Dahmer la serie: l’indagine di un serial killer

Jeff Dahmer

Tra i primi posti in classifica della piattaforma Netflix troviamo una serie davvero interessante: Dahmer. Si tratta di una miniserie americana composta da una sola stagione con 10 puntate. Racconta la vera storia di Jeffrey Dahmer il cosiddetto Mostro di Milwaukee, nello stato del Wisconsin.

Siamo di fronte a un thriller, da alcuni classificato come uno splatter da altri come horror. Sicuramente è una serie molto macabra, violenta, asfissiante e difficile, ma credo sia più classificabile come thriller. Non ci sono scene particolarmente orripilanti come negli splatter o paurose come per gli horror. È pertanto visibile anche da chi non apprezza i generi più estremi. È una serie che va vista prendendosi anche tutte le pause e riflessioni del caso.

Dahmer è una miniserie molto controversa e accusata, anche questa, di spettacolarizzare la morte e il crimine, di creare fascino nel serial killer, denigrando le vittime e i suoi familiari. Guardandola però non si nota questa fascinazione del male, anzi vedremo che non è così, e viene in realtà dato molto spazio alle vittime, cosa non riscontrabile in altre serie tv o film simili. È persistente anche una accusa alle istituzioni, raccontata ampiamente fin dalle prime puntate.

La serie

La lunghezza delle puntate, in tutto dieci, è piuttosto standard, dai 40 ai 60 minuti. La miniserie però è caratterizzata da una profonda lentezza. La storia è narrata con un’analisi molto profonda di diversi elementi sia cinematografici, che personali e sociali.

Fin da subito lo spettatore capisce chi si ritrova davanti: Dahmer è realmente un mostro, la serie non lo nasconde. Si comincia quasi dalla fine, per poi tornare indietro fino all’infanzia del protagonista. Si ritorna poi avanti nella storia e ancora indietro: la trama si intreccia passando per spazzi temporali che stanno tra la fine, l’inizio e il mezzo. In questa danza di sequenze, in uno stile Rashomoniano, vengono analizzati diversi punti di vista.

Jeff Dahmer non è un protagonista assoluto: certo, è il serial killer il centro della storia, la voce narrante (cosa assai insolita), ma viene lasciato molto spazio alla famiglia, alle vittime, alle famiglie delle vittime e alle istituzioni.

I personaggi principali

Jeff Dahmer è interpretato da Evan Peters, conosciuto per lo più grazie ai cinecomics e a un’altra serie assai macabra, American Horror Story. A fare da padrone è un certo senso d’impressione, di raccapriccio: l’attore fa emergere tutta l’apatia del killer e il trucco fa esplodere la somiglianza con il vero mostro. La fisicità, le movenze, la freddezza di Dahmer vengono veicolate egregiamente da Evan Peters. Una prestazione certamente difficile, ma che non lascia nulla al caso. L’attore principale deve sopportare il peso di gran parte della serie sulle sue spalle, e in questo ci riesce perfettamente. Netflix ci fa riscoprire un bravissimo attore che spero di rivedere presto sul piccolo schermo in performance simili.

Altro cruciale personaggio è il padre di Jeff, Lionel Dahmer interpretato da Richard Jenkins, memorabile nelle sue interpretazioni de L’ospite inatteso e La forma dell’acqua, ma anche per la serie Olive Kitteridge. È la figura più vicina, anche se molto lontana a Jeff Dahmer. Sostanzialmente incapace di gestire il figlio, resterà con un dubbio che lo attanaglierà per tutta la vita: avrei potuto salvare mio figlio?

I personaggi secondari

Altri personaggi importanti della famiglia Dahmer sono Catherine Dahmer, ossia la nonna di Jeff e la madre Joyce Anette. Due personaggi che in un certo qual modo contribuiscono a creare il mostro Dahmer. La nonna con il suo estremismo cristiano e la condanna al nipote per la sua omosessualità. La madre, invece, per la sua assenza e per il palese respingimento del figlio fin dalla sua infanzia.

Glenda Cleveland, interpretata da Niecy Nash, è la vicina dell’ultima casa in cui abiterà Jeff Dahmer. È una figura chiave, che porta avanti le istanze delle vittime e degli emarginati. È una donna afroamericana che fin dal suo primo incontro con il mostro, cercherà, inutilmente, di chiedere aiuto alle istituzioni.

L’indagine della serie

Come detto in precedenza, nella miniserie assistiamo a una indagine profonda che svela, sotto il profilo del serial killer, due elementi portanti della criminologia, ossia la criminogenesi e la criminodinamica. Il primo elemento è il “perché” dell’atto criminoso: non si tratta del movente, ma si cerca di capire quali sono le cause psicologiche, biologiche e individuali che hanno portato un soggetto a compiere un delitto. Il secondo elemento è il “come”, che non significa modus operandi o come il reato è stato commesso, ma si riferisce a come il “perché” si sia evoluto e il soggetto abbia compiuto il delitto, a causa di fattori sociologici e ambientali. In altri termini potremmo considerare un germe che si instaura in un individuo e come questo germe abbia poi portato alla malattia.

È complicato riuscire a capire perché un soggetto compie un delitto. Ancora più complicato capire come nasce un serial killer. In criminologia esistono diverse teorie che si sono sviluppate nel corso degli anni: esistono teorie sociologiche, biologiche e psicologiche. Per semplificare, possiamo dire che il criminale nasce grazie alla somma di due fattori, uno individuale e uno ambientale.

In Dahmer ritroviamo tutto questo ragionamento, compiuto egregiamente dalla serie, ma lungi, come per gli studiosi, dal dare una risposta certa e definitiva alla domanda “Come nasce un serial killer?

Fin dai primi episodi assistiamo alla descrizione accurata e perfezionata del modus operandi del killer seriale. Dahmer addesca le sue vittime, per lo più afroamericani provenienti da quartieri poveri, con la promessa di denaro in cambio dello scatto di qualche foto, per attirarli presso la sua abitazione. Qui li droga, li stupra, li uccide, li mangia, abusa del loro cadavere, li conserva. Una escalation macabra che sembra una lunga danza, un rituale che scivola via via verso azioni sempre più efferate.

Il perchè e il come

Le cause di questa azione vengono ripercorse a ritroso. La serie ci narra l’infanzia complicata del piccolo Dahmer, i litigi in famiglia, le difficoltà a scuola, le sue stranezze e i suoi possibili danni biologici. Il rapporto assente con i genitori, l’irrequietezza della madre, il rapporto anomalo con il padre, che lo porta con sé a dissezionare carcasse. Il rapporto complicato con i compagni di scuola che lo vedono come un tipo strambo.

Jeff Dahmer è costantemente abbandonato e respinto da tutti: dalla famiglia, dagli amici, dalla scuola, dalla società. Non riesce a diplomarsi né ad avere un lavoro stabile, diventa un bugiardo seriale, probabilmente per coprire le loro insicurezze.

Episodio dopo episodio, lo spettatore riesce a capire il “perché” Dahmer diventa un mostro, ma anche il “come” lo diventa. Il killer ha delle chiare predisposizioni individuali, trova piacere nel fare del male agli animali, a dissezionare cadaveri; è omosessuale in una società che non è ancora capace di accettare questa diversità, ed è profondamente cristiana, come la nonna con cui abiterà per diverso tempo. E il “come”, a causa dei continui respingimenti da parte dell’ambiente esterno, dalla famiglia alla scuola, al lavoro, allo stesso sistema penitenziario; tutte le agenzie di controllo sociale che dovrebbero aiutare i soggetti in difficoltà, ma che palesemente non sono stati in grado di farlo.

Lo stesso padre ammetterà che anche lui da ragazzo provava le stesse pulsioni omicide del figlio, ma che sia stato in grado controllarle anche grazie ad un ambiente più accogliente.

Alcune domande

La serie lascia un enorme dubbio: Jeff Dahmer poteva essere salvato, o almeno fermato? Se è vero che il delitto scaturisce dalla somma di due fattori individuali e ambientali e che questi devono coesistere, possiamo dire che la società avrebbe potuto non generare il mostro, o fermarlo, date anche le grandi occasioni che ha avuto nel corso della vicenda? Difficile dirlo. Quello che resta nelle cronache e nella mente dello spettatore è un enorme e straziante dubbio, che ad oggi non può trovare risposta.

Vittime, istituzioni e società

Jeff Dahmer è un omosessuale e questo lo aiuta a determinare le sue vittime, che sono sempre uomini, omosessuali, immigrati e poveri. Questo è un dato importante perché si tratta di soggetti non interessanti per la società del tempo, si tratta di soggetti emarginati e che la società respinge, proprio come è stato respinto Jeff Dahmer. Lo stesso seleziona accuratamente le proprie vittime, in locali per gay, in una sorta di valzer della morte.

Nella serie assistiamo a una cosa piuttosto anomala per il genere cinematografico. Viene analizzato in profondità anche la personalità e il vissuto della vittima. Questa cosa è strumentale, sia per il senso della serie e il suo obiettivo, sia per dare una dignità alle vittime, che diversamente dai soliti film horror non li tramuta in meri pezzi di carne da macellare.

La fine

Nel finale della serie, viene dato ampio spazio alle vittime e ai loro familiari, con le loro emozioni, sensazioni e storia. I familiari vogliono chiaramente verità e giustizia, ma anche qualcosa di più. Si tratta di tutti soggetti emarginati perché appartenenti a minoranze, vogliono maggiori diritti e maggiori tutele, una cosa che nel corso della storia viene sostanzialmente ignorata, proprio come lo è stato nella realtà.

Le istituzioni sono quasi totalmente assenti: avrebbero potuto più volte intervenire, ma questo non è stato fatto, proprio a causa della conformazione delle vittime del Mostro di Milwuakee. A nessuno interessa di loro, così Dahmer indisturbato continua la sua lunga linea di delitti.

La triangolazione criminale

La vittima è in realtà un protagonista importante nell’atto del crimine, e si relaziona con il carnefice e la società, in una sorta di triangolo. C’una azione verso la vittima e una reazione della società. In Dahmer viene mostrato come non ci sia nessuna reazione nei confronti del carnefice e nemmeno delle vittime. Salvo alla fine di tutto, quando il mostro verrà fuori, quando ormai è troppo tardi. Il grande assente istituzionale improvvisamente si mostra, e lo fa cercando di non alzare un polverone, cercando anzi di coprire le proprie lacune e la propria incapacità nel gestire dei delitti così efferati, ma soprattutto viene mostrata la propria incapacità di non essere in grado di non far nascere un mostro.

Il trailer della serie

Tutte le immagini sono tratte dalla serie

Sono nato a Brescia nel 1994. Laureato in Giurisprudenza, lavoro in banca, pratico Muay Thai, mi interesso di criminologia, diritto, economia, storia e cinema. Scrivo per diletto, per passione e offrire un punto di vista personale rispetto a quello che ci circonda.

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