Il dono dell’arte
Nell’epoca della standardizzazione, ricevere un regalo che non provenga dal mercato globale è un evento da celebrare: un’occasione per ricordarsi quant’è rara l’unicità
Avete mai ricevuto in dono un libro d’artista? No, non il libro di un artista, o almeno: non semplicemente questo. Non semplicemente un libro scritto da una persona che sappia prendere in mano un pennello e dargli vita, che sappia scolpire l’acciaio donandogli un valore poetico, no: sto parlando di un libro che venga toccato, confezionato, dedicato a voi da una persona che a quelle pagine contenenti piccoli frammenti di vita e di sé non può che associare anche alcuni ritagli della propria arte.
Così, i capitoli sono specchi di carta lucida, ritratti di un colore che s’accende tra le parole.
Rilievi di un monte innevato di tempera bianca, seguiti da vallate d’azzurro profondo e solchi sanguigni, striature di sangue che insegnano come, a volte, sia il dolore a lasciare una traccia sulla tela.
Un pugno di bianco e di nero, forse la coda di un pavone albino che ruota e danza in una notte di luna; arabeschi celesti che seguono l’andirivieni zigzagante di un’emozione che, ribelle, non si lascia ingabbiare finché l’opera non si completa, radiosa al suo creatore.
“La tela, prima nuda, ora diventa un vestito di colori che agli occhi non può sfuggire”
Roberto Tresin, Frammenti di vita dentro a parole
Avete mai ricevuto in dono un libro d’artista? Perché a me è capitato. E nessuna libreria, nessuno shop online, nessuna fiera potrebbe restituire la stessa emozione di un segnalibro ricoperto di gocce d’oro, di tratti marini, di sbuffi di candido bianco, che di colpo compare fra le pagine, creando un acceso contrasto con la facciata striata di magenta che gli sta accanto.
Il rilievo di un sole scintilla alla luce di una lampadina, invitando le dita esitanti a posarsi sulla sua superficie staccata dal foglio ruvido: la materialità di più curve accostate si lascia accarezzare, come sarebbe proibito fare se fossimo all’interno di un museo. Ed ecco che forse, con la semplice aggiunta di un ritaglio di carta, si capisce il senso dell’arte portata all’esterno di una galleria, di un’esposizione statica di cui si dimentica la componente tattile, il valore del respiro su una superficie che si può sfiorare con il proprio fiato, fino a sentire l’odore della tempera, fino a muoverla, tenendola tra i polpastrelli, portandola via da una fonte di luce ed avvicinandola ad un’altra.
La riscoperta dell’arte
La pittura diventa movimento, a tutti gli effetti. Quello del colore, delle linee, della tela, ma anche il tuo, quello delle tue mani curiose, che possono agire su qualcosa che ti è stato insegnato a guardare soltanto, da lontano, sotto riflettori magari inadatti a mostrare la bellezza o le pure caratteristiche di un quadro, in fila dietro ad altre schiene, ad altri visi protesi, oppure dal basso, alla disperata ricerca di uno zoom per raggiungere un affresco riservato alla volta di un ambiente troppo grande per il tuo paio d’occhiali.
Ricevere un oggetto artistico e farlo proprio è una sensazione che raramente si prova, al giorno d’oggi. Quando succede, si tratta di una stampa, di una riproduzione, di una fotografia, di un file .psd o di qualche altra tipologia d’estensione. Di rado si tratta di una realizzazione concreta, che fa capolino da una cartella recapitata via posta e consegnata con un mezzo già in progressivo disuso.
Non ho un messaggio o una conclusione da allegare davvero a queste riflessioni: solo un piccolo semino d’esperienza, di sorpresa mista a gratitudine, e di sincero affetto verso chi ha speso parte del suo tempo a realizzare, dedicare e far consegnare un – neanche piccolo – saggio di sé ad una persona ancora mai incontrata.
Immagine di copertina a cura dell’autrice