La giostra infernale

“La sottomissione del suo corpo senza amore o desiderio degrada la sottile sensibilità della donna” – Margaret Sanger

Proseguono le puntate del racconto di Giada Penello: ecco il link all’episodio precedente.


Durante l’estate della seconda media, Martina si innamorò di un ragazzo, dopo aver lasciato uno dei miei migliori amici. La sua nuova storia d’amore faceva invidia a chiunque. Martina raccontava a Carmen tutti i dettagli e lei, poi, li raccontava a me, abbelliti di tutti i fronzoli che le piaceva sempre inventare. 

Era l’ennesimo motivo di invidia. Quanto sarebbe piaciuto anche a me trovare qualcuno che mi amasse tanto quanto Marco amava Martina!

Lei cominciò a trascurare la nostra amicizia. Ci vedevamo meno di frequente, sempre impegnata com’era con il suo fidanzato. Iniziò anche a inventarsi scuse per non vedermi, nonostante io non abbia mai avuto l’impressione di chiedere la sua presenza insistentemente. 

Sebbene fossi invidiosa di lei e sebbene le bugie aumentassero, io continuavo a volerle bene, molto bene, così le perdonavo tutto, senza alcuna difficoltà. 

I racconti di Carmen su Martina mi facevano sognare di trovare nella mia vita qualcosa di altrettanto bello. Fantasticavo, come tutte le adolescenti, sul mio primo amore, sul mio primo bacio, sulle prime volte, sulla vita familiare. 

Anche a scuola iniziavano a giungere i racconti delle prime esperienze amorose, con quel po’ di finzione che serve per tenere l’ascoltatore attento. Mi chiedevo quando sarebbe accaduto anche a me. Un desiderio abbagliante. 

Nella mia classe c’era un ragazzo assai più bello degli altri, simpatico, gentile, intelligente. Insomma, un ragazzo davvero attraente e con tutte le buone qualità che si cercano in un partner. Non pensavo che lui volesse iniziare una relazione con me, insomma, non c’erano stati dei segnali chiari che io gli piacessi, eravamo amici e, sinceramente, io non avrei chiesto di più. Inoltre, c’erano delle pretendenti molto più attraenti.

Non ricordo come, ma iniziammo a corteggiarci un po’ su Facebook, e da lì nacque il primo appuntamento. 

Ero davvero felice, lui mi piaceva, era il genere di ragazzo che cercavo. Non mi aspettavo certo durasse per sempre, ma che sarebbe stato bello, sì. 

Mi chiese di tenere, per il momento, la storia segreta. 

Io e Carmen, nei giorni precedenti all’appuntamento, iniziammo a fantasticare. Sdraiate sul letto parlavamo e ci scambiavamo sguardi sognanti e complici. Carmen era diventata bellissima, le ciglia folte, le labbra carnose, bagnate come dalla pioggia. Così, mentre immaginavamo quel primo bacio, la baciai. Mi sembrò come se mi avesse tolto tutte le forze, come se il mio cuore fosse esploso e ogni pezzo mi scorresse, ora, in tutte le vene. 

Nei giorni successivi a quel bacio, Carmen continuava a stuzzicarmi, senza mai concedermi nulla. Era la mia amante proibita, che tutti desideravano e nessuno poteva avere, se non io, pazza di lei e senza più alcun controllo. 

Mi aveva fatto vedere cosa voleva dire amare, e io ora volevo qualcosa alla pari. Carmen, tu sapevi già che non era possibile, ma non mi fermasti mai, nemmeno una volta, nonostante sapessi che ogni secondo passato con lui significava perdere un pezzo di me e di te. 

Immagine tratta da Pexels

Arrivò il giorno dell’appuntamento. Io e Carmen avevamo già immaginato tutto. Il freddo ci avrebbe spinto a camminare accoccolati e a perderci l’uno nello sguardo dell’altro. Al termine della giornata ci saremmo baciati, lui mi avrebbe accarezzato i capelli e poi li avrebbe spostati dietro il mio orecchio, mi avrebbe sfiorato la guancia con le mani e allora, solo allora, mi avrebbe baciata delicatamente

Ricordare questa illusione mi mette ancora il panico, mi fa sentire come se i miei polmoni non potessero estendersi per intero e fossero costretti a tanti piccoli respiri. 

La passeggiata in centro fu tenera, meno romantica di ciò che avrei voluto, ma gradevole. Mi colpì il suo gesto di protezione, quando mi disse di non tirare fuori il portafogli dalla borsa per prendere il biglietto dell’autobus, prima che questo arrivasse, perché magari qualcuno poteva rubarmelo. 

Nel viaggio in autobus ero tutta un tremito, consapevole che, forse, a breve sarebbe sopraggiunto il momento tanto atteso. Scesi dall’autobus, lui mi portò davanti alla scuola elementare, un luogo assai poco romantico.
Non ci fu nemmeno il tempo di una parola dolce.

Mi spinse contro il muro, e già mi stava baciando. Non avevo nemmeno avuto il tempo di accorgermene. Mi sembrò come quando si sviene, si perde totalmente la percezione dello spazio e quando ti risvegli non capisci come tu sia finito a terra. 

Una parola sola mi si impresse nella mente: viscido. Dal modo in cui mi baciava, come se fosse tutto solo per lui, dalla sua mano sul sedere, quando era solo la prima uscita. Non una parola, non un gesto gentile, nessuna delicatezza, sicuramente nessun amore

Non mossi un dito, spiazzata da quel gesto, così in antitesi con quello che avevo desiderato. 

Attonita, lo salutai. Aspettai che fosse abbastanza lontano, mentre la gola già mi bruciava. I miei occhi si riempirono di lacrime. 

Dovetti subito farle sparire, volevo nasconderle prima che mio padre venisse a prendermi. Ero totalmente svuotata e piena di vergogna. A papà non dissi nulla, non volevo dargli un tale dispiacere. Chissà, papà, se avevi capito che stavo male, o se anche tu ricordi quel giorno: so solo che ora, al pensiero che tu eri lì, risento quella vergogna, ma anche tanto amore. Avrei voluto dirti tutto, avere il tuo abbraccio, ma mi sentivo in colpa per la mia stupidità, per essere inciampata in quell’illusione. 

Mi feci portare da Martina, dove, finalmente, potei liberarmi di tutto quel peso. Le parole mi uscirono come un flusso di conoscenza, ma, man mano che parlavo, assumevano un suono diverso. Improvvisamente, tutto ciò che era successo sembrava solo un niente di che. Forse, la mia reazione era stata esagerata, come ogni cosa che avevo immaginato prima di quell’incontro. 

In fin dei conti il mio nuovo fidanzato mi aveva baciato senza molto romanticismo, ma che pretendevo da un giovane ragazzo? 

Era colpa di Carmen. Mi aveva riempito la testa di sciocchezze, con il suo amore etereo, con i suoi gesti soffusi e casti, tutte favole. 

Probabilmente ero rimasta scossa perché era il mio primo bacio, e le cose nuove possono spaventare.

Il giorno dopo mi ero già convinta che la mia reazione fosse stata spropositata, che semplicemente avrei dovuto fantasticare meno sull’amore e essere più realistica.

Immagine tratta da Pexels

Mi persuasi che sarei riuscita a farlo diventare un po’ più romantico, in modo che si adattasse, almeno in parte, a quello che desideravo. 

A scuola ci saremmo lanciati qualche occhiata provocante, ci saremmo sfiorati le dita, quando ci passavamo vicini, e, poi, qualche frecciatina durante le conversazioni con i compagni di classe. Non sarebbe accaduto nemmeno questo, se io, sola, non mi fossi sforzata affinché capitasse

Dopo quel mio primo bacio, il rapporto tra me e Carmen si incrinò un poco. Lei pretendeva che avessi ancora la stessa voglia di fantasticare assieme, di coccolarla, ma io mi sentivo ingannata e, ogni volta che provavo ad assecondarla, avevo paura di incappare nello stesso errore. 

Anche scrivere diventò più difficile, il mondo della fantasia iniziava a sembrarmi ridicolo. Scrivere, inventare, stare con Carmen, erano tutte cose che amavo profondamente, ma che iniziavano a diventare innaturali. Mi consumavano, come io in quinta elementare avevo consumato Carmen.

Uscii di nuovo con lui, andai a vedere una sua partita.
Ora, se fossi padrona di me stessa, racconterei in poche righe quel che successe, dicendo giusto quel che serve per capire, tanto i dettagli non sarebbero fondamentali alla comprensione della storia. Ma non posso. Sei tu, Carmen, che vuoi che, come penitenza dei miei errori, io mi umili totalmente davanti ai lettori, agli amici più cari che forse leggeranno, ai miei genitori, che soffriranno e basta.
Sei egoista Carmen, ho già scontato la mia pena, perché dovrei farmi così tanto del male? Per coloro che hanno fatto i miei stessi errori, perché non si sentano soli?  Sarete sempre soli a combattere i vostri demoni, non è possibile che gli altri li affrontino al posto vostro. Quindi, Carmen, perché?
Stai in silenzio, ovviamente.

Alla partita ero andata solo per poter passare più tempo con lui, per avere almeno un briciolo di quell’amore che mi aveva presentato Carmen. Finito l’incontro lui mi salutò, prese una merendina al distributore e la mangiò. Mi disse: “Ti porto a fare un giro dei campi”. Sapevo che era solo una scusa per stare un po’ soli e accettai. Speravo che questa volta il nostro bacio sarebbe stato migliore.

Invece, stessa prassi. Nessuna parola, spinta addosso a un muro, senza nemmeno che me ne accorgessi.

Quel bacio non mi dava nulla, anzi, come la volta precedente, mi toglieva tutto, ma non sapevo di poter perdere di più. 

Infilò le sue dita nei miei slip. Non mi aspettavo quel gesto, era davvero troppo presto e io non lo volevo. Non me lo aveva nemmeno chiesto, e io non avevo fatto nulla per fargli credere di desiderarlo, non ne avevamo nemmeno mai parlato.

Improvvisamente, smisi di respirare, ero paralizzata. Guardavo oltre lui, un po’ chiudevo gli occhi, un po’ venivo accecata dal sole. Aspettavo che finisse. La mia mente mi supplicava di andarmene, ma non riuscivo a muovere un passo, tanto quell’evento mi sembrava impossibile e irreale. 

La mente cerca in qualche modo di salvaguardarci dal dolore, così ho dimenticato tutto di quel che accadde dopo. Non ricordo il viaggio in macchina, né la cena, né la notte, come se non fossi stata viva

Dopo alcuni giorni di riflessione, gli dissi che non volevo che riaccadesse, che era troppo per quel che ci conoscevamo. Non ricordo esattamente cosa rispose, so che in qualche modo acconsentì. Cosa mi spinse poi a ricredermi sulle mie riflessioni, io davvero non lo so e non lo capisco.

Pensai come la volta precedente che non aveva fatto nulla di male, che ero io a esagerare. Non lo so, forse temevo di perderlo. Quanto sono stata stupida.

Avevo trovato il coraggio di dire no e subito lo perdevo, dicendo “forse”. Fu la mia condanna.

Entrai in una giostra infernale, che non riuscivo a fermare, con la testa che mi girava e non mi permetteva di distinguere i contorni della realtà.

Mi ci hai spinto tu, Carmen, lo sai. Io ho avuto le mie colpe, ma mi ci hai spinto tu. Il fatto è che, in tutto questo, io non riesco che a ritrovarmi colpevole. Ho sempre provato negli anni ad assolvermi, ma non ci sono mai riuscita e questo mi fa arrabbiare. Mi fa salire ancora di più la collera il fatto che non sia mai riuscita a trovare qualcuno che pensasse il contrario. 

Chiunque leggerà questa storia mi vedrà colpevole.
Potevi smettere di andare da lui, è anche colpa tua”
“Ancora con questa storia, dai, è passata; era solo un ragazzino in preda agli ormoni, probabilmente non sapeva bene cosa fare”
“Ora però sarà diverso, non sarai mica ancora arrabbiata”
.
Fanculo a tutti voi! Fanculo perché credete che il dolore possa passare, fanculo perché sottolineate i miei errori e non avete mai cercato di andare oltre, fanculo perché credete di poter capire, fanculo perché non avete mai pensato che meritassi di non essere colpevolizzata, fanculo a me che sono come tutti voi e queste frasi me le sono dette mille volte. 

Raccontai anche a Carmen quel che mi era successo, ma lei ascoltava con freddezza e disprezzo, come se tutto questo non la riguardasse. 

Mi convinceva che le mie erano esagerazioni e problemi di poco conto.

Così, tornavo da lui.
Ma ora i pensieri si fanno confusi, opachi, situati in tempi e luoghi indefiniti. Vorrei assecondare la mia mente e cancellare tutto, ma Carmen mi chiede “Ancora, di più”.
Lo fa solo per rendersi più interessante, sensuale, per mettersi un fiore tra i capelli.
Ma dio, Carmen, guardami! A stento tengo la penna tra le mani. Temporeggio sulle parole, sui ragionamenti, per non raccontare di più. Ma tu non hai amore per gli esseri di questo mondo, tu guardi solo a te stessa, al tuo potere, alla tua bellezza. Hai in mano le catene del mio cuore e stringi per far uscire sangue e parole.

Mi portava nel suo garage affinché nessuno ci potesse vedere e lui potesse agire indisturbato. Stretti tra la macchina e il muro, nell’oscurità, nella polvere, nella vergogna.

Sapevo che per me non provava nulla, che voleva solo il mio corpo, la mia innocenza, il suo piacere. Io rimanevo sempre lì, immobile, con il fiato sospeso sull’orlo della disperazione, a perdere ogni volta un pezzo di me. 

Carmen mi aspettava fuori dal garage, con sguardo giudicante, con un riso maligno. Mi confondeva volutamente le idee, facendomi credere che dopo la tempesta ci sarebbe stata una romantica passeggiata al parco, che avrebbe cancellato tutto, non era mai così, mai. Pensavo di poter manipolare la cosa, che un giorno avrei preso il controllo, e, invece, non avevo più nulla di mio. Tornavo da lui ogni volta che me lo chiedeva. 

Lui voleva sempre di più e io glielo concedevo.

Immagine tratta da Pexels

Chiudemmo la relazione grazie a una sua bugia. Come ho già detto, lui non mi amava, mi voleva solo per sfogare il suo piacere, per cui cercava di vedermi il meno possibile, se sapeva che non avremmo fatto nulla.

Così, una sera, per non vederci, si inventò la scusa di essere a un compleanno lontano da casa.

Martina lo trovò al solito parco in cui io e lui ci incontravamo, mentre se la spassava con altri amici. Mi avvisò subito, scrivendomi per telefono. Le chiesi di verificare che fosse veramente lui. Nel mentre, io contattai lui per avere delle spiegazioni. Aveva la possibilità di dirmi la verità, mentì.

Io, però, ero davvero stufa di quelle menzogne, delle sue, di quelle di Carmen e anche delle mie.

Martina lo mollò per me. Quella sera piansi tantissimo, non per la rottura, ma per tutto quello che avevo permesso che accadesse. Ero consapevole di essermi persa, ero arrabbiata con me stessa, per non aver fermato tutto prima, per essermi lasciata prendere in giro da lui, ma, soprattutto, ero delusa da me stessa. Sentivo che non sarei mai più stata come prima, che avevo perso qualcosa di più delle semplici belle prime esperienze. 

Ero rovinata. Mi sentivo una puttana, col trucco colato e i vestiti strappati. 

Mi vergognavo di tutto e sentivo che mai nessuno mi avrebbe perdonata. Sentivo che Dio non mi avrebbe perdonata. 

Immagine di copertina tratta da Pexels

Prendere la penna in mano mi rende terribilmente felice. Fin da piccola mi sono innamorata del mestiere di scrivere, poteva essere il classico romanzo rosa, invece porto le cicatrici sul corpo di questo amore. Combatto ogni giorno per conquistare un pezzo del mio sogno, vivere di parole, perché anche se mi fa soffrire ne sono terribilmente innamorata.

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