Il sistema elettorale americano: vera o finta democrazia?

Elezione indiretta, grandi elettori, Stato federale: tutto chiaro? Ecco il nostro spiegone su come si elegge il presidente degli Stati Uniti.

Cogito et Volo dedica alle elezioni presidenziali statunitensi uno speciale con approfondimenti sul sito e contenuti extra su Instagram e Facebook. Esploreremo le principali tematiche della campagna elettorale in corso, vi guideremo nella sfida tra Biden e Trump e commenteremo i risultati e le conseguenze, per l’America e per il mondo. Qui trovate tutti gli articoli già pubblicati.

Martedì 3 novembre, gli statunitensi voteranno per eleggere il 46esimo presidente della Repubblica. I due maggiori candidati sono il repubblicano Donald Trump, repubblicano e presidente uscente, e Joe Biden candidato del Partito democratico. Ne approfittiamo per cercare di approfondire come funzioni il sistema istituzionale ed elettorale degli Stati Uniti e per cercare di rispondere alla domanda se si tratti veramente di uno Stato democratico o meno.

La forma di governo

Gli Stati Uniti sono una Repubblica federale composta da un insieme di cinquanta Stati, vi è quindi uno Stato centrale e poi singoli Stati federati.

Gli Stati Uniti hanno una forma di governo particolare – quella presidenziale – che si contrappone, anche nel dibattito giuridico politico, alla forma di governo parlamentare, attualmente in uso in Italia. Cerchiamo di capire quali sono le differenze.

La forma di governo indica quale rapporto intercorre tra gli organi costituzionali dello Stato. A questi organi sono attribuiti i poteri pubblici, organi quali le camere, il governo, il capo dello Stato.

Nel presidenzialismo, il potere esecutivo è attribuito al presidente della Repubblica, ossia il capo dello Stato. L’estrinsecazione di questo potere si manifesta con la conduzione dell’amministrazione statale, della politica estera e delle risorse finanziare da destinare ai vari ambiti della politica. Il presidente è eletto sostanzialmente in maniera diretta dai cittadini, anche se negli Stati Uniti si tratta formalmente di una elezione indiretta, il voto avviene attraverso i cosiddetti grandi elettori, delegati dal corpo elettorale.

Bandiera degli Stati Uniti: ogni stella rappresenta uno Stato. Foto a cura di pixabay.com

Il potere legislativo è invece attribuito alle camere elette direttamente dai cittadini. Un aspetto molto importante è poi quello del rapporto tra i due poteri, esecutivo e legislativo. Siccome i due organi, presidente e camere hanno una diversa legittimazione elettiva, godono di una separazione di funzioni e indipendenza. Le camere non possono sfiduciare il presidente e il presidente non può sciogliere le camere, questo significa che nessuno può condizionare la volontà dell’altro.

È importante capire quale forma di governo adotta uno Stato perché influenza il sistema elettorale e politico del paese.

Gli organi degli Stati Uniti fondano la loro legittimazione e attribuzione di poteri dalla convenzione di Philadelphia (1787), redatta in seguito alla rivoluzione americana. Abbiamo due camere, il Senato che dura in carica sei anni e la Camera dei rappresentanti, eletta ogni due anni. Le camere svolgono funzioni simili, soprattutto per quanto riguarda la questione legislativa: tutti gli atti devono essere approvati da entrambe con la medesima forma, nonostante abbiano una base elettorale e una durata diversa. La Camera dei rappresentanti è composta da 438 membri, mentre il Senato da 100 (due rappresentanti per ogni stato) e sono elette entrambe direttamente dai cittadini. La particolarità del Senato è che ogni due anni si rinnova per 1/3 dei membri. Il presidente della Repubblica rimane in carica 4 anni ed è rieleggibile solo per una volta. Il presidente firma le leggi e le rende esecutive, ma ha anche il diritto di veto e quindi può rimandare una legge alle camere per farla riesaminare.

Il sistema elettorale

Negli Stati Uniti il sistema elettorale è maggioritario a turno unico con collegi uninominali, questo significa che il candidato più votato nel collegio ottiene tutti i seggi. Nel nostro caso, il candidato ottiene tutti i grandi elettori dello Stato.

La prima fase delle elezioni americane consiste nelle cosiddette primarie, si tratta di una fase che non ha una regolamentazione costituzionale, ogni partito si dà regole proprie. Le primarie servono a designare il candidato presidente di ciascun partito. In generale, gli iscritti di ogni partito eleggono dei delegati che successivamente alla convention del proprio partito eleggeranno il candidato alla presidenza.

Dopo che ogni partito ha scelto il proprio candidato presidente e dopo la campagna elettorale, si tiene la votazione vera e propria per l’elezione del presidente della Repubblica.

Ogni Stato ha regole diverse che regolamentano il diritto di voto, ma solitamente basta essere cittadini americani ed avere una certa età che varia da Stato a Stato, risiedere nello Stato in cui si deve votare da almeno un certo numero di anni. Ogni Stato ha le proprie regole anche per la tipologia e le tempistiche del voto: ci sono Stati che già a settembre iniziano a votare, Stati in cui è previsto il voto per corrispondenza, per posta, la possibilità di votare a casa o nella cabina elettorale. Questa enorme diversità è un indice di come il voto in realtà non possa essere omogeneo. Tra le difficoltà di voto e le pressioni che si possono subire a livello familiare (con il voto in casa) o locale (il voto per posta o in presenza) e la scarsa affluenza da parte degli elettori (soltanto la metà del corpo elettorale si reca effettivamente a votare), risulta sicuramente incerta una vera manifestazione della volontà popolare.

Diversamente dall’Italia, per poter votare bisogna iscriversi da soli alle liste elettorali. Non è un procedimento automatico, anzi spesso questa procedura è difficoltosa ed influisce sull’affluenza generale alle votazioni.

Per concorrere alle elezioni sia come presidente che come rappresentante bisogna avere una disponibilità economica elevata, per questo molti candidati ricevono dei finanziamenti sia da aziende sia da privati, cosa che può nettamente influenzare sia il voto degli elettori che l’indipendenza stessa degli eletti.

Il presidente viene eletto attraverso i collegi elettorali dai cosiddetti grandi elettori, che sono 538 in tutto. L’elezione è quindi indiretta. I cittadini esprimono una propria preferenza nel loro stato di appartenenza, ogni stato ha un numero di grandi elettori in maniera più o meno proporzionale rispetto al numero di abitanti, chi riceve più voti nello Stato ottiene tutti i delegati. Il candidato che riceve almeno 270 voti da parte dei grandi elettori, diventa presidente. Nel caso in cui nessun candidato raggiunga la maggioranza, sarà la Camera dei rappresentanti a sceglierlo, mentre il Senato sceglierà il vicepresidente. Questo sistema è un maggioritario puro perché basta avere la maggioranza dei voti, anche risicata, rispetto agli altri candidati, per poter avere il voto favorevole da parte di tutti i grandi elettori dello Stato che hanno l’obbligo di votare il candidato che ha vinto. Con questo sistema possono verificarsi anche situazioni in cui il vincitore ottenga a livello nazionale un minor numero di voti, ma la vittoria come presidente perché ha complessivamente ottenuto più grandi elettori. È quello che successe nel 2016, quando Hillary Clinton ottenne circa tre milioni di voti in più rispetto al suo sfidante, Donald J. Trump, che pure vinse conquistando più grandi elettori. Questo sistema chiaramente può non rispecchiare la volontà dei voti degli americani.

La distribuzione dei grandi elettori per ogni Stato american. Infografica a cura di Wikimedia.

In contemporanea con le elezioni presidenziali si vota anche per 1/3 dei senatori e per la totalità della Camera dei rappresentanti.

Questo sistema elettorale fa si che la maggior parte della campagna elettorale di un candidato si concentri negli Stati (California, Florida, Illinois, Michigan, Ohio, Pennsylvania, New York, Texas) che esprimono il maggior numero di grandi elettori, poiché basterebbe vincere in alcuni stati chiave per ottenere la vittoria.

In realtà il numero di grandi elettori non è distribuito in maniera equamente proporzionale tra i vari stati perché ogni Stato ha diritto ad almeno 3 grandi elettori. Questo fa si che il rapporto tra numero di cittadini e numero di delegati sia totalmente diverso, a volte triplicando anche il peso di uno Stato rispetto a un altro.

Il sistema elettorale americano, oltre ad una incertezza in merito alla volontà popolare, ha creato un assetto politico bipartitico che dura da secoli data la maggior importanza di ottenere i seggi rispetto al numero di voti.

Il bipartitismo

Negli Stati Uniti i partiti non sono propriamente come li intendiamo noi europei. In Europa esistono una pluralità di partiti ed ogni partito incarna una propria ideologia. Viceversa nel sistema politico americano esistono sostanzialmente solo due partiti quello repubblicano e quello democratico. In realtà ne esisterebbero altri (ad esempio i libertari o il Partito verde), ma solo i primi due hanno la possibilità di vincere le elezioni esprimendo il proprio candidato presidente della Repubblica e i propri rappresentanti nelle assemblee. I due partiti maggiori sono stati caratterizzati da una diversità ideologica molto ampia nel corso della storia. Esiste una frammentarietà diffusa che porta ad avere all’interno dello stesso partito figure contrastanti, questo è dovuto principalmente ad una leadership incoerente nel corso della storia dei partiti e al fatto che a livello locale non esiste una gerarchia interna, un’organizzazione e un’ideologia omogenea. Sostanzialmente ogni volta che vi è un diverso candidato alla presidenza della Repubblica, il partito assume la sua propria connotazione ideologica.

Il simbolo del Partito repubblicano. Foto a cura di pixabay.com.

Ormai è chiaro perché esistono praticamente solo due partiti negli Stati Uniti: le possibilità di venire eletti aggregandosi ad un grosso agglomerato storico sono maggiori. Se pensiamo che il sistema elettorale premia chi arriva primo anche di pochissimo, mentre gli altri vengono esclusi e non ottengono nulla, sarà più utile cercare di unire, anche se in maniera frammentata, in un unico gruppo tutte le risorse per cercare di vincere.

Il precedente Trump vs Clinton

Quattro anni fa ha fatto scalpore la vittoria di Donald J. Trump alle presidenziali statunitensi. In quelle elezioni la candidata democratica Hillary Clinton prese circa 66 milioni di voti, mentre Trump, candidato repubblicano 63 milioni. Questo dato, alla luce di ciò che è stato detto in precedenza, non deve sorprenderci: il sistema elettorale americano è basato sui grandi elettori, il candidato che arriva primo in uno Stato conquista tutti i seggi, di conseguenza un numero di voti in meno, anche significativo, su scala nazionale può comunque decretare la vittoria, qualora si sia riusciti ad ottenere la maggioranza in alcuni Stati chiave. Il secondo dato però che deve farci riflettere è quello dell’affluenza al voto. Infatti, a votare è stato circa il 55% degli aventi diritto al voto: questo significa che Trump è riuscito ad ottenere la vittoria con il sostegno di circa il 25% degli americani.

Il presidente in carica degli Stati Uniti, Donald J. Trump, foto a cura di pixabay.com.

Conclusioni

Spesso quando si parla di democrazia si pensa subito agli Stati Uniti, il paese democratico per eccellenza, talmente democratico da esportare questa filosofia politica anche in altri Stati del mondo che presentano degenerazioni istituzionali o dittature. In Italia spesso si chiede di trasformare la nostra Repubblica parlamentare in presidenziale, considerandola la panacea di tutti i mali, perché apparentemente garantisce governabilità e stabilità nel paese. Se questo può essere in parte vero, dobbiamo considerare il dato della rappresentatività e della democraticità del sistema americano. Abbiamo potuto vedere che esistono sostanzialmente solo due partiti molto grandi e molto frammentati, che per poter vincere riuniscono sotto la stessa bandiera ideologie e personalità totalmente differenti. Questo fa si che anche l’elettore stesso si possa trovare in difficoltà nel momento del voto non avendo chiarezza di ciò che sta per votare. Se consideriamo anche la scarsa affluenza e la possibilità per un candidato di vincere le elezioni con il consenso di una percentuale molto bassa della popolazione, possiamo davvero parlare di democrazia?

Gli Stati Uniti chiaramente non sono l’Europa, molte cose ci sembrano bizzarre e assurde, apparentemente abbiamo due concezioni molto diverse di cosa significhi democrazia. Sicuramente una scarsa affluenza, un’ingerenza importante da parte di aziende e privati nelle dinamiche di partito e dei singoli candidati, la frammentarietà dei partiti e l’incertezza del voto non possono considerarsi elementi favorevoli a una piena democrazia.

In copertina gli Stati Uniti fotografati dai satelliti della Nasa, tratta da Unsplash.

Sono nato a Brescia nel 1994. Laureato in Giurisprudenza, lavoro in banca, pratico Muay Thai, mi interesso di criminologia, diritto, economia, storia e cinema. Scrivo per diletto, per passione e offrire un punto di vista personale rispetto a quello che ci circonda.

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