Perché i bambini spopolano su Instagram e TikTok?

L’oversharenting in pillole grazie a Ilaria De Carne, psicologa specializzata in emozioni e comportamento

Sono in metropolitana, nei pressi del centro della terra. Non prendono neanche i miei pensieri quaggiù. Eppure sento un ragazzo dal cui cellulare parte a voce di testa l’ormai celebre bimba che urla di gioia: Nonno Pinooo! Sei così carinoooo! Che ci fa questa vocina qua sotto? E perché è entrata nelle vite di così tanta gente che non la conosce nemmeno? Come ci siamo abbonati alla presenza di così tanti bambini online? Lo chiedo a Ilaria De Carne, psicologa.

Rachele (3 anni) nel noto video su nonno Pino. Credits: YouTube, TikTok
I social offrono “prodotti visivi” d’interesse pubblico. Perché e quando i bambini sono diventati uno di questi?

Credo che i social abbiano tra le loro funzioni quella di esporre e rendere visibile qualcosa che ci appartiene, che sia un bene materiale o affettivo. Questo per manifestare agli altri come quel dato “soggetto rappresentato” ci fa sentire, ovvero l’impatto che ha su di noi. È il motivo per cui condividiamo spesso eventi e situazioni piacevoli che ci riguardano, ma anche spiacevoli. Belle e cattive notizie, successi e insuccessi. Lo facciamo un po’ per condividere il nostro stato d’animo, ricercando vicinanza emotiva, compartecipazione. Un po’ per sentirci supportati, per ricevere approvazione, un po’ semplicemente per essere “visti”, e un po’ anche per non rimanere indietro rispetto al “trend” del momento.

Ecco, in questo settore si collocano anche i bambini che, al pari degli animali (pensiamo alla quantità innumerevole di video sui gatti o sui cuccioli di qualsiasi specie) sono tra i soggetti più rappresentati perché attraggono maggiormente, e lo fanno perché a livello emotivo producono esperienze positive, che inteneriscono e rallegrano.

white and gray kitten on white textile
Credits: Unsplash.com

A livello biochimico, quando guardiamo e osserviamo qualcosa di bello, vi è il rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore importantissimo che influisce sulla capacità di provare piacere: maggiore è il rilascio, maggiore sarà la sensazione di piacere percepita.

Numerosi studi hanno dimostrato il legame che intercorre tra determinati stimoli visivi, come appunto la visione di foto o video che raffigurano bambini, e la nostra risposta neuronale: quegli stimoli aumentano il rilascio di dopamina. Non è un caso quindi che ci sia maggiore attrattiva nei confronti di questi stimoli e, di rimando, questo schema venga utilizzato per far sì che un contenuto ottenga più visualizzazioni o likes.

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Quando andavo alle medie i quaderni e diari Valerie erano di gran moda. Mostravano immagini di neonati infagottati e con le teste avvolte da petali. L’invasione dei social nell’infanzia (e viceversa) è un’evoluzione di questo fenomeno?

Bisogna tenere presente che i social rappresentano in primis la nuova e principale piattaforma usata dal marketing per mostrare e vendere prodotti. Essendo la diretta evoluzione della pubblicità (dalla carta stampata alla tv, dalla tv a internet, dal banner alla pagina social e alle influencer) il passaggio dal mostrare il prodotto sulla carta all’online è stato breve.

Tutto questo è influenzato dal fenomeno del neuromarketing (temine coniato da Ale Smidth, 2002), una nuova disciplina che consiste nell’applicare le conoscenze possedute in merito al funzionamento del nostro cervello al marketing, nell’ottica di scoprire quali sono i processi (perlopiù inconsci) che guidano un consumatore nella scelta di un prodotto piuttosto un altro. Si tratta letteralmente di studiare cosa attrae maggiormente a livello di coinvolgimento emotivo e affettivo, e mettere questa conoscenza a servizio di chi vuol vendere un prodotto, per permettergli di strutturare strategie di marketing più funzionali e vantaggiose.

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L’utente genitore si divide tra chi applica emoticon sui volti dei figli, chi resiste meno alla tentazione e mostra manine o piedini o sceglie inquadrature più criptiche, e chi invece condivide qualsiasi attività del figlio. In un’epoca in cui non mostrare sui social un evento equivale a cancellarlo dalla breve memoria pubblica qual è l’atteggiamento giusto?

Il fenomeno che coinvolge i genitori e la pubblicazione online costante di contenuti che riguardano i figli è talmente vasto e di attualità che è stato creato un termine per identificarlo: parliamo di “sharenting”, un vocabolo nato dalla fusione tra le parole inglesi “share” (“condividere”) e “parenting” (“genitorialità”).

Partendo dal presupposto che la maggior parte dei contenuti viene mostrata senza il consenso dei diretti interessati, perché troppo piccoli per comprenderne le implicazioni, bisognerebbe comprendere la necessità di tutelare la privacy della loro vita privata, mentre spesso assistiamo a una pubblicazione eccessiva di contenuti (“oversharenting”).

sleeping baby on white textile
Credits: Unsplash.com

Indubbiamente spesso la condivisione da parte dei genitori è un mezzo attraverso cui si ha la possibilità di tenersi in contatto con parenti e amici, e mostrare loro i progressi e la crescita dai propri figli, i loro traguardi o anche semplicemente la loro quotidianità, ma al contempo questo va comunque ad incidere sulla vita dei figli, in quanto ne crea un’identità digitale e virtuale di cui sono inconsapevoli, e soprattutto contribuisce a mettere in circolo materiale che potenzialmente non verrà mai del tutto cancellato.

Ne consegue che sarebbe maggiormente consigliabile mantenere un certo livello di privacy e tutela dell’immagine dei figli, coprendone il volto, per lo meno fino a che non saranno loro stessi ad essere in grado di scegliere se mostrarsi interamente, dando appunto un volto a quell’identità già creata, o no.

I bambini che hanno più seguito sui social diventano quasi subito sponsor consapevoli o involontari di vari brand che li omaggiano dei loro prodotti. Quanto ingenuamente si pubblicano online video di bambini quando è ormai noto il loro potenziale commerciale?

Abbastanza, sebbene io pensi che bisognerebbe realmente parlare con quei genitori per comprenderne le intenzioni. Penso però che se la pubblicazione avviene senza un tag o un hashtag che richiami esplicitamente il brand, quindi un qualsiasi riferimento allo stesso, il tutto avvenga in maniera abbastanza ingenua, senza una reale intenzione di rendere il minore uno sponsor.

Bisognerebbe quindi guardare caso per caso, ma in definitiva penso che spesso il tutto accada in maniera davvero automatica, con la stessa spontaneità con cui si condividono contenuti che su se stessi, senza che ci sia la pianificazione dell’ottenimento di un qualcosa se non approvazione e acclamazione degli altri, amici, conoscenti e followers generici.

Nei casi invece di dichiarata brandizzazione del contenuto, credo che ci possano essere diverse motivazioni alla base, ma che ciò avvenga in maniera del tutto intenzionale. Per fare un esempio: divulgare un contenuto che raffigura un bambino che finge di guidare l’ultimo modello della macchina di un marchio molto prestigioso può avere due intenti diversi, a seconda che si renda quel video pubblico e brandizzato o no.

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Che conseguenze ha per i bambini l’abitudine a stare in favore di videocamera? E per i genitori ritrovarsi a gestire una “regia” del genere?

Molteplici. Pensiamo ai baby prodigio, a tutti quei bambini che finiscono per diventare star in un momento molto precoce della loro vita, con i video che li raffigurano e che diventano virali e conosciuti in tutto il mondo. Molto spesso questo genera un’aspettativa enorme sulla persona, che viene chiamata a riconfermare le doti e abilità per cui è diventata famosa. Se tutto avviene in favore di telecamera ciò può portare a iniziare a pensare a quella virtuale come l’unica realtà possibile.

È un qualcosa che può avere conseguenze anche molto importanti dal punto di vista della definizione dell’identità e dell’autostima, due costrutti che nell’età dello sviluppo, sono in piena espansione e formazione. Nel frangente delle baby star, inoltre, il genitore spesso dismette i suoi panni per indossare quelli del manager, trovandosi a dover “amministrare” la figura professionale del figlio e i profitti che ne conseguono. Si può per immaginare come questo generi un conflitto tra i due ruoli.

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Il genitore, d’altro canto, esattamente come un regista si trova a dover gestire le movenze di qualcun altro secondo un copione che lui ha stabilito, ma di cui talvolta l’altro non è pienamente cosciente, o di cui non sa prevedere le conseguenze. Pensiamo un po’ a tutte quelle volte in cui capita che un genitore condivide con altri aneddoti riguardanti la vita dei figli.

Succede tante volte, è successo a noi quando non c’erano i social e le nostre madri mostravano qualche nostra foto imbarazzante ai parenti, o raccontavano episodi per loro simpatici che ci riguardavano, in maniera del tutto innocente e bonaria: quante volte ci siamo sentiti violati e arrabbiati, o profondamente in imbarazzo? Ecco. C’è un confine tra ciò che pensano i genitori e ciò che invece pensano e sentono i figli che non sempre viene rispettato.

Forse è ancora presto per parlarne, ma come stanno crescendo o cresceranno i bambini che sono letteralmente nati su Instagram e TikTok?

Anche in questo frangente bisognerebbe valutare caso per caso, perché per ognuno di noi sono presenti variabili di contesto e personali che possono risultare determinanti nello sviluppo. Indubbiamente però esistono delle casistiche e delle misurazioni che rendono l’idea di un certo tipo di fenomeno che sta influenzando in qualche modo lo sviluppo dei giovani su larga scala.

In primo luogo, è opportuno constatare come l’uso dei social network abbia occupato un posto nella vita dei giovanissimi in termini di quantità e qualità di tempo da dedicarvi, a scapito di altre attività: numerose ricerche dimostrano infatti come essi stessi percepiscano una maggiore distrazione dallo studio, un progressivo allontanamento dal mondo reale e un crescente impoverimento delle relazioni sociali. Altri fenomeni in larga espansione che coinvolgono i social e i giovani sono il cyber-bullismo, il body-shaming, l’adescamento di minori, la violazione della privacy.

woman in pink shirt holding smartphone
Credits: Unsplash.com

Ma attenzione: fenomeni come questi ci sono sempre stati: la differenza sta nel fatto che se qualcosa accadeva tra le mura scolastiche, come la presa in giro di un compagno, difficilmente faceva notizia dall’altra parte del mondo. Quindi penso che i nati della cosiddetta generazione Z, ovvero i “nativi digitali”, si siano trovati ad affrontare un enorme cambiamento nella gestione dei fenomeni sociali.

Un fatto questo che però ha svantaggi ma anche vantaggi: se da un lato infatti si corre il rischio di far diventare un evento personale di dominio pubblico, di isolarsi dal mondo reale e venir violati nella propria intimità, dall’altro c’è maggiore informazione, un’accessibilità mai avuta prima, la possibilità di essere sensibilizzati proprio su quelle tematiche sociali e giovanili, non ultima l’opportunità di fare rete e sentirsi parte di qualcosa. Di non sentirsi più soli. È una grande sfida questa, trovare un giusto equilibrio tra l’uso costruttivo e distruttivo del social. In questo un’enorme responsabilità ce l’hanno proprio i genitori e l’intera società.

boy playing at laptop inside room
Credits: Unsplash.com
Che succederà quando questi bambini smetteranno di esserlo e verranno “detronizzati” da nuovi bambini? O in generale cosa accade una volta che il boom di likes e condivisioni precipita fisiologicamente?

Le conseguenze possono essere molteplici. Pensiamo innanzitutto a come l’essere una star già di per sé modifichi le abitudini dei minori. Questi spesso si trovano ad affrontare esperienze diverse da quelle dei coetanei e a ridurre talvolta i tempi dedicati solitamente a scuola, studio e tempo libero da trascorrere con i coetanei.

Col crollo dei like e la progressiva perdita del tempo dedicato al “lavoro”, perché di fatto di questo si tratta quando si è ad alti livelli, diviene già necessaria una sorta di ridefinizione della routine quotidiana, con un cambiamento di abitudini e l’entrata in una nuova routine che non sempre facile da accettare.

baby lying on inflatable ring
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In secondo luogo, è possibile assistere alla difficoltà nel doversi riconoscere in un nuovo ruolo, diverso dal precedente, nel quale non si viene più riconosciuti per strada, non si è più oggetto di elargizioni o complimenti, non si è più sulla bocca di tutti, ma si diventa “come tutti gli altri”.  È un momento di ridefinizione della propria identità, che in un bambino o adolescente, in cui il processo è in piena evoluzione, può comportare uno scossone notevole e generare difficoltà emotive importanti che si aggiungono a quelle tipiche dell’età.

Per un adulto è già difficile abbandonare il ruolo sociale che si era rivestito per tanto tempo: pensiamo a quei personaggi famosi che non accettano di essere “messi da parte” e cercano continuamente di reinventarsi. Figuriamoci quanto può esserlo per un bambino che non ha conosciuto altro se non quel ruolo e quella realtà, o un adolescente, il quale inizialmente pone le basi per la sua identità sull’approvazione sociale e sull’appartenenza a un gruppo. Il tutto sembra sgretolarsi, e questo può avere un impatto notevole se queste giovani menti non vengono adeguatamente supportate.

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È possibile che il debutto online crei ansia da prestazione e distacco dalla realtà? O piuttosto, essendo i social le nostre nuove piazze di comunicazione, è in parte uno svezzamento precoce verso la società digitale che li attende?

È possibile. Il mondo virtuale ha la capacità di assorbire in sé la coscienza delle persone, e talvolta si può fare fatica a distinguerlo dal mondo reale. Ci sono giovani, soprattutto ragazze, che sulla scia delle influencer di maggior successo aspirano sin dall’adolescenza a diventare come loro. Si arriva alla chirurgia per assomigliare all’ideale di bellezza o a investire enormemente nell’abbigliamento per sfoggiare gli stessi capi dei propri idoli. Questo è già di per sé, in un certo senso, un distacco dalla realtà della loro età.

girl in pink long sleeve shirt and black pants sitting on gray couch
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I bambini più piccoli, invece, a seconda dell’età possono non avere piena coscienza di ciò che stanno facendo/guardando. Lo sviluppo cognitivo dei bambini include la capacità di discernere ciò che è reale da ciò che non lo è, il valore del denaro, ciò che è lecito fare. Sono tutte competenze che non sono presenti dalla nascita ma che si sviluppano nel tempo. Se venissero lasciati soli a gestire queste fonti di informazione i più piccoli potrebbero risentirne, sviluppando idee immature.

In conclusione, penso sia impossibile pensare di tenere i media fuori dalla vita dei più piccoli. Oggigiorno i media costituiscono parte integrante della vita in generale. Non solo tra le mura domestiche ma anche a scuola, dove si utilizzano tecnologie sempre più evolute. Ma penso anche che occorra sempre che il minore venga accompagnato nella scoperta di un uso adeguato e funzionale all’età del mezzo social.

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La legge permette ai figli di denunciare i genitori per la pubblicazione non consensuale della loro immagine nell’infanzia. Questo strumento è davvero utile e sufficiente per tutelare i minori?

Penso che sia sicuramente utile, ma non sufficiente. Pensare nell’ottica della prevenzione del problema anziché per la sua risoluzione potrebbe esserlo. In questo senso risulterebbe importante svolgere campagne di sensibilizzazione verso il fenomeno dell’oversharenting e sulle sue conseguenze. E farlo a partire dai luoghi maggiormente frequentati dai genitori e dai figli fino a raggiungere l’utenza su scala nazionale attraverso programmi di approfondimento.

Bisognerebbe diffondere informazioni sui rischi di queste pratiche. C’è ingenuità e disinformazione nei confronti del fenomeno, che è in continua e a mio parere incontrollata espansione. Alcune organizzazioni hanno già intrapreso questa strada divulgando contenuti sul tema e suggerendo semplici linee guida da seguire per prevenire i rischi dell’oversharenting. Un esempio è Save the Children.

Credits: Savethechildren.it
Quali nuove sfide ha introdotto nella psicologia l’uso dei social per l’infanzia? E che consigli ti senti di dare a un genitore in tal senso?

Nuove sfide ci vedono in prima fila nel fornire supporto e sostegno ai giovani alienati dal contesto della vita sociale “reale” (hikkikomori). Ma anche ai giovani e giovanissimi che si trovano a dover fronteggiare il cyberbullismo. A quelli che si definiscono solo in base alla loro identità virtuale. A chi non riesce a fare a meno dei social per il timore di sentirsi diverso, fuori dal mondo, di perdersi qualcosa (F.O.M.O., fear of missing out). Questi sono solo alcuni dei disagi in ascesa.

Credits: Unsplash.com

Ai genitori vorrei consigliare di supportare i propri figli nell’uso di questi strumenti. Di stare attenti a quanto uso ne fanno, e a come lo fanno. Di tutelare quanto più possibile la loro immagine e la privacy, chiedendo consensi laddove possibile e cercando di proteggere le loro identità.

Ma soprattutto consiglio di parlare con i propri figli, di rendersi dei punti di riferimento. Farli sentire liberi e al sicuro nel poter condividere il loro mondo interiore. E di avere il coraggio di esporsi e chiedere aiuto a un professionista laddove percepiscano delle difficoltà. In quello spazio troveranno accoglienza, ascolto, condivisione, assenza di giudizio e soprattutto il supporto necessario per affrontare qualsiasi problematica.

(Immagine di copertina: Fedez official on Instagram)


Questo articolo appartiene a Messaggistica istintiva, una mini-rubrica dedicata al complesso codice comportamentale delle relazioni online. Trovate qui gli altri articoli già pubblicati.

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