Tutti Fenomeni, se Battiato avesse conosciuto la trap

Dalla trap all’indie, Tutti Fenomeni conquista il pubblico che ama la bella parola e la frase sospesa; l’erede di Battiato, in pratica.

È passato ormai più di un anno e mezzo da quando è morto Franco Battiato. Era il 18 maggio del 2021. E da allora ascolto e riascolto i suoi dischi in loop. Ossessivamente anche. Forse perché effettivamente nessun cantante mi fa emozionare così tanto. Forse perché sono pigra e non trovo la voglia di sperimentare, cercare nuova musica, nuovi stimoli, nuove influenze. O forse è solo perché ancora non riesco a superare il lutto? Probabilmente è un mix delle tre.

Grazie al cielo Battiato non ci ha lasciati soli. Oltre ai suoi sublimi album ci ha lasciato anche un erede spirituale. Di cui ha senz’altro ignorato l’esistenza. Giorgio Quarzo Guarascio. In arte, Tutti Fenomeni.

La copertina dell’album di Tutti Fenomeni

La mattina del 17 gennaio 2020 un caro amico mi manda un messaggio. Diceva: «Marti, è uscito l’album dell’anno». Sono titubante: l’anno è iniziato solo da 17 giorni, mi pare presto per fare affermazioni così forti. Ma aveva ragione. Era decisamente l’album dell’anno.

L’esordio di Tutti Fenomeni

Merce Funebre mi conquista nell’arco di poche ore. Dieci pezzi, uno diverso dall’altro, perché se c’è una cosa in cui Giorgio Guarascio eccelle, è proprio la commistione e la contaminazione tra generi e strumenti diversi. C’è la chitarra, la tastiera elettrica, sintetizzatori di ogni genere e infine l’organo, a sottolineare la solennità dei suoi testi e la sua solenne, sorniona ironia. Non diversamente da come faceva Battiato, mescolando violini, musica elettronica, kalimbe, giocando tra armonie e contrasti. Due anni dopo, il 6 maggio 2022, Tutti Fenomeni fa uscire il suo secondo LP Privilegio raro, album di rara bellezza e profondità.

Nel primo album Guarascio canta le influenze e gli elementi che lo definiscono dall’esterno: canta Filosofia, suo percorso di studi universitario, in cui, in maniera dissacrante e pungente, parla dei “milioni in banca di Jovanotti” come unica filosofia di vita che ha senso nell’era capitalistica. Dopo tutto, Tutti Fenomeni è il “poeta della merce”, dirà nel suo secondo album. Canta Hikmet per parlare del suo rapporto con il poeta e con la poesia stessa, da cui prende costante ispirazione, lanciando nelle sue canzoni versi e messaggi cifrati, citazioni che si perdono e si storpiano.

Con Privilegio raro si lancia invece in un percorso introspettivo, auto-interpretativo: la paura della morte, l’angoscia, la vitaccia del cantante, ancora la poesia, che fa leggere in questo caso al padre, nel finale di Porco. E ancora, in A Roma va così, parla della sua città, dove è nato e nella cui scena musicale si muove e si agita. Una Roma permeata dalla decadenza, dal fascino, dalla trasgressività e soprattutto dalle contraddizioni della Roma sorrrentiniana.

I primi passi, Giorgio Guarascio li muove proprio nella capitale, negli ambienti della trap, con i Tauro Boys, già nel 2014, ma se ne discosta presto, pubblicando nel 2017 i suoi primi singoli (Colazione a Cortina, Troppa vendetta e Per quanto ti amo). La svolta avviene però quando Niccolò Contessa, in arte I Cani, diventa il suo produttore discografico, firmando un connubio di anime e intenti dalla perfetta alchimia. Un connubio che, per gli amanti dell’indie italiano e di quei cantautori, di ieri e di oggi, che minano alle proprie insicurezze, paure, fragilità, è destinato a produrre qualcosa di bello e profondo, di aggressivo e feroce.

Luicia Brandoli scrive su The Vision:

«Tutti Fenomeni – così come I Cani (se ha senso considerarle entità distinte, senza nulla togliere a entrambi) – a differenza degli artisti trap che al momento dominano la scena non vuole far ridere, vuole far sogghignare. Ti stampa sulla faccia quell’irresistibile sorriso storto a cui appendere la sigaretta. Il sorriso sgamato di chi sa che Dio è morto da tempo e che tutto è una farsa, anche le poche cose che fino a poco fa (forse perché eravamo bambini) consideravamo pure e intoccabili: l’arte, l’amore, la filosofia, la musica stessa. La faccia di chi non deve uccidere i padri perché ai padri non crede più, e ciononostante a continua a giocare, anche se è cresciuto.
Uno dei punti di forza di questa musica è che in pochi versi, però, è capace di fornire un affresco generazionale, un quadro preciso di un determinato ambiente culturale, in cui emerge uno sguardo lucido, che non schifa la realtà di cui parla ma ci si identifica, come durante un’autoanalisi».

Il padre ritrovato

Tra quei padri c’è anche Battiato. Le affinità musicali le ho già nominate: due artisti che giocano con gli strumenti, con i ritmi; in grado di passare dalla ballata romantica al rock, dal pop elettronico al violino che con enorme, drammatica malizia accompagna Lode all’inviolato e Antidoto alla morte.

Come Battiato, Tutti Fenomeni colora i suoi testi usando come filtro le lingue: se per Battiato il francese era la lingua alta, la lingua degli intellettuali, mentre l’inglese apparteneva alla sfera pop, commerciale, bassa, per Guarascio le lingue cambiano ma il principio resta lo stesso. Tutti Fenomeni, che ricordo, è filosofo di formazione, fa del tedesco la sua lingua aulica, citando nei suoi testi, con somma tranquillità, la Grundlage der gesamten Wissenschaftslehre di Fichte, ma anche Hegel, Marx e gli altri compagni dell’idealismo tedesco. Il romanesco è invece la lingua della semplicità, della vita, della strada.

Entrambi provano un piacere, spesso autoerotico, nei giochi di parole, nelle frasi e nei pensieri sospesi, nelle immagini metaforiche abbozzate. I loro testi tendono ad essere profondissimi, metafisici, oserei dire; talvolta invece scivolano nell’ironia, nel dubbio, nella provocazione. Ma l’unico istinto è quello di ballare, di saltare, di ondeggiare.

Giovanni De Stefano chiede a Giorgio in un’intervista per Rolling Stone: «Il nostro spirito di ascoltatori si approccia alla tua musica un po’ come si approccia a Battiato: pur in presenza di significati alti le gambe e le braccia non riescono a stare ferme. Anzi, cominciano a muoversi. Preferiresti essere capito da un pubblico inerte o non essere non capito da un pubblico che però ti balla?».

E Tutti Fenomeni risponde: «Nel riferimento a Battiato mi ritrovo perché da lui ho introiettato un modello. Il suo è un retaggio che deriva da mia madre. Da piccolo ero proprio il pubblico che non lo capiva ma lo ballava. Da lui ho capito che poteva fare canzoni anche senza avere grandi doti musicali ma disponendo di un mio gusto personale, che può piacere o non piacere. Ho capito il suo schema di scrittura, che procede per citazioni su citazioni su citazioni, e poi il contrario della citazione accostata alla citazione della citazione, e così via […]».

RIP Battiato

Battiato è un riferimento imprescindibile, a volte idolatrato, a volte bersaglio, ne riprende i versi più famosi e li trasforma, dando nuovi significati a quei mondi lontanissimi che si rivelano in costante trasformazione. E che a volte si rivelano essere popolati da più di un abitante.

In Troppa vendetta, uno dei suoi primi singoli, c’è già tutto questo: il «voglio vederti danzare / come le zingare del deserto / con candelabri in testa / o come le balinesi nei giorni di festa» diventa «voglio vederti danzare / bendata sopra il davanzale», che poi riecheggia nella strofa finale «voglio vederti puntare / una pistola contro l’establishment /e poi vederti sparare / in senso orario». Nel video-clip, girato come un fittizio giornale dove le notizie sono tutte lapidarie sentenze sul crollo delle istituzioni italiane (in stile Lercio, per intenderci), compare la notizia della morte di Battiato, con un video di lui che se la ride in sottofondo.

Il linguaggio è diverso, chiaramente, per via di influenze musicali di epoche diverse. Ma se la trap fosse esistita all’epoca di Battiato, mi piace pensare che anche lui sarebbe stato un po’ un Fenomeno. Anche se, va detto, l’abilità canora di Franco Battiato è immensamente migliore di quella di Giorgio Quarzo Guarascio, i cui live non si fanno di certo ricordare per la perfetta intonazione.

Se Franco Battiato è stato la voce generazionale dei giovani degli anni Settanta e Ottanta, Giorgio Quarzo Guarascio, “il più intellettuale degli indie e il più indie degli intellettuali” lo è per noi: noi, che avremmo tanto voluto vedere Franco dal vivo, ma invece lo ascoltiamo dai vinili rubati ai nostri genitori; noi amanti dell’indie, della musica evocativa; noi che cerchiamo una musica che parli di noi, dei nostri desideri e delle nostre angosce profonde; dell’oggi, della società che abbiamo di fronte.

Entrambi grandi interpreti del loro presente e in qualche modo profeti dell’avvenire, della parola ancora da pronunciare. Battiato e Guarascio hanno fatto della loro musica il tappeto sonoro di una parola potente, ermetica, enigmatica. Di una parola in grado di attraversare universi del cosmo e del sentimento. Parole specchio del sé e della realtà circostante. Due artisti serissimi ma che mai si sono presi troppo sul serio.

Immagini prese dalle copertine degli album e dei singoli.
Immagine di copertina di Martina Raule.

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Laureata in Scienze filosofiche e ora studentessa del Master Professione Editoria cartacea e digitale a Milano. Quando non leggo, scrivo. Quando non scrivo, guardo film. Quando non guardo film, parlo ai miei amici dei film che ho appena visto. Quando non faccio nessuna di queste cose di solito sto cercando di replicare qualche ricetta di Masterchef.

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