Le donne rappresentate nelle pubblicità: una questione ancora attuale?

Ripercorriamo il celebre TedTalk del 2014 di Jean Kilbourne, regista del documentario “Killing us softly”. Dopo 6 anni, è cambiato qualcosa?

Nel 2014 Jean Kilbourne, speaker e scrittrice, affronta il tema dell’utilizzo della figura della donna nelle campagne pubblicitarie durante un incontro Tedx.

Kilbourne inizia il suo discorso spiegando in quale modo avesse intrapreso quest’indagine negli anni Sessanta. Confessa di aver cominciato a collezionare le inserzioni delle pubblicità nelle riviste strappandole e sistemandole sul frigo.

Successivamente aveva potuto constatare che ci fosse una sorta di pattern, ossia uno schema ripetuto per indicare cosa significasse essere una donna. In seguito, aveva partecipato al secondo movimento femminista del 1960, aveva lavorato nei media e come segretaria per una compagnia di film francese, per un anno. Inoltre era stata incoraggiata ad iscriversi a concorsi di bellezza e a diventare anche una modella, ma poi aveva deciso di rinunciare ad una possibile scalata verso il successo perché riteneva quel mondo alienante e soprattutto teatro di molestie sessuali.

Tuttavia a partire da quell’esperienza iniziò a riflettere sull’idea di bellezza ed il potere dell’immagine.

Attraverso l’unione delle immagini da lei raccolte, nel 1979 ha creato il suo primo film: Killing us softly-Advertising’s Image of Women, che ha successivamente rivisto e ampliato per quattro volte. Jean Kilbourne si presta a mostrare cronologicamente diversi contenuti pubblicitari che presentano la donna come bersaglio per critiche di qualunque genere, anche a costo di deriderla.

Un esempio lampante può essere l’inserto pubblicitario di Norforms, una marca di deodoranti per donne, che sosteneva: «Feminine odor is everyone’s problem» ossia «l’odore femminile è un problema di tutti». In aggiunta vengono mostrate altre pubblicità che ironizzavano solo sull’aspetto esteriore delle donne perché allora considerato l’unico degno di fondamentale importanza.

L’attivista rivela che, grazie alla diffusione mondiale con cui si trasmettono le pubblicità, anche i bambini di sei mesi sono in grado di riconoscere i loghi aziendali.

The influence of advertising is quick, cumulative and for the most part, subconscious. Ads sell more than products.

«L’influenza delle inserzioni è veloce, cumulativa e per la maggior parte, subconscia. Gli annunci vendono di più dei prodotti»

Nel suo intervento all’incontro Tedx, la studiosa sostiene che l’immagine che traspare delle donne nelle pubblicità sia peggiore che mai. Infatti vi è molta pressione sulle donne affinché siano continuamente giovani, belle e magre. Questo è un concetto che va in contrasto con la quotidianità e – poiché surreale – risulta poco compatibile con la realtà stessa.

Photoshop ha agevolato questi ideali di donna sempre perfetta, cristallizzata in un tempo senza tempo. Grazie a Photoshop si può modificare ed assemblare così tanto l’aspetto esteriore di una persona da stravolgerne i connotati ed il corpo.

Vi è proprio una fissazione per la pelle bianca, i capelli lisci, gli occhi rotondi, la magrezza e le caratteristiche caucasiche. Con quest’idea astratta della bellezza si pubblicizzano volti artificiali. Purtroppo le donne e le ragazze nella vita vera si sentono in dovere di misurarsi con quanto proposto. Questo si scontra inevitabilmente con l’autostima che viene inquinata anche dalle, sempre più alte, aspettative degli uomini ormai abituati a desiderare una donna che non invecchia mai.

Le inserzioni pubblicitarie sono presenti anche in riviste per teenager. Jean Kilbourne cita questi insulti rivolti direttamente alle giovani lettrici in forma di pubblicità:

Your breasts may be too big, too saggy, too pert, too flat, too full, too far apart, too jiggly, too pale, too padded, too pointy, too pendulous of just two mosquitos bites. But with Del styling products at least you can can have your hair the way you want it.

«I tuoi seni potrebbero essere troppo grandi, troppo cadenti, troppo impertinenti, troppo piatti, troppo pieni, troppo distanti tra loro, troppo ondulati, troppo pallidi, troppo imbottiti, troppo appuntiti, troppo penduli, di appena due morsi di zanzara. Ma con i prodotti per lo styling Del almeno puoi avere i tuoi capelli come vuoi».

Il target di quest’articolo sono le adolescenti che devono allinearsi all’idea di dover essere incredibilmente magre, belle, sexy ed avvenenti. La scrittrice pone il focus sul muro contro cui spesso ci si scontra durante l’adolescenza. Questo muro è costruito anche dall’enfatizzazione della perfezione fisica e della paura di non sapersi adeguare agli standard.

Quando 20 anni è accaduto fa che un uomo venisse coperto solo da un paio di jeans nella zona inguinale in un’annuncio di Vanity Fair, i reporters hanno chiamato Jean Kilbourne e le hanno detto che, attraverso quell’immagine, le pubblicità stessero facendo la stessa cosa anche agli uomini.

Well, not quite. They’d be doing the same thing to men they’ve always done to women if they were copy with this advertising that went like this: Your penis may be too small, too limp, too droopy, too lopsided, too narrow, too fat, too pale, too minty, too blunt, or just two inches. But at least you can have a great pair of jeans.

«Beh, non proprio. Avrebbero fatto loro la stessa cosa che uomini hanno sempre fatto alle donne, se avessero proposto questa pubblicità così: il tuo pene potrebbe essere troppo piccolo, troppo molle, troppo cadente, troppo sbilenco, troppo stretto, troppo grasso, troppo pallido, troppo mentolato, troppo smussato o solo di due pollici. Ma almeno puoi avere un bel paio di jeans».
Credits to Ceyda Çiftçiye, Unsplash

La studiosa non intendeva ambire a questo genere di “uguaglianza” anzi, le interessava esporre quanto ci fosse da imparare da queste due pubblicità: ciò che è capitato spesso e ciò che non potrebbe mai capitare. Vi è una differenza abissale tra il mondo in cui l’uomo e la donna vivono. Gli uomini sono più oggettivati ma non per questo vivono allo stesso modo gli effetti di questa scelta. Per le donne è più alta la probabilità di essere stuprate, abusate sessualmente o picchiate.

Il linguaggio del corpo della donna, nelle pubblicità, rimane sempre passivo, sottomesso e vulnerabile. Ultimamente anche le bambine vengono presentate come materia sessuale proprio in un mondo in cui l’abuso di minori è aumentato notevolmente. Le pubblicità normalizzano gli atteggiamenti potenzialmente pericolosi. I ragazzi sono incoraggiati a vedere le ragazze come oggetti sessuali, essere a loro volta attivi sessualmente in età precoce ed istruiti ad essere forti.

Il film presta particolare attenzione a come i media americani hanno reso più affascinanti gli ideali maschili sempre più regressivi e violenti di fronte alle crescenti minacce sociali ed economiche alla tradizionale autorità eterosessuale maschile bianca.

Paradossalmente i ragazzi vengono avvicinati alla sfera sessuale ma ci si rifiuta ad educarli sul sesso. Tuttavia i più giovani ricevono ugualmente l’educazione sessuale grazie proprio agli annunci pubblicitari, i media e tutto ciò che li circonda.

The Internet has given us all easy access to pornography these days, and as porn becomes more available and acceptable the language and the images of porn become mainstream.

«Internet ha fornito a tutti noi un facile accesso alla pornografia in questi giorni e man mano che il porno diventa più disponibile e accettabile, la lingua e le immagini del porno diventano mainstream».

The problem isn’t sex. It’s the culture’s pornographic attitude towards sex, the trivialization of sex. And nowhere is sex more trivialized than in advertising where by definition it is used to sell everything.

«Il problema non è il sesso. È l’atteggiamento pornografico della cultura nei confronti del sesso, la banalizzazione del sesso. E da nessuna parte il sesso è più banalizzato che nella pubblicità dove per definizione (il sesso) è usato per vendere tutto».

Le ragazze esposte a immagini sessuali da una giovane età sono più inclini ad avere problemi alimentari, bassa autostima e depressione. Perciò come può una donna che odia il proprio corpo a sentirsi sexy? In aggiunta, trattare le donne come oggetti alimenta in modo significativo l’utilizzo della violenza. Quest’ultima viene banalizzata nelle pubblicità come un qualcosa di normale.

Girls are encouraged to present themselves as strippers and porn stars, to remove their pubic hair, to be sexually available while expecting little of nothing in return. […] they learn to sexualize themselves, to see themselves as objects.

«Le ragazze sono incoraggiate a presentarsi come spogliarelliste e pornostar, a rimuovere i peli pubici, ad essere sessualmente disponibili senza aspettarsi nulla in cambio. Allo stesso tempo, vengono insultate […] imparano a rendersi più appetibili, a vedersi come oggetti».

Oggigiorno Jean Kilbourne non è più sola in questa battaglia per divulgare l’oggettivazione della donna e afferma ci siano molteplici film, libri e filmati al riguardo. Inoltre cita il suo sito web, la Brave Girls Alliance e l’attivista Julia Bloom, che all’età di 14 anni fece una petizione a Seventeen magazine per limitare l’utilizzo di Photoshop e ne ebbe l’approvazione. Vi sono molti cambiamenti in atto, anche ad esempio nella moda, che ha inserito le modelle curvy all’interno di set fotografici e advertising. Purtroppo, la strada per il cambiamento è ancora lunga.

Il modo, però, in cui le campagne pubblicitarie hanno costruito e definito l’ideale di donna hanno inevitabilmente dato vita a una standardizzazione di quest’ultima. Negli ultimi anni anche i filtri di Instagram hanno contribuito ad uniformare istantaneamente i visi degli utenti: ancora una volta si inculca l’idea della pelle perfetta che per essere tale non deve rivelare l’età, le occhiaie, i brufoli o le macchie del viso.

Sono trascorsi sei anni dalla pubblicazione di questo Tedx e 41 anni dalla prima edizione film di Jean Kilbourne. La rappresentazione della donna è mutata nelle campagne pubblicitarie? Sta cambiando? A voi l’ardua sentenza.

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Mi chiamo Andreea e studio presso l'Università degli Studi di Udine. Adoro i bambini, la musica, i film e le sorprese. Mi piace scrivere e leggere. Nutro un affetto particolare per i classici perchè mi insegnano qualcosa di nuovo ogni volta che li rileggo. Il mio libro preferito è "Il fu Mattia Pascal" di Pirandello. La mia citazione preferita è: "Per angusta ad augusta".

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