La vittima ai tempi dei social network

Da appassionato e studioso di temi legati alla criminalità e al diritto, mi sento di esprimere alcune considerazioni sulla vicenda dei fatti di Palermo, oggetto di discussione negli ultimi giorni; in cui una ragazza è stata vittima di una violenza sessuale di gruppo. Innanzitutto, vorrei sottolineare lo scarso livello del giornalismo giuridico: si trovano articoli scritti in modo confusionario e poco comprensibile, il che è davvero deplorevole.

Non vi è alcun dubbio che siano stati commessi una serie di reati di una gravità indicibile. Tuttavia, come spesso accade, siamo testimoni di retroscena sociali profondamente inquietanti.

La vicenda

Ho letto che la ragazza, vittima della violenza, sarebbe stata in realtà consenziente a causa di un flirt con uno degli aggressori. Inoltre, sembrerebbe che dopo l’incidente avrebbe condiviso su Instagram storie in cui appariva abbracciata al presunto aggressore, esprimendo affetto per lui. Si dice anche che sia stata lei stessa a suggerire di fare qualcosa in gruppo e che avesse bevuto ingenti quantità di alcol. Tuttavia, questi dettagli sembrano voler screditare la vittima introducendo informazioni mediaticamente poco rilevanti.

Foto di Luisella Planeta LOVE PEACE 💛💙 da Pixabay
Notizie irrilevanti

È importante notare che, indipendentemente da questi retroscena, la questione centrale è la concretizzazione di una violenza sessuale di gruppo. Il fatto che la vittima abbia inizialmente dato il consenso o che abbia avuto interazioni precedenti con uno degli aggressori non elimina la questione che il consenso deve perdurare durante l’intero atto.

Inoltre, anche se ci fosse stata l’iniziativa di fare qualcosa in gruppo, va tenuto presente che una persona in uno stato alterato dall’alcol non è in grado di prestare un consenso valido. Pertanto, in qualsiasi prospettiva si analizzi la situazione, sembra che ci sia stato comunque un reato.

I tentativi di delegittimare la vittima appaiono come un’azione ingiustificata e crudele, che può essere interpretata come un tentativo di ridurre l’importanza del reato commesso. Questi sforzi sembrano solo alimentare un voyeurismo morboso e volgare, piuttosto che cercare di comprendere e affrontare seriamente la questione della violenza sessuale subita dalla vittima.

La scarcerazione

Si è anche riportato che uno degli indagati sia stato inaspettatamente scarcerato perché ha confessato il delitto e quindi premiato. Nulla di più falso; questo evento dimostra ancora una volta la scarsa competenza dei giornalisti che non sembrano avere una reale conoscenza di ciò che scrivono. L’indagato scarcerato era minorenne al momento della commissione del reato. Ora, nonostante sia diventato maggiorenne, è previsto un procedimento minorile che segue regole leggermente diverse da quelle del procedimento ordinario. Va sottolineato fin da subito che l’applicazione di una misura cautelare dipende da alcune questioni preliminari. Questo perché il processo non è ancora iniziato e nessuna condanna è stata emessa. In questa fase, l’obiettivo è semplicemente soddisfare esigenze procedurali.

Per l’applicazione di una misura cautelare, sono necessari dei presupposti. Oltre ai gravi indizi di colpevolezza, deve esserci un rischio di alterazione delle prove, un pericolo di fuga o la possibilità di una reiterazione del reato. La scelta della misura da applicare deve essere la più adatta a soddisfare la necessità in questione.

Foto di Daniel Bone da Pixabay
Procedimento minorile

Nel procedimento minorile, esiste un ulteriore principio da considerare: il principio di afflittività crescente. Questo significa che il giudice applica innanzitutto una misura che ha un impatto minore sulla libertà personale, con l’idea che, se necessario, si possa procedere a una misura più restrittiva. Tuttavia, anche il collocamento in comunità rappresenta una misura piuttosto significativa nel contesto del processo minorile. In realtà, tale misura è volta a soddisfare esigenze educative e formative, tanto è vero che il giudice prescrive obblighi specifici e obiettivi in questo senso.

Pertanto, non è completamente corretto affermare che “la giustizia italiana non funziona, perchè è stato subito scarcerato“, poiché ciò rappresenta effettivamente un processo di sottoposizione a misura prevista dalla legge.

Pornografia dell’orrore

Si è assistito in questi giorni a una vera e propria pornografia dell’orrore. L’insolenza di certi giornali nel pubblicare i racconti della vittima, le intercettazioni e le chat – qualsiasi cosa potesse umiliare la vittima – è simile a ciò che si osserva in paesi del terzo mondo, ma sicuramente non si addice a uno Stato liberale come quello in cui dovremmo vivere. In mezzo a tutto questo, come si può sperare di assistere la vittima nel suo percorso di uscita dalla vittimizzazione, che purtroppo persiste a causa di questa seconda vittimizzazione? Come possono le vittime di un reato così grave essere incoraggiate a denunciare se sanno che poi saranno sottoposte a una così intensa violazione della privacy?

La gogna mediatica

E non fermiamoci qui, perché c’è anche lo spiattellamento dei profili social degli indagati. In questo modo, essi perdono ogni forma di garanzia, persino umana, che dovrebbe essere presente in uno Stato di diritto. E a complicare ulteriormente la situazione, un omonimo di uno degli indagati, residente nella stessa città, è stato oggetto di minacce e insulti continui. Questa persona innocente è costretta a rinchiudersi in casa per paura, una vittima di circostanza che, scambiata per l’aguzzino sta subendo gravi danni.

Mettere alla gogna gli aguzzini significa anche mettere in pericolo la vittima, poiché riportare i dettagli dell’accaduto e i nomi e i volti degli indagati può portare all’identificazione della vittima stessa. In un momento di tale fragilità, è importante che rimanga anonima e al riparo da tutta una serie di esposizioni sociali e mediatiche.

Considerazioni criminologiche

Un piccolo appunto criminologico: in letteratura, distinguiamo tra prima, seconda e terza vittimizzazione (unicamente secondo alcuni autori). La prima rappresenta l’impatto iniziale di aver subito un reato (semplificando la questione); la seconda, più interessante, comprende tutte le conseguenze successive legate a essere vittima di un reato. Anche il semplice ricordo dell’evento può infliggere un grande dolore alla vittima. Tuttavia, ciò che crea ulteriore sofferenza è il trattamento da parte dei terzi, che siano membri della comunità o professionisti incaricati di assistere la vittima. Se questo trattamento avviene in modo superficiale o colpevolizzante, l’effetto è amplificato. Ora, immaginate cosa significhi per la vittima leggere articoli di giornale, commenti e post sui social media. Questa seconda vittimizzazione ci porta naturalmente alla terza.

Foto di WOKANDAPIX da Pixabay
Terza vittimizzazione

La terza vittimizzazione, inizialmente, rappresenta un senso di insoddisfazione e frustrazione che la vittima sperimenta nel caso in cui non si raggiunga una giustizia adeguata. In questa prospettiva, andrebbero interpretati i titoloni riguardanti la scarcerazione di uno degli indagati. Giornalisti seri e divulgatori del diritto seri dovrebbero spiegare, piuttosto che sfruttare l’onda mediatica per ottenere like o follower in più, le ragioni che hanno portato il giudice a tale decisione. Questo, perlomeno, potrebbe attenuare la cosiddetta terza vittimizzazione. Tuttavia, la terza vittimizzazione non riguarda solo la giustizia. Alcuni autori collegano una serie di emozioni negative anche all’interferenza nella privacy della vittima. Durante il procedimento legale, la vittima è inevitabilmente esposta a indiscrezioni provenienti dai media e dal sistema giudiziario. Questo è un effetto quasi inevitabile, poiché, trovandosi nella posizione di aver denunciato, deve affrontare una sorta di processo stragiudiziario mediatico.

Lo Stato di diritto

Sul tema dell’interferenza dei media, concludo questo lungo articolo per sottolineare la necessità di rivedere alcune pratiche giornalistiche. Al posto di fornire informazioni accurate ai cittadini, talvolta si mira all’interazione e al guadagno economico. Invece di considerare la protezione della vittima, si preferisce esporla alla società. In alcuni casi, sembra che si sospenda lo Stato di diritto per mettere gli indagati alla gogna. Inoltre, alcuni divulgatori scelgono di enfatizzare con mezze verità per accontentare i propri seguaci, piuttosto che esporre argomenti e questioni con razionalità. Questo approccio, anziché informare, contribuisce alla distorsione dei fatti a danno delle vittima.

In copertina Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Sono nato a Brescia nel 1994. Laureato in Giurisprudenza, lavoro in banca, pratico Muay Thai, mi interesso di criminologia, diritto, economia, storia e cinema. Scrivo per diletto, per passione e offrire un punto di vista personale rispetto a quello che ci circonda.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.