Beyond the lyrics: Polly – Nirvana

Se non avete mai sentito almeno una volta nella vostra vita la canzone “Smells like Teen Spirit” allora le opzioni sono due: non siete assidui frequentatori di discoteche oppure non vi è mai capitata tra le mani la maglia con un logo a forma di emoticon sorridente e due X al posto degli occhi.

Quello che la maggior parte della popolazione femminile ha scambiato per l’ultimo brand di vestiti in circolazione non è altro che il nome del più importante gruppo alternative rock della prima metà degli anni ‘90, fondatore di un nuovo genere che in seguito verrà denominato Grunge: Nirvana.

A precedere la fama del gruppo c’è sicuramente quella del frontman, Kurt Cobain, morto suicida a soli ventisette anni e diventato un’icona per milioni di persone in tutto il mondo. È dalla sua geniale penna che è nata Polly, la canzone che oggi andremo ad analizzare.

L’album

Polly è una canzone che pochi conoscono e che si nasconde facilmente tra i colossi di hit quali “Smells Like Teen Spirit” – già citata sopra – “Come As You Are” e “Lithium”, tutti appartenenti al secondo album in studio del gruppo: Nevermind, pubblicato il 24 settembre 1991 per Geffen Records. Album che – al contrario di come dice il suo nome – è importato molto agli ascoltatori di tutto il mondo, tanto da consacrare la band come una delle pietre miliari della storia del rock. Non solo, è stato anche l’album che ha dato il via ad un cosiddetto “cambio generazionale” nel mondo della musica, dal momento che si discostava nettamente da tutto ciò che, fino a quel momento, era mai stato prodotto. Basta pantaloni di pelle, capigliature eclettiche, falsetti fin troppo pronunciati e assoli di chitarra rocamboleschi. La musica di Kurt Cobain & co aveva deciso di portare una rivoluzione al contrario: togliendo al posto di aggiungere, seguendo il motto del less is more. Ecco, quindi, come è nato un nuovo modo di fare musica: semplice ma efficace, dove chitarra e voce fanno da protagonisti, mentre tutto il resto viene lasciato ad un’altra epoca.

Beyond the lyrics

Polly è la sesta, e la più cupa, traccia del disco e per questo può passare facilmente inosservata all’ascoltatore medio, abbagliato da altri pezzi. Si è trattato forse di un moto di pietà che Kurt Cobain ha avuto nei confronti dei suoi fan? Può essere, ma di certo il cantautore non è stato mosso dallo stesso sentimento nel momento in cui ha preso la penna e si è messo a scrivere quello che potremmo definire un flusso di coscienza quasi brutale e che poi si è trasformato nello scheletro e testo della canzone. A differenza delle altre tracce questa è ispirata ad una storia vera, Polly è esistita veramente e questo rende il tutto ancora più emotivamente forte. Intitolata originariamente Hitchhiker (autostoppista) e poi Cracker, fu rinominata Polly nel 1989. Sarebbe dovuto essere presente già nel primo album del gruppo, ma venne scartata poiché ritenuta non in linea con lo stile grunge molto marcato che avevano il resto delle canzoni. Si tratta, infatti, di un brano acustico, accompagnato soltanto da chitarra, basso e voci.

Chi è, dunque, questa famosa Polly? Polly era una ragazzina di 14 anni che nel giugno del 1987, alla fine di un concerto, fu minacciata e costretta con la forza ad accettare un passaggio da Gerald Arthur Friend. Quest’ultimo, stupratore seriale, la legò, la torturò con rasoio e fiamma ossidrica e la violentò più volte. La ragazza, alla fine, riuscì a scappare da quell’inferno, saltando giù dal camion di Friend, mentre i due erano fermi ad una stazione di servizio. Friend venne poi fermato dalla polizia due giorni più tardi, per una violazione dei limiti di velocità. I testimoni, poi, lo riconobbero durante il processo e venne condannato per stupro di minore e tortura a 75 anni di carcere.

Già solo la vicenda in sé fa accapponare la pelle, ma Cobain, non contento del forte messaggio che già avrebbe lasciato trattando una vicenda così delicata, decide di farlo dal punto di vista dello stupratore. È lui, infatti, la voce che ci accompagna nei due minuti e cinquantasette secondi di ascolto.

L’incipit è forse la frase più famosa del testo: “Polly wants a cracker“. Questa è una frase tipica della cultura anglosassone della prima metà del XIX: risalente allo slogan usato dall’azienda americana Nabisco durante il lancio del suo cracker nel 1876. Viene pronunciata anche da Poop-Deck nel libro “L’isola del tesoro” di Lewis Stevenson (1883). Il tipico verso dei pappagalli (“cra”) rimanda alla radice della parola cracker, i semi presenti nel testo (“we have some seed“) possono alludere al cibo per questi animali. Quello che ricorda di più la violenza è il doppio senso dell’immagine (da Bunkum Flag-Staf and Independent Echo, nel giornale “The Knickerbocker”),  in cui un bambino minaccia di picchiare l’uccello con un bastone, esausto per la richiesta del cracker. Viene sfruttata in questo modo la somiglianza tra la parola Cracker e il verbo “to crack” che significa “spaccare”. Per tutto il testo permane la metafora: Polly viene paragonata ad un piccolo ed indifeso volatile intrappolato in gabbia, a cui sono state tarpate le ali, chiaro riferimento al fatto che la ragazza era stata torturata con un rasoio (“Let me clip, your dirty wings“).

Fino a qui, quindi, le dinamiche sono evidenti all’occhio di tutti: Friend è il cattivo e Polly la vittima. Cobain non si riparmia dettagli macabri ed allusioni a sfondo sessuale, scendendo quasi nel grottesco con la frase “I think i should get off her first” (penso che prima dovrei scendere da sopra di lei).
Il ritornello sembra quasi un’accozzaglia di lamentele sadiche che lo stupratore muove nei confronti della vittima. Ovviamente sono le parole di una persona non sana di mente e questo si evince anche dalle frasi brevi, confusionarie e non concettualmente legate tra loro.


L’ultimo verso, invece, sembra rappresentare un turning point all’interno della vicenda, ribaltando completamente le posizioni e rendendo sempre più difficile l’interpretazione del testo. I versi: “È solamente annoiata quanto me”/”Mi ha colto di sorpresa“/”Mi stupisce la forza dell’istinto” potrebbero riferirsi alla cosiddetta Sindrome di Stoccolma, ovvero quel meccanismo per cui la vittima si innamora del suo rapitore, fino a difenderlo disperatamente. Dobbiamo sempre ricordarci, però, che stiamo guardando il tutto con gli occhi dello stupratore e Cobain è geniale in questo. Potrebbe trattarsi, quindi, di una giustificazione che il criminale, nella sua mente malata, sta dando per i suoi comportamenti. Arrivando a pensare che anche la ragazza voglia tutto questo e che, anzi, sia stata proprio lei a costringerlo ad agire così. Per certi versi la Polly qui descritta da Cobain ricorda una sorta di Lolita contemporanea.


La canzone si conclude così, senza una vera e propria conclusione, con il continuo ripetersi di un ritornello che ci porta ad arrivare esausti e svuotati alla fine dell’ascolto, proprio come si deve essere sentita Polly dopo tutto quello che è stata costretta a subire. Un brano di una potenza emotiva indescrivibile, che riesce a coinvolgerci in prima persona in quella che è stata una tragica vicenda e che ci invita a riflettere su una tematica ancora troppo taciuta.

Se Kurt Cobain è riuscito a farlo vent’anni fa, senza peli sulla lingua, dovrebbe farci pensare il fatto che nessuno o quasi ne abbia voluto più parlare mettendo uno stigma su una tematica, quella dello stupro, che dovrebbe essere pane quotidiano dell’opinione pubblica data la sua rilevanza a livello socio-culturale. Purtroppo è pieno di Polly là fuori e noi continuiamo a venire colti di sorpresa – come veniva colto di sorpresa Gerald Arthur Friend del resto – che tali spiacevoli eventi siano all’ordine del giorno.

Elisabetta, per gli amici assolutamente non Betta. Divoro libri a colazione, manuali di Anatomia a pranzo, a cena invece preferisco il cibo vero. Quando non scrivo, penso, quando non penso, scrivo. Credo fermamente nell'esistenza degli universi paralleli, nell'auto-ironia, nei numeri primi, nell'utilizzo corretto della punteggiatura, nel potere della Forza, nel numero 42, nell'equazione di Dirac, negli ossimori e nella serendipità. Mi piace definirmi senza troppe definizioni.

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