I Giochi olimpici dell’antichità

Quando il barone De Coubertin organizzò le prime Olimpiadi dell’era moderna, nessuno credeva che avrebbe avuto successo. I Giochi olimpici erano una manifestazione troppo antica perché avesse successo secoli dopo. La Storia ha dato ragione al barone che ha creduto nella forza dello spirito di Olimpia, uno spirito antico che è giusto conoscere anche a millenni di distanza dagli ultimi Giochi dell’Antichità.

Ci siamo! Il sacro fuoco dei Giochi della XXXII Olimpiade si è finalmente acceso a Tokyo dopo un anno in cui si è rischiato anche l’annullamento dei Giochi stessi. La fiamma che splende nella capitale del Giappone è stata, come di consueto, portata lì da vari tedofori che si sono dati il cambio nel corso dello scorso anno. Ma c’è stato un luogo dove questa fiamma ha avuto origine e dove è iniziata la corsa del primo tedoforo: Olimpia, nell’entroterra della Grecia. La fiamma dello spirito di Olimpia arde vivace e antica, forte di una tradizione millenaria che ha le sue radici nei Giochi olimpici dell’antichità. Proviamo a dare un’occhiata indietro nel tempo per scoprire il passato remoto della manifestazione sportiva più importante di tutti i tempi.

Noi abbiamo il calendario, loro avevano le Olimpiadi

La Storia è riuscita a consegnare a noi posteri le date delle prime Olimpiadi antiche e delle ultime, rispettivamente nel 776 a.C. e nel 393 d.C. In tutto vennero celebrate 293 edizioni delle Olimpiadi prima che, in piena transizione verso il cristianesimo, l’imperatore Teodosio le abolì in quanto festa pagana. Dell’enorme importanza che gli antichi davano a questi Giochi è testimonianza il modo di contare gli anni della propria storia: “questo accade”, per esempio, “nel secondo anno della tredicesima Olimpiade”. Conosciamo l’anno di fondazione di Roma, le guerre persiane, l’incendio di Roma e approssimativamente la data di tutti gli eventi antichi proprio grazie al sistema di datazione “olimpico”.

Probabilmente l’origine delle Olimpiadi è da ricercarsi ancora più in là del 776 a.C., ma di più non sappiamo e forse mai sapremo. Esistono, però, delle peculiarità che pare interessassero i Giochi olimpici antichi fin dalla prima edizione, come la “stretta di mani”

La pace olimpica

Ekekheiria, letteralmente “stretta di mani”, era il termine greco con cui si descriveva la tregua da tutte le guerre che veniva dichiarata in concomitanza con l’inizio dei Giochi. Prima che un’iniziativa nobile, quella della pace era una scelta funzionale allo buon svolgimento delle Olimpiadi per ovvi motivi: far gareggiare uno di fianco all’altro atleti appartenenti a due fazioni in guerra non doveva essere molto sicura come prospettiva! Un mese prima dell’inizio delle gare, degli araldi percorrevano la Grecia invitando chi volesse partecipare a farsi avanti e proclamare una cessazione delle ostilità. Iniziava così la “pace olimpica”: più una tregua che una pace, dato che i conflitti ricominciavano puntualmente alla fine dei Giochi. Quando nel 420 a.C la città di Sparta non rispettò la tregua, venne esclusa dai Giochi con disonore, il che, data la sacralità dell’evento, era alla stregua di un sacrilegio.

Gli spettatori di ieri non erano tanti distanti da quelli odierni

Come il nome suggerisce, Olimpia era il cuore pulsante della manifestazione sportiva. Differentemente da quanto si possa pensare, la parola città non può accostarsi ad Olimpia che invece fu unicamente un centro religioso, sempre più ingranditosi con la crescita di prestigio dei Giochi. Il centro religioso era dedicato a Zeus Olimpico e per la sua gloria si celebravano le Olimpiadi. I tanti spettatori da ogni parte dell’Ellade, come è facile immaginare, guardavano relativamente all’aspetto sacro e molto più al lato agonistico, organizzando il tifo non diversamente da come siamo abituati noi moderni. Quell’umanità riversata ad Olimpia per assistere ai Giochi aveva sacrificato parecchio per esserci. Bisogna pensare che il viaggio per giungere all’Olimpiade era evidentemente complicato e la regione soffriva spesso di siccità importanti. Nonostante questo, niente riusciva a smorzare l’entusiasmo del pubblico e la voglia di assistere ad un evento “internazionale” .

A molti spettatori dei Giochi olimpici accade di soffrire la sete. Molti morivano a causa di violente malattie, che per la siccità della regione si diffondevano con grande facilità, colpendo una gran quantità di persone.

Luciano di Samosata, autore del II secolo d. C.

E le donne?

I Giochi risentivano del clima culturale in cui erano immersi e, per certi aspetti, noi moderni non considereremmo certamente illuminate alcune concezioni sociali dei greci. Nessuno penserebbe mai di escludere le donne da qualsivoglia evento, cosa a cui i greci erano ampiamente abituati. I Giochi stessi erano unicamente riservati ad atleti uomini che gareggiavano nudi e poteva assistere alle competizioni solo il sesso maschile. Unica eccezione era rappresentata da alcune sacerdotesse di Olimpia, mentre per tutte le altre vi era come pena per la trasgressione il “salto” dal Monte Typaion.

Le gare nei Giochi antichi

Ma quali erano le competizioni in cui si cimentavano gli atleti olimpici antichi? Pur essendoci voluti anni prima dell’effettiva presenza di alcune di queste competizioni ai Giochi, ecco una lista quasi completa:

  • lo stadio (stadion), una corsa di 192 metri che rappresentava la gara simbolo dei giochi. Accanto allo stadio per adulti, ve ne era uno per ragazzi;
  • il diaulo (diaulos), una corsa doppia per adulti e ragazzi. Consisteva in uno stadio in andata e uno in ritorno (all’incirca i nostri 400 metri);
  • la corsa lunga (dolikhos), corsa dai 7 ai 24 stadi, vale a dire dai 1400 a circa 4800 metri;
  • la corsa in armi (hoplitodromos), in cui il corridore indossava una parte dell’armatura. Ad Olimpia, la distanza da percorrere era il diaulos;
  • la lotta (pale) per adulti e per ragazzi. Quella per adulti, nettamente più violenta, si concludeva quando uno dei contendenti veniva messo tre volte al tappeto;
  • il pugilato (pugme) era combattuto da atleti che portavano alle mani e all’avanbraccio delle fasce di cuoio. L’incontro finiva con l’abbattimento dell’avversario ed i colpi erano ammessi sia a mano aperta che a martello;
  • il pancrazio (pankration): un misto di pugilato e lotta. Era ammesso qualsiasi tipo di colpo e la violenza era totale. L’incontro si concludeva con la dichiarazione di resa dell’avversario;
  • il pentathlon consisteva in cinque prove: lancio del giavellotto e del disco, salto in lungo, corsa e lotta;
  • la corsa a cavallo, senza sella e staffa (keles), consisteva in un giro di pista tra i 5 ed i 6 stadi. Come in tutte le gare coi cavalli, il premio non andava al fantino bensì al proprietario dell’equino;
  • la quadriga (tethrippon), su carro a due ruote trainato da quattro cavalli per dodici giri di pista. Per l’alto numero dei concorrenti, questa era sicuramente la competizione più spettacolare. Pindaro ci restituisce la testimonianza di una sfida olimpica in cui arrivò alla fine un unico carro; sicuramente era una tipologia di gara particolarmente pericolosa.

I premi ed il professionismo

Ed i simboli per eccellenza delle Olimpiadi, ovvero le medaglie d’oro, argento e bronzo? Non c’erano, anche se all’inizio si gareggiava unicamente per la gloria di arrivare al primo posto, fregiandosi di una superba corona di lauro. Col passare degli anni entrarono in uso onorificenze decisamente più materiali: abbiamo testimonianza di statue erette in onore dei propri atleti in molte póleis o addirittura di pasti gratis a vita per coloro che avessero portato lustro alla propria città. Invece, il cambiamento che avrebbe cambiato per sempre lo sport olimpico fu la concessione di premi finalmente in denaro. Da quel momento in poi, il professionismo avrebbe sostituito il semplice spirito agonistico tipico dei primi anni delle Olimpiadi. Per avere il denaro bisognava vincere e per vincere serviva un’allenamento costante che non lasciasse spazio a nessun altro tipo attività. In poche parole nasceva lo sport professionistico a cui siamo abituati oggigiorno.

Il vero fuoco di Olimpia

Il fuoco arde ad Olimpia, quest’anno arde a Tokyo, negli anni passati è arso in varie parti del mondo e negli anni avvenire arderà ancora in altre città. Purtroppo la retorica del sacrificio e del merito che riesce a far raggiungere qualsiasi obbiettivo – particolarmente facile da usare per le Olimpiadi – è diventata melensa, anche perché gli scandali sportivi non fanno altro che farla apparire totalmente ingiustificata.

Eppure c’è qualcosa nelle facce tese degli atleti quando entrano pronti per affrontare la gara, nella smorfia di dolore per la fatica prima del traguardo, nelle loro lacrime una volta resisi conto di aver raggiunto l’obbiettivo per cui avevano lavorato tanto. C’è qualcosa. Non so se si stia dando spazio alla retorica più di quanto ne meriti, però credo che questo sia il vero spirito d’Olimpia. Credo che il braciere ardente della fiamma olimpica sia un bellissimo simbolo della continuità tra i Giochi olimpici antichi e moderni, ma che il vero momento in cui, pur essendo a Tokyo, ci sentiremo ad Olimpia, sarà quando assisteremo al pathos che accompagna gli atleti durante la gara, cifra irrinunciabile dell’umanità di ieri e di oggi, sentimento che accomuna gli atleti antichi e quelli moderni. Che possiate pure voi intravedere quello spirito antico che alberga in ogni edizione dei Giochi. Buone Olimpiadi a tutti!

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Palermitano, classe 2000 (la famigerata). Studio storia e filosofia all'università, ma il campo accademico che più mi appassiona è la filosofia della storia (bel gioco di parole, ma è tutto vero). Cerco di reprimere l'indole eclettica ed enciclopedica che mi porta in mille direzioni diverse contemporaneamente, con scarsi risultati ad oggi. Sono convinto che la scrittura ed il linguaggio non possano mai rendere la complessità del pensiero, motivo per cui non ho risposte semplici e non pretendo di trovarle.

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