È l’economia che crea razzismo

La guerra tra poveri distoglie lo sguardo dal vero colpevole della divisione sociale.

Facciamo chiarezza: quando si parla di economia, immigrazione, italiani e lavoro tutto in un solo discorso, nel nostro Paese il livello di argomentazione è bassissimo. Non solo sui social; ormai anche e soprattutto la politica non fa sconti. Il tema è estremamente delicato. Oltre la soglia della legittima opinione è facile imbattersi in stereotipie o anche peggio.

Il primo passo per dipanare questa matassa è eliminare il più grande dei pericoli: il razzismo. Un cancro della nostra società. È sconcertante nel XXI secolo (come in qualsiasi alto tempo passato o futuro!) ritrovarsi a commentare ancora una simile piaga. Ma ammetterne l’esistenza, per quanto triste, è senz’altro il primo passo per combatterla. Perché il razzismo esiste e questo articolo ne individua un progenitore.

Dai tempi del colonialismo, gli interessi economici hanno contribuito alla divisione della società e alla genesi del razzismo. Ancora prima invece, il razzismo era una questione sociale; affondava le sue radici nella stratificazione della popolazione che permetteva una governance più semplificata. La divisione sociale causava differenza economica, ma dal colonialismo in poi questo paradigma verrà invertito.

Quello che vogliamo dimostrare in queste osservazioni è come la struttura economica attuale sia la causa originaria del pensiero discriminatorio italiano.

In Italia il pensiero comune è divisivo: “gli immigrati rubano il lavoro degli italiani e gli italiani non vogliono più fare i lavori degli immigrati”. Messe insieme queste due “chiacchiere da bar” producono un annichilimento istantaneo. Le due affermazioni si annullano a vicenda.

Come spesso accade, un pensiero generalizzato diventa più forte di un dato reale. Ma, per argomentare basterebbe dare uno sguardo ai dati occupazionali forniti da fonti ufficiali. L’errore sta nel lasciare che tali considerazioni si diffondano per onere propagandistico; è da questi nuclei che nascono piaghe come il razzismo. Perciò, è necessario entrare nell’argomento e validare o smentire ciò che si afferma. La strumentalizzazione politica non deve offuscare la mente di chi vuole e deve conoscere.

I dati occupazionali

La popolazione non comunitaria residente in Italia al 1° gennaio 2019 assomma a circa

  • 5,2 milioni di persone, pari all’8,7% della popolazione residente
  • L’Africa complessivamente ne rappresenta il 31,2%.
  • La popolazione straniera in età da lavoro (15-64 anni), nel 2019, è pari a più di 4 milioni e 33 mila individui.
  • Gli occupati di 15 anni e oltre sono 2.505.186, le persone in cerca di lavoro 401.960 e gli inattivi tra i 15 e i 64 anni 1.175.059 (Tabella 3.5).

Da notare che mediamente, tra i residenti extracomunitari sul territorio italiano, trova occupazione circa il 50% del totale residenti.

La fonte è l’indagine ISTAT Cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti realizzata su dati del Ministero dell’Interno.

Le categorie occupazionali con maggior presenza di cittadini ExtraUe

Le categorie lavorative in cui è possibile registrare una considerevole presenza di forza lavoro ExtraUe sono:

  • nel caso dell’Agricoltura la forza lavoro straniera corrisponde al 18,3% del totale,
  • nel settore Alberghi e ristoranti è pari al 17,7% così come
  • nelle Costruzioni (17,6%).
  • In Altri servizi collettivi e personali, come è noto, la presenza di lavoratori non nativi è elevata: nel 2019 l’incidenza percentuale è pari al 36%.

Come si evince dai dati, le percentuali di occupazione extracomunitaria per categoria non supera mail il 50%. Il che Significa che gli stranieri non stanno rubando posti lavoro agli italiani. Il settore dei servizi collettivi e personali denota una marcata presenza di lavoratori extracomunitari: parliamo di badanti, colf, baby sitter, ma anche qui non tale da raggiungere nemmeno la metà degli occupati in genere per quella tipologia di lavoro.

Rapporto annuale_REV conOCSE2 Luglio – Link a fine pagina

Mercato del lavoro e povertà: la condizione dei cittadini stranieri

A chi grida al furto del lavoro è necessario chiarire un ulteriore meccanismo molto semplice.

Contrariamente a quanto si possa pensare, la condizione di povertà non è causata solo dall’assenza di lavoro: anche chi ha un impiego può collocarsi al di sotto della soglia di spesa minima necessaria per acquisire beni e servizi essenziali. E questo perché le condizioni di lavoro e le paghe sono oltremodo esigue.

  • Gli stranieri in povertà assoluta sono 1,376 milioni.

Per gli immigrati a lavoro temporaneo, chi lascia il suo Paese di origine, cerca occupazione nelle categorie per le quali i dati riferiscono percentuali elevate. Con riferimento al carattere dell’occupazione, circa l’87% dei lavoratori stranieri svolge un lavoro alle dipendenze.

Gli stipendi elargiti per le suddette categorie sono spesso al di sotto di una ragionevole soglia e difficilmente in media superano i 1000 euro al mese. Gli immigrati che vi accettano vivono, per buona parte, in condizioni di povertà assoluta e questo è dimostrato nel rapporto ISTAT. Spesso abitano case in condivisione con 4/5 persone nell’ausilio di dividere un canone mensile di affitto rilevante. Il loro potere di acquisto si riduce al minimo indispensabile al netto dell’operazione più importante della loro “missione straniera”: l’invio di denaro a casa.

Se l’Africa occupa il 31% dell’immigrazione totale in Italia è ragionevole pensare che almeno 1/3 dello stipendio guadagnato in Italia venga devoluto dai lavoratori stranieri alle famiglie residenti nei Paesi d’origine. Infatti, 400 euro assumono li un potere di acquisto triplicato rispetto a quello che avrebbero in Italia, per la differenza di economie tra Paesi.

È su questo che fa leva una vita spesa in condizioni di povertà nel nostro Paese da coloro che accettano lavori “che gli italiani non vogliono più fare ”. Parliamo di gente lontana dagli affetti famigliari. Il trasferimento in pianta stabile dell’intero nucleo famigliare in Italia non è ammissibile a queste condizioni economiche e non è da sottovalutare la dimensione affettiva che aumenta una condizione di precarietà ai limiti del sopportabile.

Rapporto annuale_REV conOCSE2 Luglio – Link afine pagina

Ma perche gli italiani non voglio fare questi lavori?

Per ogni cittadino straniero che accetti un lavoro come badante a 1000 mensili, vivendo in condizioni di precarietà al netto di affitto, spesa e invio di denaro a casa, è lecito immaginare un italiano che vi rifiuta. Per motivazioni analoghe, rispetto a tale occupazione, si troverebbe in condizioni di uguale povertà con l’aggravante che il lavoratore italiano va inteso nel suo complesso famigliare evidentemente in pianta stabile sul territorio.

Le spese a cui fa fronte il cittadino nativo possono essere in questo senso più elevate rispetto a quelle sopportate da un cittadino straniero ma non nel senso della quantità bensì in quello del peso specifico. Ipotizzando uno scorporo degli stessi 400-500 euro mensili di cui al paragrafo precedente, non è plausibile un potere di acquisto sufficiente a rimediare ai fabbisogni famigliari.

È ovvio che tale analisi economica prenda in considerazione soltanto i casi di cittadini ExtraUe occupati in Italia ma non stabilmente trapiantati sul territorio. Ovvero, “pendolari” che hanno lasciato il nucleo famigliare nel Paese di origine. Nel rapporto del Ministero la categoria è descritta come Migrazione per lavoro temporaneo, rispetto a quella permanente e a quella per studio.

Come gli Italiani a Londra

Non è cosi lontano il paragone con i ragazzi italiani che si trasferiscono all’estero in cerca di una occupazione. Tralasciati i motivi di studio, il trend dei giovani trasferiti a Londra è stato in continuo aumento almeno fino alla Brexit. Se consideriamo l’esempio di emigrati italiani che trovano occupazione nel settore ristorativo le percentuali sono rilevanti.

Rispetto al cittadino ExtraUe in italia, l’esperienza all’estero di italiani e italiane differisce per il raro invio di denaro alla famiglia di origine, che altrimenti viene racimolato per aumentare le disponibilità finanziaria personale, come un salvadanaio. Al netto del bagaglio esperienziale e dei progetti di permanenza nella città, almeno per i primi tempi anche gli italiani a Londra condividono appartamenti per suddividere le spese degli affitti.

Il salario leggermente superiore garantito dall’economia inglese rispetto alla media italiana permette un tenore di vita più soddisfacente ma comunque accorto.

Foto di Werner Pfennig da Pexels

Conclusione

Le osservazioni fin qui espresse confermano la inesattezza del pensiero comune italiano riguardo al presunto furto occupazionale perpetrato dagli stranieri in Italia e allo stesso tempo smentisce la credenza secondo la quale gli italiani abbiano abbandonato determinati lavori, solo per scelta discriminatoria.

La verità è che il difetto nel meccanismo non ha confini o provenienze. Il sistema economico crea una spaccatura sociale importante. È l’economia che crea differenze e non è per niente opportuno cercare colpevoli altrove. È lei l’unica colpevole andando a vantaggio del solo datore di lavoro che cavalca l’onda della necessità (o disperazione) altrui.

Un sistema economico non può essere scorporato dalla sua visione sociale. Non può non tener conto del ricchissimo patrimonio portato in dote da uomini e donne provenienti da culture e Paesi diversi. L’inclusione sociale passa attraverso quella economica che restituisce dignità ai tanti lavoratori ExtraUE che arricchiscono questo Paese ed altri.

Abbiamo urgente bisogno di un sistema economico inclusivo in un mondo sempre piu globale. Si delinea all’orizzonte un nuovo movimento che cerca di affrontare l’argomento che prende il nome di “capitalismo inclusivo“.

Ma ad oggi, gli accorgimenti politici hanno fatto poco o nulla in questa direzione, dividendo più di quanto abbiano unito e distogliendo lo sguardo dalla vera causa.

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Io sono Arnaldo Berardi. Sono nato a Bari il 7 Dicembre del 1989 di un piovoso giovedì d’inverno. Attualmente studente del corso di “Strategie per i mercati internazionali” presso la facoltà di Economica dell’Università di Bari “Aldo Moro”. Sono assetato di conoscenza e vivo la mia vita nella consapevolezza che la cultura sia l’unica via per l’evoluzione dell’anima. Il sogno da realizzare è quello di poter divulgare cultura che possa arrivare a chiunque in qualsiasi parte del globo, indistintamente.

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