Una stanza per me sola

Una stanza per me sola

Una stanza, dei fiori. Sfumature woolfiane per un racconto sullo scorrere delle ore, quando anche i piccoli dettagli contengono un mondo.

La scomparsa e il ricordo

Ho passato giorni a cercarti. Quando mi sono svegliata, quella mattina, tu non c’eri più. La stanza era silenziosa, come mai lo era stata prima. Il divano, con la fossa scavata dal tuo peso, era vuoto. Solo un ammasso di libri accatastati, disposti come fossero dei panni sporchi, mi ricordavano di te. 

Tu amavi leggere davanti alla finestra, coi piedi incrociati, appoggiati al termosifone. Quando cominciava a farti male la parte bassa della schiena cambiavi posizione e appendevi le gambe al bracciolo della sedia. Non riuscivi mai a stare composto, era troppo “normale” per te. Te che bevevi il caffè dal bicchiere e l’acqua dalla tazza, combinavi il dolce col salato e il croccante con il molle, la sedia era il tuo armadio e il letto il tuo divano. 

Quella mattina mi aspettavo di trovarti sdraiato di fianco a me, o almeno in cucina a far colazione, oppure sul balcone, a essiccare al sole. Ti ho cercato in bagno, nella sala e per le scale. E ancora sulla strada, dal panettiere, nei locali vuoti, tra i cassonetti della spazzatura, sotto i lampioni, sul marciapiede e sul fondo delle bottiglie. Ti ho cercato barcollando, correndo, piangendo, borbottando ed urlando. 

La malattia

Ad una ad una le voci nella mia testa aumentavano ed io conseguentemente impazzivo. Era qua, ora dov’è? Starà bene? Ah, ha lasciato qua un libro e qualche lettera, passerà a prenderli. E se non passasse? È per caso un addio questo? Ma che modi bruschi, tutt’un tratto, senza dir nulla. 

Ho passato giorni ad aspettarti, ed ogni ora pareva sprecata, ed ogni ora ho desiderato di morire. Durante l’attesa ho sistemato la cucina, la camera ed il soggiorno. Ho comprato dei fiori e li ho annaffiati tutte le sere, sperando che ne avresti apprezzato il profumo ed il colore. 

I giorni erano diventati settimane e le settimane, come ben ti immaginerai, mesi. Ogni azione aveva preso un senso lineare, limitato, fine alla sua funzione. Il cibo sfamava, il caffè svegliava, la doccia puliva. Non c’era più piacere nelle cose, né schifo e né passione. Se prima guardavo la mia città con gli occhi meravigliati di un turista, cercando lo sguardo dei passanti e osservando le finestre di tutte le case; dopo la tua scomparsa camminavo per le vie solo per stretta necessità, trascinandomi con gran fatica tra minimarket e supermercati.  

Temevo che mai ti avrei rivisto, che non ci sarebbero più stati i nostri piccoli momenti di gioia. 

Non avevo detto a nessuno che eri fuggito, me ne vergognavo. Nonostante ciò avevo l’impressione che qualcuno se ne fosse accorto. Anzi, ero sicura fossero a conoscenza della tua scomparsa. Le poche volte che incontravo degli amici questi indagavano sul mio e sul tuo conto, per curiosità, per chiacchierare. Ci fosse stata una persona realmente interessata, una persona commiserata, che mi abbia aiutata a cercarti. 

Ma, d’altronde, cosa ne potevano sapere. Nel frattempo avevo smesso di annaffiare i fiori, i cui petali erano diventati pallidi e secchi. La casa cominciava a sembrare uno sgabuzzino trascurato, riflettendo l’immagine della mia testa. Ero affollata di questioni, dolore, amore, domande e ipotesi ma, al di fuori di me, non avevo nulla da dire. 

L’unico rifugio ordinato, pausa dal mio caos, era il sonno che, fortunatamente non mi era stato tolto. Il peggior incubo però si presentava la mattina, al momento del mio risveglio, che ubriaca di sonno mi dovevo convincere che dall’altra parte del letto non avrei trovato nulla. 

Iniziavo ad abituarmi della tua assenza, giustificando di continuo gli spazi vuoti che avevi lasciato. Ero consapevole che tu fossi la mia felicità, ma non volevo più essere felice. Hai reso il tutto così niente, o è ogni cosa o è nulla. Estremo, lunghissimo, patetico. I superlativi si ficcano in ogni mia frase, ed è tristissimo. 

La fuga

E quando quel giorno ti ho rivisto, bagnato fradicio e con gli occhi grossi di un bambino, non ho potuto fare altro che andarmene. Ho corso, sono scappata via a velocità altissima, fino a perdere il fiato, fino a non vedere più manco un pezzetto di te. Mi sono nascosta nel bagno, nella sala e per le scale. Sono scesa sulla strada, rifugiandomi dal panettiere e nei locali vuoti, tra i cassonetti della spazzatura, sotto la luce dei lampioni, sul marciapiede e, piccola piccola, sul fondo delle bottiglie.

A cura di: Sara Riccitelli.
Immagine di copertina: Dương Nhân da Pexels.

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