Il knock-on del coronavirus alle porte del fashion

Come la pandemia sta cambiando il destino dell’alta moda, in Italia e nel mondo

L’arrivo del Coronavirus in Italia lo scorso 21 febbraio è avvenuto nel pieno della settimana della moda di Milano, iniziata il 18 e terminata il 24 febbraio, quasi senza buyer provenienti dalla Cina, impossibilitati a viaggiare verso l’Europa a causa dei vincoli imposti ai voli da e per il paese. 

Molti brand, per tutelare i loro dipendenti e invitati, hanno riorganizzato il proprio calendario di sfilate, decidendo di trasmetterle in streaming, come nel caso delle fashion week di Shangai e Pechino, o di presentarle una volta passata l’emergenza.  

Tra gli eventi cancellati sul territorio nazionale, le Cruise Collection 2020/2021 di Chanel a Capri prevista il 7 maggio, quella di Dior a Lecce prevista il 9 maggio e quella di Alberta Ferretti a Rimini prevista il 22 maggio.

A livello internazionale saltano le Resort Collection 2021 di Hermés a Londra e Prada in Giappone; rimandati probabilmente tra settembre e novembre gli show di Versace negli USA, Gucci a San Francisco e Armani a Dubai. 

Le conseguenze di quella che sembrava una situazione passeggera hanno colpito le industrie della moda e del lusso su più livelli, dagli investimenti, all’economia e al turismo, segnando uno dei trimestri più bui mai registrati dalla recessione del 2008. 

Circa il 30% degli acquisti del settore infatti, sono effettuati da turisti cinesi, e l’Italia ha dovuto fare i conti non solo con la perdita del 25% dei 5 milioni di pernottamenti attesi per l’Evento, ma anche con le molte società del lusso, per le quali l’area dell’Asia-Pacifico e Giappone rappresenta tra il 30 e il 50% del fatturato complessivo e con le oltre 600 imprese che operano nel territorio italiano partecipate quasi unicamente da investitori cinesi.

Dati forniti dalla Fondazione Italia-Cina

Così le grandi aziende hanno dovuto reinventarsi e trovare un modo per “incontrare” i loro acquirenti oltre le barriere geografiche e legislative. Molte, le più grandi e meglio attrezzate, si sono digitalizzate per la presentazione dei nuovi capi e la raccolta di ordini online, accusando però la mancanza del contatto con i buyer. Toccare un tessuto con la propria mano prima di acquistarlo, avere la possibilità di vederlo indossato “dal vivo” e non attraverso una fotografia o lo schermo di un computer, fa sicuramente la differenza quando si tratta di investire per la sua produzione in larga scala. 

Le aziende più piccole d’altro canto, meno capaci di difendersi e che purtroppo mancano dei cosiddetti clienti d’oro, capaci di mitigare gli effetti del virus sui loro marchi di fiducia, sono sicuramente quelle che ne hanno risentito di più. 

Cambiano ma soprattutto calano gli acquisti: l’e-commerce aveva registrato il picco di aumenti durante i primi giorni della quarantena, per il manifestarsi del cosiddetto “shopping da noia”, ma ciò non riesce a compensare la perdita economica causata dalla chiusura dei numerosi negozi sul piano globale.

I siti di e-commerce hanno avuto un boom di visite nei primi giorni di quarantena. Questa foto e quella di copertina sono tratte dal database di Unsplash.

E se molti sono preoccupati per le ripercussioni che porterà l’incerto futuro sui loro affari, altri rivendicano che un rallentamento e un cambio sostanziale nel settore fosse necessario molto tempo prima dell’arrivo della pandemia, vedendo quest’ultima come un’opportunità piuttosto che come un ostacolo, lamentando temi come trend troppo veloci, l’utilizzo di materiali poco sostenibili, sovrapproduzioni non reimpiegate a fronte di un ambiente già troppo consumato dalla modernità e dalla globalizzazione. 

Gli ambientalisti, preoccupati del fatto che commercianti e rivenditori in tutto il mondo siano stati costretti a riconsiderare costi e priorità nell’ultimo periodo, ora che la moda cominciava a piccoli passi ad abbracciare l’ecosostenibilità, vengono rincuorati dagli analisti del settore, i quali credono in una rivalutazione positiva dei processi di produzione e distribuzione. Katrin Ley, direttrice della piattaforma Fashion for Good si dice ottimista riguardo l’adozione di nuove pratiche green, come ad esempio l’eliminazione o la riduzione di sedi succursali di produzione delle grandi case di moda, o la ricerca e l’estrazione di materie prime per la creazione dei capi sul proprio territorio.

Reinventarsi è dunque la parola chiave del momento. 

Tutelare e dare una mano non solo all’ambiente, ma anche a tutti coloro che ogni giorno lavorano per contrastare il diffondersi del virus. Come?

Gli esempi migliori sono sicuramente Armani, tra i primi a mettere interamente a disposizione la propria azienda, Gucci, Valentino e Prada in Italia, che hanno convertito le loro filiere, destinandole alla produzione di milioni di mascherine antivirus e camici protettivi per il personale medico impegnato nella lotta contro l’epidemia. 

Importanti anche i contributi di Balenciaga e Yves Saint Laurent in Francia e Burberry nel Regno Unito.

Negli Stati Uniti Ralph Laurent e Sandro, che produce circa 10.000 mascherine al giorno, lavabili e riutilizzabili, per il personale medico, amministrativo e sociale e i responsabili del servizio d’ordine e di sicurezza nazionale.

Una menzione e un ringraziamento speciale va anche a tutta la gente comune che ha lasciato tutto e nel suo piccolo ha cercato di fare la differenza: i volontari. Nonne e mamme che si sono improvvisate sarte per creare mascherine monouso; ristoratori e fruttivendoli che nonostante la crisi che stanno affrontando hanno deciso di donare cibi e pasti a chi non è così fortunato da permetterseli; il personale medico e infermieristico che ogni giorno combatte e difende chi è stato colpito dal virus e la parte della popolazione più debole, i disabili e gli anziani. 

E se dunque la fine del coronavirus sembra ancora lontana, possiamo essere fieri del fatto che anche quei marchi del lusso che a volte sembrano fuori dalla nostra portata, si uniscano con solidarietà alla lotta comune.

avatar

"La mente è il proprio luogo, e può in sé fare un cielo dell'inferno, un inferno del cielo."

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.