Lievito: come l’aria salvò la pasticceria

Forse era troppa farina? O sarà stato quel pizzico di zucchero in meno? Eppure erano pressappoco due uova!

Chimica e pasticceria: un binomio inseparabile. Come ampiamente illustrato da Dario Bressanini ne La Scienza della Pasticceria, quando ci si mette ai fornelli per realizzare meringhe, pancake e pan di Spagna meglio seguire la ricetta e non farsi travolgere dall’entusiasmo.

Zucchero, uova, latte e panna sono stati precisamente soppesati da cuochi esperti (le temute nonne delle nonne) prima di essere stati inseriti nella lista degli ingredienti. Un elemento però manca spesso all’appello, senza del quale molti risultati sarebbero preclusi: aria e gas.

Cosa accomuna un bignè con la pasta sfoglia e il soufflé? Nonostante risultino degli abbinamenti bizzarri il punto in comune risulta essere un impasto contenete in gran misura gas. Il risultato è una struttura “ariosa”.

Entrano quindi in gioco gli agenti lievitanti: sostanze in grado di aumentare il volume dell’impasto in fase di lavorazione o cottura.

Tutti all’appello

Esistono due categorie principali nella famiglia dei lieviti: quelli biologici (particolarmente adatti per prodotti ad alto contenuto di glutine come pane e pizza) e quelli chimici (più diffusi ad esempio nella realizzazione di biscotti dove le concentrazioni di glutine sono minori).

Nonostante il gas non sia un ingrediente quantificabile, è molto importante che ce ne sia in misura adeguata al prodotto che dev’essere realizzato. Se ne introduciamo troppo allora l’impasto potrebbe essere rotto dalle bolle generatesi. Se invece ce n’è troppo poco la preparazione corre il rischio di sgonfiarsi. Quest’ultimo caso riguarda spesso i soufflé: aprire anche pochi secondi lo sportello del forno è sufficiente a far afflosciare tutto. Il calore non ha infatti fatto tempo ad irrigidire la struttura, la quale ha permesso la fuga del gas presente portando al collasso.

Cosa permette a torte e pasticcini di crescere?

  • Aria – introduciamo inconsapevolmente aria all’interno della nostra preparazione ogniqualvolta aggiungiamo l’albume montato, setacciamo la farina o montiamo il burro con lo zucchero. Quest’ultimo passaggio è molto importante: spesso il gas sviluppato dal lievito non ha la forza necessaria per creare le prime bolle. Il burro montato cattura particelle d’aria che vanno a rappresentare centri di nucleazione: verso questi s’indirizzano il vapor d’acqua e la CO2 che gonfieranno l’impasto.
  • Vapor d’acqua – se si pensa che a 100°C un grammo di acqua liquida corrisponde a 1.6 litri di vapore acqueo è facile comprendere il vantaggio del suo utilizzo come agente lievitante. Un esempio di impiego di vapor d’acqua è la pasta sfoglia. Il burro, costituito circa per il 15% da acqua, permette in cottura di ottenere la tipica consistenza dettata dal sollevamento dei diversi fogli di pasta a seguito del processo di evaporazione.
  • Anidride carbonica – principale fonte di CO2, essenziale per la riuscita di un buon muffin, è il bicarbonato di sodio (E500). Questo si scompone a temperature superiori ai 50°C dando luogo così all’anidride carbonica necessaria.
Immagine a cura di Olia Gozha su Unsplash

Lievito chimico

Il bicarbonato fu introdotto in cucina solamente nell’Ottocento, periodo in cui cominciò la sua produzione a livello industriale. Nel 1850 negli USA, a seguito della fondazione dell’azienda Royal Baking Powder Company (ad opera dei fratelli Hoagland) si cominciò a vendere la baking powder (‘polvere per cottura al forno’): una miscela di bicarbonato e cremor di tartaro. Quest’ultimo permetteva infatti di controllare meglio la reazione di decomposizione del bicarbonato.

Tuttavia, il cremor di tartaro fu presto rimpiazzato con il fosfato acido di calcio (MCP). La sostituzione fu resa necessaria dell’estrema velocità di reazione del bitartrato di potassio con il bicarbonato in presenza di acqua. Ciò portava ad un repentino sviluppo del gas che fuggiva velocemente dall’impasto.

Alla nuova miscela contenente MCP si aggiungse anche l’amido di mais. Lo scopo del nuovo arrivato era quello di assorbire l’umidità, evitando di far reagire le due componenti prima ancora di poterle utilizzare.

Dopo aver sperimentato diverse combinazioni, si è approdati a quella che oggi è una delle più diffuse, contenente sodio alluminio fosfato (SALP). Quest’ultimo si scioglie molto poco in acqua a temperatura ambiente e reagisce per la maggior parte nel forno.

Nella maggior parte dei casi, quelli commercializzati sono lieviti a doppia azione. Un primo acido (ad esempio l’MCP) inizia la decomposizione del bicarbonato nel momento dell’aggiunta di acqua all’impasto. Cuocendo in seguito, il secondo acido (ad esempio il SALP), attivato dal calore, ultimerà il rilascio di CO2 facendo aumentare ulteriormente il volume del prodotto.

 Tabella con vari agenti acidi utilizzati in lieviti chimici. Fonte: SCIENZA IN CUCINA
di Dario Bressanini

Nella produzione del lievito chimico uno dei parametri più importanti è il valore neutralizzante (NV). Gli agenti lievitanti commercializzati sono infatti dosati in modo tale da non alterare il pH della preparazione. L’NV rappresenta i grammi di bicarbonato necessari per neutralizzare 100 g di acido.

Dunque non resta che mettere le mani in pasta e non dimenticarsi del lievito. Ma se il sodio è per voi un problema potete utilizzare tranquillamente il bicarbonato di potassio (E501) anziché quello di sodio. Differenza? Il prezzo.

In copertina: Photo by Atle Mo on Unsplash

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Ciò che sappiamo è solo una goccia, ciò che ignoriamo è un oceano. - Isaac Newton

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