“Disegnavo auto che non potevo permettermi”: parola al designer Ferrari

“Quella circostanza la dimensione di quello che ero riuscito a fare: una mia creazione era stata riprodotta in uno di quei kit di montaggio che da piccolo attendevo in regalo con ansia a Natale.”

È stata l’idolo di grandi e piccini: veloce, rossa e con lo stemma del Cavallino Rampante. Si tratta della mitica Ferrari, e a questo proposito Cogito et Volo ha l’onore di intervistare l’artista che ne ha curato l’estetica, il car designer Pietro Camardella.

Photo by Matt Lamers on Unsplash

Ciao Pietro, speravo di non doverlo più chiedere ad un intervistato, ma…. Come stai passando questo smart-working dovuto alla semi-quarantena causa Covid-19? Di cosa ti stai occupando per ora (se possiamo saperlo)?

Nella prima quarantena, in cui sono stato in cassa Covid praticamente continua dal 16 marzo al 10 agosto, mi sono dedicato al riordino “della vita passata”. Il tempo è passato velocemente e piacevolmente, anche grazie alla preparazione di progetti per il futuro e mostre a Spoleto, L’Aquila e successive altre sedi prestigiose.

Dal 10 agosto, appunto, sono rientrato in piena attività ma in smart-working all’80% da casa, poi totale dalla dichiarazione di zona rossa del Piemonte. I progetti a cui stiamo lavorando sono ovviamente riservati, soprattutto nell’area della ricerca in cui opero. 

La “passione frivola” che diventa mestiere

Parlaci un po’ del tuo lavoro: cosa fa un car designer? È quello che hai sempre voluto fare fin da quando eri piccolo?

Difatti era quello che volevo fare fin da piccolo. Mia madre mi raccontava che, un giorno non precisato, intorno ai quattro-cinque anni, allontanandosi per delle commissioni, mi lasciò a casa, a disegnare cavalli come sempre e mi ritrovò a disegnare automobili.

Da allora, si può dire, non ho mai più smesso. Ma a farlo per lavoro ci sono arrivato paradossalmente per ripiego, proprio in quanto considerata una passione “frivola” e inattuabile per posizione geografica, mentre l’architettura era l’impegno a cui affidavo il mio futuro.

Però continuavo a covare speranza, durante gli studi universitari si fece consapevolezza la mia aspirazione, da sempre, di andare a lavorare da Bertone, per disegnare le Lamborghini e finire a guidare il centro stile Alfa Romeo.

Per attuarla realizzai un progetto completo che inviai nel 1978 e poi nell’80 alla Bertone di Torino, ma non ebbi risposta. Solo quando nel 1984 l’ennesima crisi di settore mi lasciò a casa decisi di tentare in Pininfarina, dove dopo una lunga trafila fui assunto.

Pietro Camardella.
Photo by Wikipedia

Il car design secondo Pietro Camardella

Il car design è una specializzazione nell’ambito del trasportation design, che rappresenta una branca a se stante dell’industrial design, per tutta una serie di ragioni storiche e mancanza di definizione legale, complesse da affrontare.

Per quanto mi riguarda, grazie al talento naturale coltivato con la formazione artistica, unitamente alla spinta passionale all’autoapprendimento mi hanno consentito di eccellere nel disegno dell’automobile.

Invece la formazione metodologica in architettura mi ha dotato della preparazione necessaria come designer per riuscire ad incidere anche nelle scelte di prodotto. Mi ha permesso di gestire le varie discipline che concorrono alla progettazione, soprattutto dell’automobile, che per complessità è secondo solo all’aereo.

Pietro Camardella.
Photo by Autoblog.it

“Tutti i veicoli sono architetture in movimento”

Nel tuo lavoro di designer non ti sei occupato solo di automobili ma hai anche curato l’arredamento e lo stile di imbarcazioni. Quali sono le differenze più grandi tra il car design e il progetto di un’imbarcazione e quale tra le due cose preferisci?

Nella mia concezione tutti i veicoli sono architetture in movimento, che da ferme devono comunque esprimere il loro dinamismo, e l’estetica come in architettura deve rispecchiare il genius loci” ovvero lo spirito del brand”. Le Ferrari sono assimilabili alle ville basse moderne, le utilitarie ad appartamenti di varie pezzature, le imbarcazioni a quelle grandi ville lussuose, il loro interno in quanto spazio abitato in movimento non può prescindere dal comfort.

L’interno della Phylla ad esempio lo concepii come un monolocale con i servizi minimi, che si può iniziare ad abitare con una dotazione base la “startbox“, ispirata a quella dell’Ikea.

Phylla
Photo by Conceptcars.it

Il processo creativo

Quali sono stati i sentimenti, le sensazioni e i pensieri che ti hanno investito durante il processo creativo dell’iconica macchina rossa? Ci sono dei leitmotiv nell’evoluzione delle tue varie progettazioni? 

Provo lo stesso coinvolgimento emozionale di fronte ad un progetto Ferrari, utilitaria o cucchiaio che sia. Parto sempre dall’analisi dei dati oggettivi richiesti, mi appassiono alle problematiche tecnico-produttive, poi scatta la vena creativa che si traduce in forma.

A volte scocca subito la scintilla e l’ispirazione è immediata, altre mano a mano l’idea prende corpo fino ad associarsi all’ispirazione in un loop virtuoso. Con questo approccio, aggiungendo tanto impegno al talento naturale per il disegno e la passione innata per la creazione, ho disegnato le Ferrari, come gli infissi per le palazzine della ricostruzione post terremoto a Salerno.

Pietro Camardella per Le Vie dei Tesori.
Photo by magazine.leviedeitesori.com

Quel quid che fa la differenza

Quali requisiti deve avere un buon car designer?

Onestà progettuale, impegno e competenza sono i requisiti necessari per qualunque progettista. Ma nel caso specifico del disegno dell’automobile c’è un non ben identificato ingrediente, la cui mancanza ha sbarrato il settore ad ottimi creativi professionisti di altri campi.

Tra i tuoi vari lavori un posto di rilievo lo occupano le Ferrari! Essendo l’autore di ben cinque di esse ti sei guadagnato praticamente un posto sull’Olimpo. Tra le tue creazioni la Mythos ha vinto il Car award. Raccontaci cos’hai provato quando lo hai saputo.

Un premio è un riconoscimento tangibile del proprio lavoro, sempre gradito, ancor di più quelli internazionali diciamo meno “condizionati”. Ad esempio molto emozionante per me fu sapere, mentre ero sul tavolo da disegno a Cambiano, che alla Mythos, al suo esordio mondiale al salone di Tokio nel 1989, venne riconosciuto il Golden Marker Trophy seduta stante, per il miglior concept del salone.

Purtroppo non ho mai provato l’emozione di riceverli personalmente e nemmeno li ho mai toccati quei premi, non era prassi ai tempi la condivisione con gli autori, considerati semplici dipendenti.

Di grande soddisfazione sono anche i riconoscimenti da altri campi, per motivazioni meno commerciali, e oltretutto inaspettati. Come quando, mentre ero in riunione, fui chiamato dall’AD perché aveva sull’altra linea la Triennale di Milano che ci richiedeva la Phylla per la sezione Design per l’ambiente. Nella Rassegna Serie e Fuori Serie curata da Andrea Branzi. Fu una soddisfazione enorme per motivazione e provenienza.

La Ferrari come simbolo

Non ti sei limitato a realizzare l’estetica del cavallino rampante, ma di certo è il tuo lavoro più rappresentativo. Avresti mai immaginato un giorno di diventare padre di un’icona di stile made in Italy? 

Diciamo che non ho fatto neanche in tempo a pensarci, perché quando dopo dieci mesi dal primo incontro sono entrato ufficialmente operativo nell’ufficio stile Pininfarina il primo lavoro è stato una Ferrari, e solo l’anno dopo ho disegnato la F40, che, pur avendola sempre considerata per onestà intellettuale un parziale restyling, rimane la mia prima Ferrari prodotta.

Photo by pinterest.it

Il mito della Mythos

Vorrei fare un passo indietro e lasciarti libero di esprimerti su quello che ha significato per te questa esperienza in particolare o anche tutta la tua carriera lavorativa, e se ti va puoi anche fare un parallelo con la tua vita personale.

Credo che l’episodio che calza più di tutti è stato quello accaduto in uno dei frequenti rientri nel fine settimana a Salerno, quando oramai l’eccezionalità era diventata normale routine. Passando davanti al negozio di modellistica di fronte alla stazione, vidi in vetrina la “prima” della Mythos in scatola di montaggio 1:24 Tamiya. Mi colse un emozione fortissima, quella circostanza mi diede più di tutto la dimensione di quello che ero riuscito a fare: una mia creazione era stata riprodotta in uno di quei kit di montaggio che da piccolo attendevo in regalo con ansia a Natale.

Ma ebbi anche un’amara conferma, grazie ad un amico che incontrai di lì a poco a cui la raccontai entusiasta. Lui mi sminuì la cosa, e li capii che ci sono “dimensioni che non si toccano”.

Pietro Camardella con prototipo Ferrari Mythos.
Photo by autoblog.it

Dal design alla guida

Mi pare superfluo chiedertelo perché già immagino la risposta, ma te lo sarai fatto sicuramente un giro sulla Ferrari, se sì sappi che ti invidio tantissimo e guardo la mia (che poi non è manco mia) Ford Fiesta con enorme tristezza. Com’è guidarla?

Non è tanto scontato, anche in quello le aziende sono alquanto “stitiche”, si diverte di più un collaudatore. Ma ovviamente sì, nel tempo, grazie agli amici che me lo hanno permesso. Però sinceramente non sono un fanatico del “giro”, non mi appaga, sono più da possesso centellinato, ma purtroppo ho sempre disegnato automobili che non posso permettermi.

Scherzi a parte, un’auto ad alte prestazioni è una cosa seria e richiede “rodaggio” prima di saggiarne davvero le prestazioni. Nel mio piccolo nel 1980 comprai a prezzo stracciato, per via delle continue crisi petrolifere, una Ferrari “volere e non potere” ovvero una Fiat Dino coupé Bertone, che appunto montava il motore Dino Ferrari.

Fiat Dino Coupé (1971). Credits: motorionline.com

Già all’epoca in confronto di una tedesca al pari era una vettura che richiedeva una guida “muscolare” per controllare la non eccezionale potenza. Oggi, nonostante il trend evolutivo (o forse proprio grazie a questo che dà una falsa sensazione di maggiore facilità) sono vetture da approcciare con grande impegno e serietà e comunque le vere emozioni, tolte quelle della rappresentazione di uno status, le danno in pista.

Ci tengo a difendere l’automobile che va apprezzata prima di tutto per la libertà di movimento che ci permette, qualunque sia la sua taglia, poi si virtualizza nell’aspirazione massima, insita nell’umano, in auto come le Ferrari.

Gli altri progetti: il passato

Noi siamo di parte: se pensiamo macchina, pensiamo Ferrari, ma tu, dei tuoi tanti progetti, a quale sei più affezionato o quale pensi che ti sia riuscito meglio?

Senza falsa modestia, posso affermare che tutti i miei progetti sarebbero riusciti bene, se non fossero intervenute pressioni indebite, interessi di parte e meschinerie varie ad ostacolarli.

Ma, come ogni padre che nei confronti delle sue creature più deboli riserva un affetto particolare, anche la Mythos e la Phylla. Ciò per motivi esattamente contrari al risultato non hanno avuto un seguito produttivo: sono e rimangono allo stato attuale i progetti in cui mi sono potuto esprimere maggiormente in libertà, e che più mi rappresentano. Qui oltre che disegnare il “vestitino” (come alcuni velenosamente vogliono sminuire il nostro lavoro) ho ideato la formula, impostato l’architettura generale e i contenuti di prodotto, e salvo piccolezze l’essenza dell’idea è rimasta intatta.

Un paio, che nemmeno hanno mai visto la luce, sarebbero stati veri best seller, come hanno confermato successive analoghe realizzazioni della concorrenza. Per questi motivi la Ferrari 456GT rimane il mio capolavoro stradale, proprio in virtù di essere riuscito, anche grazie ad una serie di circostanze, a fare “salvo” l’80% dell’idea rispetto ad una media del 50%.

I nuovi progetti: il futuro

Progetti futuri?

Tanti! Anche nel campo del trasferimento competenze ai giovani. Nella speranza che l’attuale crisi apra nuove opportunità a tutti quelli che come me vogliono onestamente contribuire a far sempre meglio!

Bene Pietro, ti ringrazio per il tempo che hai dedicato a questa intervista e speriamo di vederci presto! Intanto ti faccio un in bocca al lupo e se un giorno mi capiterà di farmi un giro sulla Ferrari ti manderò una recensione!

Cara Rossella, te lo auguro al più presto, insieme ai migliori auguri per la tua giovane, ma già promettente, variegata carriera. Spero di tornare presto a Palermo, città che amo particolarmente e che mi ha sempre tributato grande riconoscimento. 

Grazie a te e ai tuoi lettori.

Immagine di copertina: https://unsplash.com/photos/zUX6103ig7w

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Sono una persona semplice, vado dove mi porta l'istinto. Credo nel sarcasmo e nell'ironia, ma anche nella bellezza della luce filtrata da una serranda, nel tramonto in riva al mare, nella risata che ti toglie il fiato. Credo in un mondo che ci fa sentire scardinati e perennemente in bilico, ma ogni tanto, se abbiamo fortuna, possiamo sentirci nel posto giusto al momento giusto. Della vita ho capito solo una cosa: che non ho capito niente.

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