Scegliete con cura le vostre ignoranze

“Il cervello d’un uomo è come una soffitta vuota: la si deve riempire con mobilio a nostra scelta”

Agli inizi di Uno studio in rosso, volume d’esordio di un ancora timido Arthur Conan Doyle, lo sbigottito John Watson si ritrova a squadrare per la prima volta il suo coinquilino Sherlock Holmes. Lo osserva con minuziosità scientifica, come si potrebbe fare con un qualche mammifero selvatico che si scruti da lontano ma con vivo interesse. Nel valutare questo bizzarro esemplare d’uomo Watson stila una sorta di pagella prendendo nota delle “cognizioni” di Sherlock Holmes:

1. Letteratura: zero.
2. Filosofia: zero.
3. Astronomia: zero.
4. Politica: scarse.
5. Botanica: variabili.
6. Geologia: pratiche, ma limitate.
7. Chimica: profonde.
8. Anatomia: esatte, ma poco sistematiche.
9. Letteratura sensazionale: illimitate. A quanto pare conosce i particolari di tutti gli orrori perpetrati nel nostro secolo.
10. Suona bene il violino.
11. È abilissimo nel pugilato e nella scherma.
12. È dotato di buone nozioni pratiche in fatto di legge inglese.

«La sua ignoranza– dice Watson- era notevole quanto la sua cultura». Quella di Sherlock è un’ignoranza che sfocia persino nel ridicolo: l’investigatore sconosce totalmente la teoria copernicana, e quando l’altro gli spiega che è la Terra a girare attorno al Sole Holmes sorride e risponde: «Ora che mi ha insegnato queste cose, farò del mio meglio per dimenticarle».

Vede, secondo me il cervello d’un uomo, in origine, è come una soffitta vuota: la si deve riempire con mobilio a nostra scelta. L’incauto v’immagazzina tutta la mercanzia che si trova tra i piedi: le nozioni che potrebbero essergli utili finiscono per non trovare più spazio o, nella migliore delle ipotesi, si mescolano e si confondono con una quantità d’altre cose.

Quello di Sherlock supera il socratico “so di non sapere“, è un invito ad un’analisi più fine: più che la scelta di cosa sapere, è importante, per fare spazio, selezionare con cura le proprie ignoranze. La forma più elevata d’intelligenza nasce, paradossalmente, da un’ammissione di limitatezza, di confinata capienza. D’altro canto la percezione opposta è quella che in termini più tecnici è definita come effetto di Dunning-Kruger, autori dello studio “Non qualificato e inconsapevole di esserlo: come le difficoltà di riconoscere la propria incompetenza portano ad auto-valutazioni gonfiate“.
Nella loro indagine lo psicologo Dunning ed il laureando Kruger dimostrarono che per ogni campo esiste un differente grado di abilità e che chi ha il minor grado di esperienza ne è spesso tanto incosciente da ignorare i propri errori ed illudersi di cavarsela egregiamente. La quota della popolazione sotto esame che era risultata peggiore in ciascuna delle prove attribuiva infatti a se stessa un punteggio medio di 62/100,  nonostante la valutazione effettiva non superasse i 12/100. Il dato è simmetrico per i migliori, che di contro sottovalutano le proprie competenze e sono affetti dalla “sindrome dell’impostore“. Quest’ultima li convince che i propri successi non siano merito degli sforzi compiuti ma una serie accidentale e circoscritta di buoni colpi di fortuna, il che si traduce talvolta in un atteggiamento rinunciatario che abbassa le loro ambizioni.

Quindi che fare, se anche l’umile ammissione d’ignoranza tradisce? La virtù sta nel mezzo, d’accordo, ma dov’è il centro di quest’arida strada? Per ogni Sherlock che reputa irrilevante chi giri attorno e chi – Terra o Sole?- c’è sempre un Watson che annota, che spalanca gli occhi: «Ma qui si tratta del sistema solare!».
Fosse almeno un quiz a premi, questa vita, in cui conoscere le date di guerre e allunaggi ti garantisse di sapere qualcosa, di arrivare in finale! Invece in ogni ambiente ci viene richiesta una specificità di competenze che non saremo mai in grado di ottenere in toto, ed oltre a questo una buona base di argomenti per il sociale. L’ideale sarebbe insomma essere tuttologi del proprio ambito di studi, leggere un sufficiente numero di giornali di cronaca ma non dimenticare anche la musica, lo sport, le serie tv e qualche altro prezioso tema che intrattenga gli amici davanti alla pizza del sabato sera.

Ma non potendo essere tutto, conoscere tutto, solo due cose ci rimangono da fare. La prima è esserne coscienti. La seconda è conviverci ed agire di conseguenza, costruendo ciascuno a suo modo la propria dotta ignoranza.

Ritengo che la cosa più misericordiosa al mondo sia l’incapacità della mente umana di mettere in correlazione tutti i suoi contenuti. Viviamo su una placida isola di ignoranza nel mezzo del nero mare dell’infinito, e non era destino che navigassimo lontano. Le scienze, ciascuna tesa nella propria direzione, ci hanno finora nuociuto ben poco; ma, un giorno, la connessione di conoscenze disgiunte aprirà visioni talmente terrificanti della realtà, e della nostra spaventosa posizione in essa che, o diventeremo pazzi per la rivelazione, o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di un nuovo Medioevo.
H.P. Lovecraft- Il richiamo di Cthulhu.

avatar

Su di me: il cielo stellato

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.