Avocado: non è oro tutto quello che luccica

Avocado mania: in cucina, dall’estetista, sulle t-shirt. L’oro verde è onnipresente: ma qual è il prezzo che questo superfood ci costringe a pagare?

Ricco di fibre e acido oleico omega 9 (lo stesso grasso monoinsaturo dell’olio E.V.O.), con abbondanti percentuali di potassio, magnesio, zinco, manganese e fosforo, l’avocado ha scalato negli ultimi decenni la vetta dei superfood. Grazie alla cospicua presenza di vitamina B5B6, K, E, C e folati compare ormai sui piatti di tutte le principali star del web, conquistandosi il titolo di frutto preferito dai Millenials.

Ma non ci si ferma alla cucina: l’olio di avocado grazie alle proprietà nutrienti e rigeneranti viene spalmato indiscriminatamente su viso, corpo e capelli, occupando una posizione di privilegio pure nella cosmesi.

Tuttavia, qual è il prezzo che l’avocado mania ci costringe a pagare?

Quando tutto ebbe inizio

Il termine avocado deriva dallo spagnolo aguacate, a sua volta adattazione del termine azteco ahuacatl (‘testicoli’), riferimento esplicito all’abitudine di crescere in coppia che questi frutti hanno.

Immagine a cura di Jonathan Kabugo su Unsplash

Nonostante la comparsa dei primi esemplari nel vecchio continente sia datata al 1601, l’oro verde non ottenne popolarità fino ai primi del ‘900. In quel periodo, una campagna pubblicitaria intenta a presentarlo agli occhi del grande pubblico come prelibatezza ad esclusivo appannaggio degli aristocratici portò notorietà all’avocado.

Con la fondazione nel 1950 della California Avocado Association, la produzione massiccia partì raggiungendo il picco con le grandi migrazioni degli anni ’60. Gli immigrati provenienti dall’America latina, portando con sé la passione per il loro frutto nazionale, diedero un’ulteriore spinta ai consumi.

Dopo una provvisoria uscita di scena negli anni ’80, quando grasso era tabù, l’avocado riconquistò notorietà con l’avvento dei Millennials (i nati negli anni ’90). Ulteriore incentivo all’impiego culinario lo diede la politica. Nel 2005 fu sospeso il divieto d’importazione dal Messico negli USA, durato quasi novant’anni, introdotto per prevenire invasioni parassitarie. La maggiore accessibilità al prodotto contribuì all’incremento delle vendite, fino ad assistere negli ultimi due decenni a una triplicazione del consumo pro capite statunitense.

Anche in Italia si può osservare un trend analogo. La moda del frutto verde ha portato nel biennio 2018-19 a un aumento del 102% del consumo rispetto a quello 2015-16.

Oggi si stima che il mercato internazionale dell’avocado valga 5.6 miliardi $ annui. Marcato che non sembra intenzionato a rallentare.

Avocado l’assetato

La prima parola che salterebbe fuori dalla bocca di un agricoltore se gli diceste «avocado» sarebbe sicuramente «acqua». Perché di acqua ne serve molta, anzi, moltissima. Rappresentando uno dei raccolti più assetati, sono necessari circa 2.000 litri d’acqua per produrre 1kg di questi frutti. Quattro volte l’acqua necessaria per produrre la stessa quantità di arance e dieci volte quelle utilizzata per ottenere 1kg di pomodori.

Ma la stima non può essere fatta con esattezza: se si prendono in considerazione zone particolarmente aride, come come la provincia di Petorca in Cile, allora il bilancio cresce vertiginosamente. Un ettaro di piantagione richiede 100.000 litri d’acqua al giorno (equivalente a quello che sarebbe il consumo quotidiano di mille persone).

Acqua necessaria per unità. Fonte: old.danwatch.dk

Nonostante questo, proprio dalla regione di Valparaiso, dove è situata Petorca, proviene il 67% degli avocado cileni destinati all’esportazione.

Un’inchiesta datata 2011, condotta dalla Dirección General de Aguas (l’autorità cilena preposta al controllo dell’acqua), ha mostrato la presenza di almeno 65 canali abusivi per il trasporto dell’acqua dai fiumi alle piantagioni private.

A causa di queste pompe illegali, gli abitanti autoctoni sono costretti a ricevere acqua mediante camion cisterna, poiché il territorio ormai è troppo arido e i fiumi prosciugati. Ma l’oro blu così recapitato lascia molto a desiderare. Nel 2014, uno studio commissionato dal sistema rurale dell’acqua potabile (APR) di San José, ha rilevato livelli di coliformi (gruppo di batteri fecali) molto superiori ai limiti legali.

Purtroppo oltre all’ecosistema, anche il tessuto sociale di Petorca si sta disgregando, con i piccoli coltivatori ed allevatori che abbandonano la zona in cerca di fortuna altrove. A poco servono gli “aiuti alla comunità” erogati dagli stessi coltivatori estensivi: denaro, costruzione di chiese, campi da calcio e centri comunitari non sono in grado di restituire l’acqua rubata.

Avocado messicano: tra emissioni e cartelli

L’acqua non è l’unico problema riguardante il frutto della generazione Y. Anche l’impronta ecologica non si può dire motivo di vanto. Si stima che una confezione contenente due piccoli avocado porti con sé 846,36 grammi di CO2 (quasi il doppio dei 480g prodotti da 1kg di banane). Questo è facilmente spiegato se si prendono in considerazione due aspetti:

  1. I maggiori esportatori sono i paesi del centro/sud America, i quali provvedono per la maggior parte del fabbisogno dell’emisfero boreale.
  2. I frutti, colti ancora acerbi, vengono recapitati presso centri di raccolta nei paesi di destinazione. Qui, in un ambiente riscaldato artificialmente, vengono portati a maturazione perfetta, a prova di consumatore.

Tra i maggiori esportatori si annovera il Messico, con 2,02 tonnellate metriche solo nel 2017. Tuttavia, risulta problematica la provenienza dell’80% di questi avocado: la regione di Michoacán.

Come tutto ciò che muove denaro, anche in questo caso l’attenzione dei cartelli messicani è stata attratta dal superfood e non per i suoi benefici sulla salute. A seguito della lotta al narcotraffico avviata nel 2006 dal presidente Felipe Calderón, i noti criminali hanno iniziato ad infilarsi in ogni genere di settore in grado di arrecare proventi. Dopo un iniziale entusiasmo dei coltivatori, i quali videro assicurarsi sicurezza, terra e risorse da parte dei cartelli (elementi che lo stato non era in grado di garantire), la situazione prese una svolta drammatica. Aumentando progressivamente il pizzo sulle attività, pian piano cessarono di arrivare anche i benefici prima offerti.

Tuttavia, sarebbe ingenuo pensare che smettere di mangiare avocado costituisca una valida soluzione. Il problema dovrebbe essere risolto a monte e non nel carrello di un supermercato.

Immagine a cura di Diana Polekhina on Unsplash

Soluzioni?

Come possiamo fronteggiare tutte le problematiche relative all’oro verde?

La soluzione non è semplice e non proviene da un’unica direzione. Indubbiamente il sostegno dovrebbe essere dato ai piccoli coltivatori scegliendo (per quanto possibile) l’alternativa km zero.

Vale anche in questo caso la regola delle tre ‘S’:

  • Sorgente – informarsi sempre da dove proviene ciò che stiamo consumando;
  • Stagionalità – consumare frutta di stagione significa ridurre notevolmente l’impronta ecologica derivante da trasporti e impianti di riscaldamento;
  • Spreco – bisogna cercare di minimizzare lo sperpero: il miglior avocado è quello che non viene buttato.

In copertina: Photo by Katarina Šikuljak on Unsplash

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Ciò che sappiamo è solo una goccia, ciò che ignoriamo è un oceano. - Isaac Newton

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