The Car: il notturno degli Arctic Monkeys

Arctic monkeys the car

Un album che non accetta detrattori

In un qualche universo parallelo, gli Arctic Monkeys dopo aver pubblicato nel 2013 l’acclamatissimo disco AM, hanno deciso di cavalcare la cresta dell’onda e continuare a produrre solo musica simile, in un certo stile indie rock che è ormai diventato il loro marchio di fabbrica. Inizialmente hanno continuato a vendere, ma con gli anni hanno finito per ripetersi, diventando la brutta copia di sé stessi e venendo dimenticati dai più… Per nostra fortuna, però, tutto ciò non è mai accaduto e la band di Sheffield, sebbene attiva ormai da 20 anni, vanta ancora più di 40 milioni di ascoltatori mensili e una posizione tra i 100 artisti più ascoltati al mondo su Spotify.

Come è stato possibile? La band, dopo quel famoso disco di ormai dieci anni fa, ha deciso di cambiare radicalmente rotta, evitando di ripetersi e rinascendo a nuova vita. Il cambio di rotta era stato intrapreso già nel 2018 con Tranquillity Base Hotel + Casino, con grande sorpresa e risultati di alterna fortuna, per poi essere perfezionato nell’ultimo lavoro in studio nell’ottobre del 2022: The Car.

Tracklist ufficiale di The Car

Il diktat è sempre lo stesso: via le vesti da ragazzini indie rock che ammiccano anche al punk e non disdegnano esplorazioni in territorio hard rock, via, in gran parte, anche le chitarre; dentro atmosfere chill, lounge e notturne, condite dallo spiccato uso del pianoforte e da significativi arrangiamenti orchestrali. Altra caratteristica imprescindibile del nuovo corso della band è la forte influenza del mondo cinematografico, sia nella sfera musicale che in quella testuale. Se in Tranquillity la band aveva voluto creare una storia in pieno stile science fiction inglese e americana (per citare un brano di quello stesso disco), con The Car si torna sulla terra e le parole di Alex Turner descrivono elegantemente situazioni della propria vita, in maniera minuziosa ed evocativa dando all’ascoltatore l’impressione di avere determinate scene di fronte a sé.


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The Car: track by track

There’d Better Be A Mirrorball è la traccia di apertura di The Car

Si parte quindi da There’d Better Be A Mirrorball, forse la più grande perla di questo disco, che con la sua lunga introduzione affidata al pianoforte e all’orchestra immerge l’ascoltatore in un’atmosfera notturna e placida, ma a tratti sinistra. Su questa base Turner canta in modo struggente la fine di un amore – tema ricorrente nell’album – al termine della stessa festa che sarà protagonista anche nella successiva I Ain’t Quite Where I Think I Am. Tra questo brano, nel quale si ritrova con piacere la presenza di una chitarra distorta ammiccante al funk, e quello seguente, Sculptures Of Anything Goes, si assiste ad un breve ritorno ad alcune sonorità del passato degli Arctic Monkeys: quest’ultima, in particolare, presenta un sound marcatamente oscuro, metallico ed introduce la tematica chiave del disco, ossia la presa di distanza dai passati lavori della band e dalle reazioni negative dei fan, che alla band matura e riflessiva che gli Arctic Monkeys sono diventati hanno continuato a preferire quella indie rock del passato, scanzonata e senza fronzoli. Infatti, superata la stupenda e struggente Body Paint, altro instant classic di questo album incentrato su un tradimento subito da Alex, le restanti cinque tracce analizzano precisamente questo processo.

Si parte rivolgendo lo sguardo al passato più remoto, recuperando memorie d’infanzia (The Car) prima di ripensare a tutti i progetti passati della band (Big Ideas). La riflessione continua su questi toni nostalgici e meditabondi nei successivi brani (Hello You e Mr. Schwartz), finché Alex prende coscienza del fatto che la sua carriera e quella degli Arctic Monkeys, per il modo in cui si è evoluta, non poteva che prendere la piega assunta. Ne risulta che tutto ciò che è avvenuto ha perfettamente senso (Perfect Sense) e che bisognerà dire addio ai vecchi fan, divenuti detrattori. Con l’incedere malinconico, quasi a ritmo di marcia, di quest’ultimo brano, sorretto dall’orchestra che dà la sensazione di avere di fronte a sé i titoli di coda di un film, si conclude il notturno degli Arctic Monkeys.

Non si accettano detrattori

Alla luce di quanto detto, parlare di The Car come un semplice disco appare riduttivo. C’è sicuramente tanta buona musica, che potremmo definire una colonna sonora, data anche la presenza di abbondanti arrangiamenti orchestrali, ma c’è soprattutto la voce suadente e soave di Alex Turner, che si fa narratrice di un autentico flusso di coscienza. Dall’inizio alla fine il leader della band, autore di tutti i testi, attua una grande opera di introspezione, con strofe spesso enigmatiche ed apparentemente prive di una direzione chiara, esattamente come il più classico dei monologhi interiori, nelle quali cerca di ricollegare tutti i pezzi della propria vita: infanzia, donne, cuori spezzati e anni da rockstar con la propria band. Per meglio veicolare questi messaggi è stato però necessario ricorrere ad atmosfere più soft, rilassate e dilatate, come a voler ricostruire l’ambiente di una seduta psicanalitica o di un cinema. Dai più questa piega assunta dagli Arctic Monkeys è stata ritenuta noiosa e poco attraente, ma in realtà, oltre ad aver prodotto brani di pregevole fattura e molto eleganti, è stata di fondamentale importanza per Alex e per tutta la band: ha avuto funzione catartica, di rinascita, portando gli autori stessi a prendere piena consapevolezza della scelta intrapresa ormai cinque anni fa.

Body Paint è la traccia di chiusura di The Car

Al di là delle motivazioni intrinseche all’album, basta immergersi nell’ascolto di “The Car” per capire come il talento compositivo degli Arctic Monkeys sia ancora totalmente intatto. Turner ha ormai preso il controllo totale delle operazioni e ha saputo reinventarsi pianista, oltre ad aver completato la propria trasformazione in crooner in perfetto stile anni 50. Jamie Cook (chitarrista) ha ridotto le sue scorribande chitarristiche ritagliandosi piccoli ma vitali interventi, mentre Matt Helders (batterista) ha saputo mettere da parte la sua vena più rock trasformandosi in un delicatissimo batterista, quasi ai confini col jazz.

Tutto questo sono gli Arctic Monkeys oggi, una band matura, ormai lontana dall’indie rock sbarazzino di metà anni 2000, che certamente cambierà ancora in futuro, forse tranne che per un aspetto: la loro potenza esplosiva dal vivo. Quella è e rimarrà sempre la stessa. Provare per credere.

Articolo di Luca Di Criscio

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Studente di Linguaggi dei media ed inguaribile nostalgico del rock dei decenni passati. Ascolto sempre tanta musica e di generi sempre diversi per espandere le mie conoscenze. Nel tempo libero suono anche la chitarra e stilo classifiche. (@luca_gilmour70)

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