Caro Wes Anderson, cos’è successo con “Asteroid City”?

Il nuovo film di Wes Anderson ne celebra la perfezione stilistica e tecnica, ma è un film che, pur divertendo, stenta a decollare

Uscirà domani, 14 settembre, il nuovo attesissimo film di Wes Anderson Asteroid City. Ma non è l’unica pellicola che ha in serbo quest’anno per noi il mitico Wes, di recente premiato all’80° Mostra internazionale di arte cinematografica di Venezia con il premio Cartier Glory to the Filmmaker, riconoscimento dedicato a personalità che hanno lasciato un grosso segno nel cinema contemporaneo.

Proprio a Venezia Wes Anderson ha presentato una seconda novità per questo 2023, un mediometraggio d’autore basato su alcuni racconti di Roald Dahl, dal titolo The Wonderful Story of Henry Sugar. Dura solo 40 minuti, ma secondo le prime recensioni arrivate dal Festival, sono 40 minuti indimenticabili, l’ennesima prova di un regista enorme, che ha fatto delle sue idiosincrasie la cifra stilistica di un cinema sempre vivo, colorato, geniale, frizzante.

Ecco, meno indimenticabile risulta invece Asteroid City. Mi fa male dirlo, ma questo film, pur essendo un concentrato tecnicamente perfetto della poetica di Wes Anderson, non è all’altezza dei suoi precedenti lavori. Ecco perché.

Tra cinema e teatro, ecco la storia di Asteroid City

“Asteroid City” è un meta-film: non a caso nei titoli di testa il nome del film compare tra virgolette. “Asteroid City” è infatti la pièce teatrale messa in scena dai nostri protagonisti. La pellicola si apre con un magnetico Bryan Cranston nei panni del Presentatore, che ci introduce alla storia, ci presenta i personaggi e riflette sul rapporto tra spettatore e rappresentazione. Quando siamo nel teatro, quando è il Presentatore a raccontare la storia, tutto appare in bianco e nero.

Il passaggio ai famosi colori pastello andersoniani, all’arancione e all’azzurro che compongono la palette dominante del film, segna invece l’inizio della storia. Una storia assurda, come tutte le storie che Wes Anderson scrive: è il 1955, ci troviamo nella sperduta cittadina di Asteroid City, località celebre per l’enorme cratere creato decenni prima da un asteroide. Il cratere è l’unico punto di interesse turistico della città: per il resto troviamo soltanto un bar, un hotel, un po’ di casa e solo un centinaio di abitanti.

Proprio ad Asteroid City arrivano però diverse famiglie per un raduno di giovani promesse della scienza. C’è Augie Steenbeck (il fedelissimo Jason Schwartzman) che deve spiegare ai quattro figli che fine ha fatto la loro madre; c’è Midge Campbell (Scarlett Johansson), un’attrice in crisi con una figlia geniale; c’è June Douglas (Maya Hawke), una maestra che ha accompagnato la sua piccola classe in gita scolastica a vedere il gigantesco cratere.

Non sanno però che presto si troveranno intrappolati nella piccola cittadina, perché l’arrivo di qualcosa di inaspettato farà scattare una quarantena imprevista. È un alieno (impersonato da Jeff Goldblum) quello che arriva ad Asteroid City, inaspettato, perturbante; ma è l’occasione perfetta per i giovani scienziati e per i ricercatori del posto, di scoprire cosa c’è oltre il pianeta Terra.

E così ad Asteroid City, ora assediata dai media e dai curiosi, si intrecciano storie di famiglie, storie d’amore, scoperte adolescenziali, adulti rimuginanti e indecisi, scienziati stupefatti.

“Bello (come sempre) ma non ci vivrei”

Insomma, Asteroid City ha tutte le carte in regole per essere un bel film. E lo è, certo. Ma non è un gran film. Non è uno di quei film sorprendenti e avvincenti a cui Wes Anderson ci ha abituati. Ha tutto quello che serve: una storia interessante, un cast stellare e a cui ormai il pubblico di Wes è affezionato, immagini pastello e inquadrature simmetriche, colonna sonora vivace e frizzante.

Lo sappiamo tutti che Wes Anderson è un regista eccezionale, e qui ancora una volta ha dato prova del suo rigore, della sua incredibile capacità tecnica e della sua visione del mondo che ha dettato un vero e proprio lifestyle tra i suoi estimatori. Però qualcosa stona: i temi che tratta sono sempre gli stessi (famiglie complicate, relazioni amorose astruse, il sarcasmo e l’ironia nei confronti della morte, la profondità delle attese), ma qui suonano un po’ triti e ritriti. È impossibile non lasciarsi coinvolgere da Asteroid City, ma è facile non lasciarsi conquistare.

La costruzione del film, il continuo passaggio tra teatro e cinema (o meglio tra meta-cinema e cinema), è senza dubbio uno dei punti di forza maggiori del film. Questo escamotage consente infatti a Wes Anderson di triplicare le storie da raccontare: oltre alla storia dell’alieno ad Asteroid City, c’è infatti la storia di uno sceneggiatore turbato nello scrivere la sua opera, macchinisti che vivono all’insaputa di tutti nel teatro, e altri personaggi bizzarri che popolano le quinte.

Una scelta che dà ritmo alla storia, le dà uno sprint nei momenti più deboli (e noiosetti), grazie anche alle comparsate dei grandi attori preferiti da Wes Anderson, quegli attori che almeno per un minuto compaiono sempre nei suoi film, come Adrien Brody e Willem Dafoe.

Insomma, non oserei mai dire che Asteroid City sia un brutto film, perché starei mentendo: il film è bello, è divertente, funziona. Ma, come direbbe lo chef Locatelli se fossimo a Masterchef: “manca il kick!”. Ci sta, non tutti i film possono sempre riuscire. Forse il progetto di The Wonderful Story of Henry Sugar (che avrà come protagonista Benedict Cumberbatch e uscirà su Netflix il 27 settembre) saprà rivelarci dove le energie e le astuzie di Wes erano davvero rivolte? Lo scopriremo presto.

(P.S. Se invece a voi è piaciuto, alla Fondazione Prada di Milano sta per iniziare una mostra legata al film. Qui tutte le info)

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Laureata in Scienze filosofiche e ora studentessa del Master Professione Editoria cartacea e digitale a Milano. Quando non leggo, scrivo. Quando non scrivo, guardo film. Quando non guardo film, parlo ai miei amici dei film che ho appena visto. Quando non faccio nessuna di queste cose di solito sto cercando di replicare qualche ricetta di Masterchef.

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