Una Casa fatta di alba, una storia fatta di America

«Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via» (La luna e i falò, Cesare Pavese)

Casa fatta di alba di Scott Momaday è il primo romanzo di un nativo americano ad aver ottenuto il premio Pulitzer. Insignito del famoso premio nel 1969, nel 2022 il romanzo è riproposto da Edizioni Black Coffee in una nuova traduzione.

È un romanzo di nativi, di riti, di tradizioni, di pueblos. Ma Casa fatta di alba è anche un romanzo di guerra, delle sue conseguenze sugli indiani scissi tra la modernità bianca e la fedeltà alle loro radici, tra città e villaggio.

Casa fatta di alba - N. Scott Momaday - copertina
Credits: ibs.com

La trama

Abel è un abitante del Jemez Pueblo, villaggio di nativi nel New Mexico, dove ritorna dopo aver prestato servizio nell’esercito durante la seconda guerra mondiale. Ad accoglierlo il nonno Francisco, detentore delle più antiche tradizioni del suo popolo. Presto Abel si trasferisce a Los Angeles, cerca la vita in città e incontra altri due nativi di tribù diverse, un Navajo e un Kiowa. Alcolizzato ed emarginato da un’America che lo aiuta solo in apparenza, Abel deciderà il suo futuro: ritornare alla riserva dove è nato. La storia di Abel rispecchia la realtà: i veterani di guerra nativi americani che hanno provato ad assimilarsi con i bianchi sono molti, e molti, nel fallimento, hanno scelto come via di salvezza il ritorno.

man in white and black shirt
Credits: Boston Public Library on Unsplash

Il silenzio

Sin dalle prime righe del romanzo ci troviamo avvolti da un’atmosfera misteriosa, enigmatica. Siamo immersi nello spazio infinito, tra montagne, canyon e vaste pianure che circondano il Jemez Pueblo, villaggio di nativi. Gli indiani, i Lunghicapelli, come riporta il titolo del primo capitolo, compiono ancora le loro tradizioni e i loro riti, l’agricoltura, la caccia alle aquile, la corsa. Nei grandi spazi del New Mexico appare Abel, il protagonista, e con lui il nonno Francisco.

La figura di Abel è intrisa di silenzio che penetra nei primi capitoli grazie alla scrittura sapiente e a tratti lirica di Momaday. Il rumore del fiume, il grido delle aquile e dei coyote si infiltrano nelle rocce dai canyon mentre un narratore in terza persona segue i personaggi. I dialoghi centellinati danno voce per lo più ai due personaggi non nativi del primo capitolo, Angela e Padre Olguin. Abel invece non parla quasi mai.

Nei giorni successivi aveva provato a parlare col nonno, ma non gli era riuscito di dire ciò che voleva; aveva provato a pregare, cantare, a reinserirsi nell’antico ritmo della sua lingua, ma ad esso non era più accordato.

Casa fatta di alba, Scott Momaday, pagina 18
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Credits: Boston Public Library on Unsplash

Abel, scosso dal dramma della guerra ma anche scisso tra due identità, tra mondo moderno conosciuto con la guerra e tradizione nativa, appare silenzioso perché incapace di esprimersi. Al contrario, Ben Benally, amico che Abel incontra a Los Angeles sette anni dopo l’inizio della narrazione, è la voce adatta a raccontare Abel. Anch’egli nativo uscito dalla riserva, conosce il dramma dell’assimilazione. La sua voce prova a mettere in fila il vissuto di Abel e dà una spiegazione ai suoi comportamenti. Ben dice di Abel quello che Abel stesso non è capace di comunicare.

Ti devi abituare a tutto, sai; è come ricominciare in un posto dove non sei mai stato, e non sai dove stai andando… e non ti possono aiutare perché non sai come parlare con loro. Loro hanno tante parole, a tu sai che significano qualcosa, ma non sai cosa, e le tue di parole non vanno bene perché non sono le stesse…

Casa fatta di alba, Scott Momaday, pagina 179
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Credits: Boston Public Library on Unsplash

Un palazzo minimalista progettato dal più fine architetto

Scott Momaday riesce a concentrare un argomento vastissimo e colmo di sfumature in un romanzo di poco più di duecento pagine. La sua opera è come un palazzo moderno in stile minimalista: la sintassi è semplice e paratattica, ma le fondamenta sono sapientemente studiate. Momaday dà al lettore i codici per decifrare la tradizione nativa ma lo lascia anche cogliere senza dire, immaginare senza descrivere.

La storia di Abel, infatti, viene fuori poco a poco, intrecciata a quella del suo popolo e alla natura. La narrazione è frantumata in continui rimandi nello spazio e nel tempo che simulano l’animo scisso di Abel e la lenta azione della mente: i ricordi della guerra affiorano disordinati così come i pensieri interrotti e ripresi pagine avanti, senza rispettare la progressione logica del discorso.  

Anche i punti di vista cambiano. La maggior parte del romanzo è narrata in terza persona mentre il terzo capitolo, Il cantore notturno, è narrato in prima persona da Ben Benally. La prima persona permette a Ben di diventare voce che spiega dopo l’enigmatico silenzio dei primi capitoli. È voce chiara che finalmente ricuce i fili spezzati dei ricordi di Abel e svela l’enigma della sua personalità.

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Credits: Boston Public Library on Unsplash

Una casa fatta di alba

Casa è il luogo di ritorno, il luogo sicuro dove ognuno sa di poter tornare in qualsiasi momento. Abel sceglie la sua casa nel suo villaggio, il Jemez Pueblo. Il suo ritorno fa venire in mente le parole di Pavese:

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti

La luna e i falò, Cesare Pavese

La frase di Pavese è significativa del ritorno di Abel al suo villaggio. Tuttavia, Casa fatta di alba è il titolo di un canto navajo che Ben insegna ad Abel. Questo canto non rimanda all’infanzia di Abel e neanche direttamente ai suoi ricordi del Jemez Pueblo. Il canto, che nella sua poesia dà lustro alla tradizione Navajo, quindi nativa, non è tuttavia la casa natale di Abel. La decisione di Abel di fare proprio questo canto non è solo segnale di ritorno ma anche di rinascita. La casa non è solo infanzia, ma anche esperienza, incontro e accettazione. Abel, cantando Casa fatta di alba, trova casa non solo nel suo villaggio, ma anche nell’amico stesso che l’ha aiutato a rinascere.

Bibliografia:

Casa fatta di alba. N. Scott Momaday, 2022, Black Coffee Edizioni. Prima edizione americana 1968.

La luna e i falò. Cesare Pavese, 1950.

(Immagine di copertina)

Articolo a cura di Anna Lorenzon

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