare successo a Hollywood.

E ci riescono: Nellie, inizia come comparsa e poi diventa una star di enorme successo, Manny fa ogni tipo di lavoro dietro le quinte fino a diventare dirigente degli Studios, Jack continua a trarre vitalità dai suoi film e l’amore per la settima arte si fa in lui ogni giorno più grande.

Nellie LaRoy si imbuca al baccanale di un produttore cinematografico

La prima rivoluzione del cinema: l’avvento del sonoro

Tutto cambia negli anni successivi, tra il 1927 e 1928, quando nasce il cinema sonoro. Ora gli attori devono convincere non con uno sguardo ma con le parole, devono imparare lunghi dialoghi a memoria, devono prestare attenzione al tono e alla dizione. Cambiano le macchine, gli strumenti.

Cambiano i set cinematografici: nella seconda, incredibile, sequenza del film vediamo il marasma brulicante dei Kinoscope Studios, con le scenografie montate per vari film contemporaneamente, le orchestre che suonano musiche orientali, poi western, poi classiche, le guerre girate in enormi spazi aperti con armi vere. Ma con l’avvento del sonoro le riprese si spostano indoor, con i microfoni appesi al soffitto, i segnaposti sul pavimento per bloccare l’attore nel punto giusto.

Ai Kinescope Studios stanno girando un film di guerra

E qui i nostri personaggi iniziano a sperimentare, ma soprattutto a soffrire, a riflettere e ad arrancare. Dopo la rapida e vertiginosa ascesa, inizia la decadenza. Nellie è vittima delle sue dipendenze dal gioco e dalla droga; Manny la insegue, cercando di portare avanti la sua carriera da produttore e dirigente ma dovendo contemporaneamente accudire una star a dir poco eccentrica; Jack precipita nella depressione di un attore che non riconosce più sé stesso e i suoi valori in quello che fa.

Personaggi mediocri ma prove attoriali da Oscar

E veniamo dunque a quello che è il grande problema di questo film: la caratterizzazione dei personaggi. Jack, in particolare, è un personaggio banale, superfluo, noioso e prevedibile. Sebbene Brad Pitt, riciclando un po’ il suo ruolo in Once upon a time in Hollywood, riesca a dar un po’ di brio a Jack Conrad, questo si rivela un personaggio che di per sé brio non ne ha. La sua è una parabola scontata: da attore che vive di cinema e ama il suo lavoro perché in grado di lasciare il segno, di far sognare gli spettatori, si trasforma nell’attore sfranto, senza più energia, disilluso, vittima di un sistema che trita i suoi prodotti e tende sempre di più alla mediocrità. Un personaggio malinconico e senza nulla da dire.

Brad Pitt in una scena del film

Anche Nellie certamente non è un personaggio indimenticabile, ma se non altro può contare su un’interpretazione eccellente, carismatica, frizzante, ammaliante, di una Margot Robbie che ormai si conferma uno dei volti cardine del cinema contemporaneo. C’è da chiedersi se sia una scelta voluta da Chazelle, quella di avere nel suo cast i due protagonisti dell’ultimo film di Tarantino, anche quello film celebrativo e al tempo stesso critico e meditabondo sul mondo dello show business di Los Angeles.

Manny è il personaggio senza dubbio più interessante, sebbene un po’ sbattuto di qua e di là dagli accadimenti altrui. Diego Calva, al suo primo film internazionale, si mostra una presenza salda e ben presente, a suo agio tra due attori di grande fama. Manuel ha una storia più complessa, più articolata, costellata di imprevisti e di colpi di fortuna. L’unico, tra i protagonisti, ad avere veramente una visione chiara di quella che è la Hollywood degli anni Trenta, conoscendola dai suoi bassifondi (in una scena pazzesca e davvero imprevedibile che non voglio spoilerare) ai suoi fasti, nei villini lussuriosi ed esotici di produttori e critici di rilievo.

Diego Calva in una scena del film

Ancora un film hollywoodiano che parla di Hollywood?

Un altro punto su cui forse si può riflettere è questo: per quanto ancora può funzionare questo meccanismo cinematografico di una Hollywood che analizza e viviseziona sé stessa? Chazelle stesso ne ha parlato in La la land (2016), più recentemente abbiamo visto Mank (David Fincher, 2020), Once upon a time in Hollywood (Quentin Tarantino, 2019); prima ancora c’era stato Ave, Cesare! (Fratelli Coen, 2016) e The Artist (Michel Hazanavicius, 2011), Licorice Pizza (P. T. Anderson, 2022). E infine The Fablemans di Spielberg, in gara quest’anno per il miglior film.

E tutti questi film, in un certo senso, si parlano, comunicano tra di loro, rievocando un immaginario comune e utilizzando temi ricorrenti. La grandezza di Hollywood e al tempo stesso le sue contraddizioni, lo spietato star system e la tragica malinconia dell’attore, i fasti e la rovina, gli eccessi e l’appiattimento.

Margot Robbie in una scena del film

Fortunatamente, Chazelle è un maestro nel narrare i meccanismi del mondo cinematografico. Riesce a trasmettere la sua passione, il suo amore viscerale per il grande schermo, per il grande lavoro corale e magmatico che è la realizzazione di un film. E ci riesce molto di più grazie al contesto, agli sfondi che è riesce a ricreare piuttosto che con i suoi personaggi, che si perdono a volte in monologhi senza spessore e autoreferenziali.

Chazelle è un artista che il cinema lo conosce, lo studia, ne conosce la storia, i segreti. E soprattutto ne conosce i miracoli. La scena finale è un’omaggio a tutto questo mondo, fatto di sogni, di speranze, di divertimento, di colori. È probabilmente una delle sequenze finali destinate a diventare storia del cinema. Quindi gli perdoniamo tutto: gli perdoniamo questi personaggi deboli, questa autoreferenzialità. Babylon è un film che dimostra che il cinema è vivo, che la settima arte vivrà per sempre, evolvendosi e trasformandosi, come del resto ha sempre fatto.

Se volete spoilerarvi la scena finale, la trovate qui!

Daniel Chazelle, l’uomo in grado di creare sogni sul grande schermo

Damien Chazelle è un uomo dal talento registico immenso, e lo ha provato ancora una volta. Nessuno come lui riesce a creare un connubio così emozionante, potente tra immagine e musica, tra movimento di macchina e ritmo del tappeto sonoro. Babylon aggredisce lo spettatore, lo circuisce, lo trascina in un vortice di colori, immagini, corpi. E non lo lascia più.

Da qui si capisce come Babylon sia il titolo perfetto per questo capitolo della sua cinematografia: un incontro tra linguaggi cinematografici diversi (il muto e il sonoro), tra musiche diverse (il jazz, l’elettronica, il musical), tra attori protagonisti in cerca dei riflettori ma al tempo stesso inglobati e percossi da una miriade di comparse che popolano un film che è un orgasmo visivo. Il risultato è una Babilonia fantasmagorica, che con ogni singola immagine vuole omaggiare il Cinema, unico luogo in cui tutti i linguaggi si incontrano.

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Laureata in Scienze filosofiche e ora studentessa del Master Professione Editoria cartacea e digitale a Milano. Quando non leggo, scrivo. Quando non scrivo, guardo film. Quando non guardo film, parlo ai miei amici dei film che ho appena visto. Quando non faccio nessuna di queste cose di solito sto cercando di replicare qualche ricetta di Masterchef.

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