Beyond the lyrics: What I’ve Done – Linkin Park

What I’ve Done è il confessionale dell’umanità al cui cospetto si presenta per primo chi l’ha scritta

Impacchettare il passato e spedirlo lontano lontano

Che la scrittura di Chester Bennington fosse sempre rivolta alle sue spalle, verso ere antiche da dimenticare, non è mai stato un mistero, ma What I’ve Done è un discorso a parte. Primo singolo dal terzo album Minutes to Midnight, è un esame di coscienza personale e collettivo. L’iniziale gesto delle dita in un lungo saluto d’addio a un passato difficile da dimenticare.

L’album

Credits: Amazon.it

Minutes to Midnight (2007, Warner Bros Records) è l’album dei primati, non solo per le 623.000 copie vendute entro la prima settimana dall’uscita, ma anche perché è il primo album nella cui copertina viene ritratta la band al completo ed è qui che i Linkin Park inaugurano l’adesivo del Parental Advisory per contenuti espliciti.

Il titolo si riferisce all’orologio dell’apocalisse, inventato nel 1947 dagli scienziati della rivista Bulletin of the Atomic Scientists dell’Università di Chicago come indicatore della vicinanza a un’ipotetica catastrofe nucleare. Erano gli anni della Guerra Fredda e le tensioni belliche erano alle stelle. L’orologio diventa allora la rappresentazione del rischio percepito, un’ansia trasformata in un quadrante che ha solo l’ultimo quarto d’ora alla mezzanotte, l’ora del disastro. Una curiosità: la massima prossimità alla mezzanotte è stata registrata nello scorso 2020 con appena cento secondi. Il ritiro degli Stati Uniti dagli accordi sul nucleare e le crescenti pressioni dovute agli armamenti atomici hanno avvicinato le lancette all’ora X.

I minutes to midnight sono quindi il conto alla rovescia. Prima di ridursi in polvere.

Credits: Bulletin of the Atomic Scientists

Il titolo fa già odore di pessimismo cosmico, ma Minutes to Midnight vuole essere anche e soprattutto un album di rottura. Risolti gli attriti con la Warner Bros Records e rinnovato il contratto, i Linkin Park si lasciano alle spalle il loro stile più aggressivo e ammorbidiscono il sound: è un cammino che dal nu metal li porterà verso l’alternative rock e infine alle sonorità pop sempre più predominanti, con il culmine nel criticatissimo e ultimo One More Light (2017, Warner Bros Records e Machine Shop Records).

Ma è presto per parlarne, perché Minutes to Midnight è ancora e inequivocabilmente un album rock e di successo. Ospita capolavori come Leave out All the Rest, Bleed it Out e Shadow of The Day. Ed anche la qui presente arcinota What I’ve Done, che venne scritta poco prima di chiudere l’album su suggerimento di alcuni amici che lo ritennero mancante di qualcosa.

Beyond the lyrics

In questo addio non c’è sangue, non c’è alibi. Benvenuti in una canzone molto più decisa e determinata dell’incerta Crawling, in cui un disperato Chester Bennington si attribuisce la responsabilità dei suoi fantasmi personali. What I’ve Done fa un enorme passo avanti nel percorso dell’autoconsapevolezza: al passato si rivolge un addio quanto più apatico possibile. Senza sangue, e quindi senza dolore, e senza alibi, cioè privo di qualsiasi giustificazione.

E il motivo è semplice e contorto allo stesso tempo: ho tratto rimpianto dalla verità di mille bugie. C’è il pentimento di chi ha taciuto per molto tempo ed è rimasto ingarbugliato in una matassa di menzogne spiegata da un’unica dolorosa verità. È per questo che l’addio al passato dev’essere come questa verità: un unico strappo di ceretta, coraggioso e impassibile.

Rob Bourdon alla batteria nel video ufficiale di What I’ve Done

Arriviamo dunque al famoso pre-chorus: so let mercy come and wash away what I’ve done. La mercy, la compassione, è l’ingrediente fondamentale di questo falò delle brutture antiche. Ci vuole non solo il grande slancio dell’incendiario, ma anche dolcezza e pietà verso se stessi. Bisogna perdonarsi.

Certo, c’è pure una foga distruttiva: in una sola frase si usano due diversi sinonimi di “cancellare”, cross out e erase, e sono termini auto-riferiti. Andava tutto bene nella prima strofa ed eccoci tornati al deserto dell’autocommiserazione. Ci si identifica coi propri errori, e quindi per eliminarli tanto vale eliminare anche se stessi. Cancellare me stesso e liberarmi di ciò che ho fatto.

Mike Shinoda alla chitarra nel video ufficiale di What I’ve Done

Le strofe di What I’ve Done sono telegrafiche. Minuscole poesie di quattro righe, piccoli spiragli di luce e di ombra da un’avvolgibile. La seconda strofa è l’ennesimo di questi haiku: lascia stare/ quel che pensi di me/ mentre pulisco questa lavagna/ con le mani dell’incertezza. Un universo in una frase. Il giudizio su questo misterioso what, il peccato da cancellare, è un affare dell’interlocutore. Non è quindi chi scrive a dover temere cosa pensi l’altro di lui, ma proprio quest’altro, che potrebbe rimanerne deluso o spaventato.

Cancello questa lavagna, ripulisco la mia coscienza, ma lo faccio con le mani dell’incertezza, dubitando di me stesso e dell’azione che sto compiendo. Se What I’ve Done era iniziata a cento all’ora, fiera e superba delle proprie convinzioni, qui c’è un attimo di titubanza. È il flusso di coscienza di chi torna sui suoi passi prima di andare avanti verso la meta che si è prefisso.

Brad Delson alla chitarra nel video ufficiale di What I’ve Done

C’è un ultimo bridge catartico che trae le somme della canzone. Buone speranze, voglia di ricominciare (I start again) qualunque cosa accada (and whatever pain may come). Chiudere per sempre lo scatolone dei ricordi, non come proposito ma come atto da compiere oggi, subito (today this ends) e incominciare a guardare al futuro.

Da notare che What I’ve Done termina con una piroetta sintattica molto interessante, I’m forgiving what I’ve done, sto perdonando quello che ho fatto. È avvenuto il miracolo del distacco tra colpa e colpevole, non c’è più l’identificazione dell’uno nell’altra. Ovvio che perdonare quello che ho fatto significa in soldoni perdonarmi per quello che ho fatto, ma il rivolgersi direttamente all’atto in sé è una piccola grande rivoluzione. Si riesce infine a guardare l’accaduto con gli occhi di un osservatore esterno. L’equivalente emotivo dell’ordine maniacale di Marie Kondo: this does not spark joy, questo non emana gioia, quindi dev’essere dato via. Svuotarsi dagli eccessi per fare posto al nuovo.

Chi è senza peccato scagli la prima rock

What I’ve Done è il confessionale dell’umanità al cui cospetto si presenta per primo chi l’ha scritta. Una terapia di gruppo collettiva, qualunque sia il peccato che l’ha scatenata. Ancora una volta l’universalità di un contenuto privato che viene amplificato per arrivare a milioni di orecchie lontane. Qualunque sia il tuo problema perdonati e vai avanti. L’assoluzione è gentile concessione di Chester Bennington & co.

Colonna sonora del primo film di Transfomers e inclusa nel videogioco Guitar Hero World Tour, What I’ve Done è stata l’energy drink sonoro di una generazione. I messaggi cupi di cui i Linkin Park si erano fatti finora ambasciatori si accostano ora a un briciolo di speranza.

Il video ufficiale, comunque, è un raccoglitore di cataclismi e storia moderna: foreste devastate, esercitazioni militari, pennuti incatramati, le Torri Gemelle in fumo, randomiche apparizioni di Madre Teresa, Adolf Hitler, John F. Kennedy, Saddam Hussein, Fidel Castro e Mao Zedong. La band si esibisce nel deserto californiano. Poco prima della fine, il giallo sbiadito di un’esplosione nucleare. Sono terminati, come previsto, i minutes to midnight.

So, in a way, it’s us saying goodbye to how we used to be.

Chester Bennington in un’intervista a MTV

(Immagine di copertina tratta dal video ufficiale di What I’ve Done, Linkin Park)


Questo articolo appartiene a uno speciale Beyond the lyrics sui testi più iconici dei Linkin Park, la band più votata dai nostri followers su Instagram. Trovate qui tutti gli altri pezzi pubblicati, e qui tutti gli altri Beyond the lyrics a cura della redazione.

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