Le tre età della quarantena #3: Il vecchio Tuttobene

«Leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore.» I. Calvino

Non vorrei sollevare inutili questioni di diritti d’autore ma “Andrà tutto bene” l’avevo detto io prima che andasse di moda. L’ho detto a mio figlio Andrea, a mio nipote Emilio, a mia nuora, alle infermiere (che però mi guardano come se fossi un vecchio rincoglionito! Mi offendono: non sono vecchio!). 

Photo by Crawford Jolly on Unsplash

Quand’ero piccolo guardavo agli anziani come a creature extraterrestri provenienti da un pianeta in cui si nasceva così: incartapecoriti– se m’avessero detto che sarei diventato uno di loro probabilmente sarei scoppiato a ridere. Invece l’età mi ha recapitato quello stesso kit che avevano anche quegli uomini lì: gli occhiali da vicino e da lontano, due chiazze di bianco ai lati della testa, una prostata dallo spiccato senso dello humor. Ed infine, solo in ultima istanza, una pandemia.

Da quando mia moglie Elena ha preferito l’altro mondo a questo, ho deciso di ritirarmi io stesso in una casa di riposo, in realtà per ottenere l’opposto del riposo: un frullio di neuroni che in casa mi mancava. Qui si gioca a carte, a scacchi, si leggono anche dei libri interessanti. Ed infine, solo in ultima istanza, ci si contagia infezioni broncopolmonari. Ma andrà tutto bene, sto bene, state tranquilli. 

Photo by Matthew Bennett on Unsplash

Sospettano di Sandro, poveretto, domani gli faranno un tampone. Sua nipote telefona ogni giorno e gli infermieri rispondono sempre meno al telefono; a ognuno il suo mestiere: lei si preoccupa, loro si occupano.
È una rete di sospetti: la nipote sospetta e teme di essere stata lei a contagiare Sandro, che neanche si sa se è contagiato, perché anche per lui, fino a domani, ci saranno solo sospetto e timore.

Noi altri intanto facciamo quello che lo Stato ci chiede: arrenderci alla nostra palese inutilità sociale. Certo, la novità è che dobbiamo anche essere inutili ognuno per i fatti suoi, ma ci eravamo abituati. Ad una certa età impari essere un buon compagno di te stesso, e ti convivi placidamente. 

Photo by Cristian Newman on Unsplash

Davanti ai nostri occhi si è srotolato così spesso il rotocalco sempre uguale delle guerre, delle malattie, delle carestie, delle conseguenti crisi e conseguenti inasprimenti sociali, e poi lo stupefacente trionfo di quello che appare giusto e bello. C’eravamo, negli anni Sessanta, e stavano tutti come starete voi giovani quando il mondo guarirà. 

Respirerete un’aria che vi sembrerà fresca e nuova. E lo sarà, ma soltanto per voi che sarete felici di respirarla. Sì, perché noi la sappiamo la verità: è aria vecchia. Quegli atomi sono lì da milioni di anni ed hanno attraversato chissà quanta materia, chissà quante narici prima delle vostre. Quindi non stupitevi del nostro non-stupore, non è arrendevolezza né menefreghismo, è sorvolare sul problema, guardarlo dall’alto, poggiarvisi sopra a piacimento, svolazzare via, godersi la panoramica. 

Photo by Colin Moldenhauer on Unsplash

Quando vi diciamo che dovete godervi la vita lo facciamo essenzialmente perché ne abbiamo compreso le regole, e sappiamo che la vita vorrebbe che fossimo felici a comando. Che esultassimo nelle condizioni più prospere e piangessimo in quelle disperate, perché così va il mondo. Ma a furia di vederlo andare, il mondo, uno s’accorge che il suo ruotare è più monotono di quanto appaia in questo gioco dinamico, e allora si ferma e resta se stesso, una volta per tutte. Ed è lì che può scegliere di perdersi o meno. Io sono salvo ormai da anni, perché salvezza è spremere quell’ultima goccia di buono che ti rimane. Anche quando sembra non essercene, c’è.

– Sandro, come stai?
– Bene, Ettore, bene! Non ho niente!
– Ah, e che t’avevo detto?
– “Andrà tutto bene”, e così è stato! E tu, come stai?
– Sai Sandro, ho sempre detto di essere un uomo molto… positivo…

(Immagine di copertina: photo by Aziz Acharki on Unsplash )

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